venerdì 20 dicembre 2019

IL VANGELO DELLA QUARTA DOMENICA DI AVVENTO (22.12.19)

“ADISTA”
23-11-2019 
QUARTA DOMENICA DI AVVENTO (22.12.2019)
Mt 1,18-24

Davanti a pagine come queste vanno affrontate almeno due tentazioni. La prima, frequente negli ambienti bigotti,  è di leggerle come se l’autore avesse voluto proporre un resoconto di eventi miracolosi, mettendo il lettore davanti a un bivio drammatico: o credi a questi fatti o non puoi dirti cristiano. La seconda tentazione, più tipicamente ‘laica’, è di liquidare questi racconti come favolette per bambini.
Libri a firma di biblisti esperti (come la recentemente ristampata Introduzione ai vangeli dell’infanzia di Ortensio da Spinetoli) indicano una terza strada: leggere questi racconti non come testimonianze storiche né come invenzioni fantasiose, bensì come testi teologici religiosamente edificanti. Per far ciò c’è bisogno di chiavi scientificamente raffinate, ma i frutti spirituali che ne derivano meritano la fatica.
  Limitiamoci a una considerazione di fondo: nella mitologia e nella storiografia antiche la grandezza di un uomo è misurata dalla eccezionalità delle condizioni in cui viene concepito e partorito. Giovanni Battista è il più grande dei profeti: dunque nasce, come Isacco, da genitori anziani ormai sterili (Zaccaria ed Elisabetta); come proclamare la certezza di fede che Gesù sia ancora più “grande” di Giovanni? Ricorrendo all’accorgimento retorico-letterario della nascita da una “vergine” per opera dello “Spirito santo” stesso. I contemporanei a cui era destinato il vangelo erano in grado di capire benissimo il significato veicolato – ma anche celato – dalla narrazione “midrashica”: non così per quanti lo avrebbero ascoltato in luoghi lontani dal mondo simbolico biblico e soprattutto in epoche di molto successive. Per costoro – certamente in buona fede, ma in perfetta ignoranza – la “buona notizia” qui annunziata sarebbe una sorta di incredibile prodigio biologico (partenogenesi) confortato da attestazioni ginecologiche. Insomma: un modo perverso di far fuggire dalla bellezza di queste pagine le persone dotate di un minimo di buon senso e di conoscenze scientifiche…
    Per costruire il racconto della nascita l’autore attinge molto liberamente ai materiali letterari della sua tradizione, fra cui testi del Primo Testamento abbondantemente conosciuti e commentati ai suoi tempi. Tra questi il passo in cui Isaia rivolge ad Acaz la profezia-augurio di avere presto, dalla “ragazza” che aveva da poco accolto nel palazzo regale, un erede maschio che gli sarebbe succeduto salvaguardando la discendenza e brillando per saggezza. L’autore del vangelo secondo Matteo richiama quella promessa messianica e l’applica alla regalità tutta particolare di Gesù di Nazareth con dei versetti che andrebbero correttamente tradotti: 

“Perciò il Signore stesso vi darà un segno:
Ecco, la giovane concepirà, partorirà un figlio,
e lo chiamerà Emmanuele” (Isaia, 7 , 14). 

Anzi, per dirla tutta, il “segno” più che la nascita di un figlio maschio (eventualità gradevole, ma non tale da far pensare a un intervento divino !), nel contesto originario sembrerebbe consistere nel fatto che, “prima che il bambino sappia rigettare il male e scegliere il bene, il paese del quale tu temi i due re, sarà devastato” (7, 16).
Indubbiamente siamo dentro un orizzonte ‘teistico’ in cui Dio è concepito, antropomorficamente, come un Super-ente che interviene dall’esterno della storia mondana parteggiando per un sovrano a danno di un altro, per un popolo a danno di un altro. Oggi questa forma di monoteismo tribale ci sta stretta. Da letture liturgiche come questa odierna possiamo ricavare soltanto l’idea, che per i profeti ebrei e i seguaci di Gesù era convinzione profonda, che la storia umana non è, shakespearianamente, “un racconto narrato da un idiota, pieno di strepiti e furore, significante niente” perché in essa tralucono delle istanze assolute (giustizia, libertà, pace, fraternità…) che non si lasciano ridurre a meri prodotti contingenti e la cui costellazione può essere chiamata anche “regno dei cieli”. 

Augusto Cavadi
www.augustocavadi.com