mercoledì 5 ottobre 2022

ANCORA SU "SVEGLIAMOCI!" DI EDGAR MORIN

 

Dopo il 'post' del 3 ottobre 2022 in questo stesso blog (ricordo che è possibile iscriversi gratuitamente alle notifiche dei nuovi 'post') aggiungo adesso una recensione del recente opuscolo di Edgar Morin,  "Svegliamoci!" , apparsa su "Adista- Segni nuovi" (34/2022) dell'8.10.2022.

Svegliamoci!”: l'appello di un ultra-centenario all'Occidente “sonnambulo”

“Dopo la Rivoluzione del 1789 si sono succedute o sono coesistite due France: quella umanista e quella reazionaria”: ciò che Edgar Morin scrive nel suo ultimo pamphlet (Svegliamoci!, Mimesis, Miulano – Udine 2022, p. 9) vale per molte nazioni occidentali, compresa l'Italia. Oggi, in Francia, prevale la “destra reazionaria” (p. 23) il cui cavallo di battaglia è costituito dall'immigrazione che avrebbe superato la “soglia di tolleranza” (Claude Lévi-Strauss). Ma si tratta di una “soglia di tolleranza demografica? Per quanto la sua metropoli sia sovraffollata, possiede vaste regioni scarsamente popolate e campagne desertificate. La soglia è forse economica? Nonostante i 3,5 milioni di disoccupati attuali su una popolazione di 67 milioni, il paese ha bisogno non solo di manodopera ma anche di medici e ingegneri e non avrà mai troppi artisti, musicisti, pittori e poeti. In realtà, questa 'soglia di tolleranza' è psicologica: la supera chi non tollera la vista una macelleria halal o di persone dalla pelle scura, chi vede in un quartiere di periferia il microcosmo di una Francia arabizzata e negrificata; chi non riesce ad accettare che 'beduini' e 'giudei' siano suoi pari. Nella Francia reazionaria di oggi la soglia di tolleranza è divenuta soglia di intolleranza” (pp. 27 – 28). 
E' facile da questi brevi cenni intuire che “la crisi francese ha i suoi tratti specifici, ma partecipa della crisi propria di una nuova era dell'umanità, cominciata nell'agosto del 1945 con l'annientamento nucleare di Hiroshima e Nagasaki” (pp. 31 – 32). Morin punta il dito sul cuore di questa “nuova era antropologica” (p. 31): l'intreccio inestricabile di progresso scientifico (che “ha rivelato la sua terrificante ambiguità”: “la scienza più avanzata è diventata produttrice di morte per ogni civiltà”, p. 33) – produzione industriale (guidata “sia dalla frenesia del capitale, sia dalla volotà di potenza degli Stati”, con il risultato che “queste forze possenti dominano le menti umane che le dovrebbero dominare”, p. 35) – il disastro ecologico (“il deterioramento continuo che affligge tutto il mondo vivente, essi umani compresi”, p. 34). Il combinato disposto di queste tre fenomeni autolesionistici sarebbe già sufficiente per affermare che “l'antropocene è anche il thanatocene” (p. 35), ma al peggio non c'è fine: “regnano l'incoscienza e il sonnambulismo” (p. 41). Detto con altre parole: “si tratta di una crisi più radicale e nascosta: una crisi del pensiero” (p. 31). 
Qui il vegliardo Morin (scrive queste righe dopo aver compiuto i 100 anni !) richiama il filo rosso della sua lunga e variegata ricerca intellettuale: solo un pensiero “complesso”, che travalichi gli specialismi settoriali, potrebbe aiutare la politica a trovare vie d'uscita praticabili. Infatti, a suo avviso, “l'invisibilità della crisi del pensiero dipende dalla separazione e dalla frammentazione delle conoscenze, la cui riunificazione è considerata impossibile, rendendo quindi unilaterale, incompleta e di parte ogni considerazione relativa alla società, alla storia e alle crisi medesime” (p. 47). 
E' forse il caso di precisare che non si tratta di auspicare l'improbabile sorgere di geni “universali” di stampo rinascimentale, come in buona parte è lo stesso Morin. La vastità del sapere umano attuale rende impossibile a un singolo soggetto di dominare l'insieme. Ciò che è possibile, e anzi indispensabile, è avere un'attitudine mentale all'apertura costante verso orizzonti ulteriori rispetto al proprio campo di studio professionale e, conseguentemente, moltiplicare le occasioni di sinergia con gli specialisti degli altri campi. Se il fisico non dialoga con l'economista, il biologo con lo psicologo, l'archeologo con l'antropologo...(e se il filosofo non dialoga con tutti, ascoltando umilmente e offrendo un servizio di traduzione dei vari linguaggi in una lingua minimale comune), quali indicazioni di massima potremo proporre ai politici (ammesso che qualcuno di loro desideri riceverne)? E, prima ancora, quali chiavi interpretative degli scenari attuali il mondo intellettuale e delle professioni potrà proporre all'opinione pubblica e all'elettorato, distratto e confuso? Uno dei tanti aspetti del buio che stiamo attraversando è l'equa distribuzione dell'ignoranza e dell'insipienza fra schieramenti nominalmente opposti. Destra e Sinistra (tranne qualche rara eccezione) nei Paesi occidentali concordano su alcune linee strategiche (riguardanti la crescita indefinita della produzione di merci, lo sfruttamento crudele degli animali da allevamento sino a favorirne la “pazzia”, lo spreco strutturale di cibo, l'incremento degli armamenti come principale se non esclusivo deterrente dei conflitti bellici e così via): da qui la disperazione di quanti trovano inutile andare a votare dal momento che, sulle questioni davvero cruciali, non si trova qualcuno che li rappresenti almeno approssimativamente.
L'opuscolo di Morin non si chiude con toni unilateralmente pessimistici. Egli ci ricorda che la storia, anche recente, attesta che l'improbabile accade più spesso di quanto non si tema. Tanto più – questo dato è per lui un “secondo principio di speranza” - che “le capacità cerebrali dell'essere umano sono in grandissima parte non sfruttate. Siamo ancora alla preistoria della mente umana. Le sue possibilità sono incommensurabili, non solo per il peggio ma anche per il meglio. Se sappiamo come distruggere il pianeta, abbiamo anche la possibilità di sistemarlo” (p. 74). Perciò, conclusivamente, la “mutazione antropologica” che sta avvenendo sotto i nostri occhi, ma prima ancora nella nostra carne e nella nostra anima (“Ora siamo al cuore della crisi e la crisi è nel cuore dell'umanità”, p. 41), “apre alla possibilità di due metamorfosi”: “la prima metamorfosi, quella del transumanesimo, tende a produrre una superumanità, dotata di nuovi poteri su se stessa e sul mondo, e una supersocietà nella quale esso vede l'armonia ma che noi percepiamo come una società-macchina. La seconda metamorfosi dedicherebbe il progresso scientifico, tecnologico ed economico al miglioramento della condizione umana e delle relazioni fra gli uomini, all'avvento di una Terra-patria umanista per sua stessa natura” (p. 52).
Abbiamo imboccato entrambe queste vie: quale delle due percorreremo sino in fondo? Non è dato prevederlo. Forse i sostenitori di una metamorfosi umanista “verranno da orizzonti diversi, poco importa sotto quale etichetta. Saranno i restauratori della speranza” (p. 75). 
                                                                Augusto Cavadi
                                                        www.augustocavadi.com

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