sabato 3 marzo 2012

I politici giovani sono migliori degli anziani?


“Repubblica – Palermo”
19.02.2012

LARGO AI GIOVANI PURCHE’ NON SIANO VECCHI
Con molto garbo, Francesco Renda suggerisce di incoraggiare il ricambio dei dirigenti nelle organizzazioni politiche e – conseguentemente – nelle istituzioni. L’invito , che discende dalla sua esperienza biografica e dalla sua competenza di storico, merita di essere raccolto con attenzione.
La prima considerazione è che si tratti di un invito opportuno, anzi urgente: la mentalità dominante, non solo in Sicilia, è ancora feudale. Basta comparare l’età media della classe dirigente italiana con il resto del mondo per avere la prova matematica di vivere in regime gerontocratico. Con le crescenti difficoltà di entrare nel mondo del lavoro e delle professioni, questa tendenza statistica andrà ad aumentare: se entri in banca o in ospedale dopo i trent’anni, è difficile diventare direttore o primario prima dei sessanta.
Questa prima considerazione sarebbe però monca senza almeno altre due. Innanzitutto che ai tempi di Francesco Renda un ventenne poteva diventare dirigente di partito o di sindacato perché, pur privo di esperienza, non era un analfabeta di diritto, di economia e di politologia. Oggi la situazione è disastrosamente mutata. Anche per responsabilità delle agenzie educative (scuola in primis) i nostri ventenni non distinguono la destra dalla sinistra; né in senso metaforico né in senso letterale. Ignari di cosa significhi Csm o Welfare State, della differenza fra deputato e ministro, non sono in grado né di leggere un giornale né di decifrare una notizia di telegiornale. La loro preparazione media gli consente, al massimo, di applaudire alle bordate contro la Corte Costituzionale sparate dal palco di Sanremo dall’icona dell’ignoranza nazionale. Dunque: andiamoci piano. Apriamo le porte ai giovani, ma che abbiano un minimo bagaglio di competenze. Altrimenti rischiamo di aggravare la malattia illudendoci di curarla.
Da aggiungere, infine, un’ultima notazione. Tra i giovani che hanno una discreta – o addirittura buona – conoscenza dei meccanismi istituzionali, ognuno è legittimamente portatore di una filosofia politica. C’è chi è progressista e chi è conservatore; chi ritiene insopportabile lo status quo attuale e chi lo difende con altrettanta passione; chi è disposto a pagare di persona per rompere vecchie logiche di potere e chi si trova a proprio agio nell’ereditare i metodi tradizionali di raccolta del consenso; chi persegue anticonformisticamente il bene comune e chi è sinceramente convinto che la politica serva a scalare i gradini del controllo sugli altri. Dunque non sempre la giovinezza anagrafica coincide con la giovinezza intellettuale, psicologica e morale. Di contro – è una conseguenza logica – può benissimo accadere che una persona anagraficamente matura, o addirittura anziana, sia ideologicamente ed eticamente più giovane di un’altra nata trent’anni dopo. Probabilmente il sindaco di Cagliari o il sindaco di Napoli costituiscono un esempio incoraggiante di novità politica supportata da novità anagrafica: ma ciò significa che Pisapia a Milano o Doria a Genova non lo siano altrettanto? Ogni politico - potremmo aggiungere per Palermo: ogni candidato a sindaco – ha una sua identità culturale, una sua mentalità e un suo stile. E su questi dati va giudicato. Altrimenti si cade dalla padella della gerontocrazia alla brace del giovanilismo di maniera.

Augusto Cavadi

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