“Repubblica – Palermo” 20.3.05
Augusto Cavadi
La Chiesa siciliana al bivio
L’intervista al vescovo di Trapani, pubblicata martedì, suggerisce più di una considerazione incoraggiante. La prima è che ogni tanto qualche voce ‘profetica’ dice a voce alta ciò che molti benpensanti preferiscono tacere (o misconoscono davvero): che qui in Sicilia – non solamente nel Terzo o Quarto Mondo – “ci sono sempre più ricchi e sempre più poveri, la forbice si è allargata a dismisura. A troppa gente continua a mancare l’indispensabile. Ne sanno qualcosa che i nostri parroci che vedono bussare alla loro porta poveracci che chiedono i soldi per pagare la bolletta dell’Enel. Chiedono latte per i figli”.
Una seconda considerazione riguarda la capacità di autorigenerazione dimostrata da un apparato bimillenario come la Chiesa cattolica. Nella stessa isola dove i partiti, i sindacati, l’associazionismo laico mostrano l’estrema difficoltà - diciamo pure: la totale incapacità – di mutare mentalità, metodi e soprattutto leaders, la Chiesa cattolica ha dato prova negli ultimi anni di saper sostituire ambigue figure di presuli impastoiati in viscide relazioni sociali con vescovi giovani, schietti, colti, coraggiosi. Così, per fare solo qualche esempio, è avvenuto a Monreale, a Mazara del Vallo, ad Acireale, a Caltanissetta…Niente di paragonabile rispetto allo Jurassic Park dei palazzi del potere dove le nuove generazioni, di veramente ‘nuovo’, hanno – quando ce l’hanno - l’età anagrafica. Non è un po’ triste constatare che la cooptazione gerarchica dall’alto funziona meglio, almeno dalle nostre parti, del ricambio del ceto dirigente operato dai meccanismi democratici dal basso?
Proprio questi segnali di novità provenienti dal mondo ecclesiale rendono più triste la constatazione che permangono tuttora dei segnali opposti di ritardo culturale rispetto ai progressi dell’esegesi biblica – o per lo meno di resistenza al cambiamento. Mi riferisco a quei passaggi dell’intervista in cui mons. Micciché definisce “il divorzio” un istituto che “va in direzione opposta ai dieci comandamenti di Dio” e dichiara che la Chiesa cattolica non potrebbe cambiare la normativa attuale perché dipendente dal “progetto di Dio sulla famiglia, che ha voluto una e indissolubile”.
Se queste affermazioni fossero teologicamente fondate, si dovrebbe concludere che tutte le chiese cristiane diverse da quella cattolica (le ortodosse, le protestanti, l’anglicana e così via), dal momento che prevedono la possibilità del divorzio, sono tutte quante in contrasto con “i comandamenti di Dio” e col suo “progetto sulla famiglia”. Ma appunto gli studiosi più accreditati mettono in dubbio queste granitiche certezze del magistero ufficiale cattolico (molto differente dall’opinione statisticamente maggioritaria fra i fedeli cattolici). Per esempio, già più di venti anni fa, il padre gesuita G. Lofhink ha spiegato che Gesù non era un legislatore che stabiliva nuove regole, ma un predicatore che additava mete utopiche. Egli sognava una società in cui ad uno schiaffo si rispondesse porgendo l’altra guancia, in cui a chi chiedesse un mantello si desse anche la tunica…Ma certamente non prevedeva di trasformare questi ideali in articoli di legge. Tanto è vero che la stessa Chiesa cattolica non ha mai ipotizzato di rendere obbligatoria la nonviolenza o la misericordia. Perché allora impuntarsi solo su questo punto del matrimonio sognato come storia d’amore eterno? Perché riconoscere in tutti i campi il diritto del credente di avanzare per prove ed errori, di avanzare verso la perfezione per successive approssimazioni, ma non nell’ambito della vita coniugale? Perché ammettere alla comunione eucaristica ladri, assassini, evasori fiscali, sfruttatori di operai, collusi di organizzazioni criminali, corruttori di funzionari pubblici…e alzare barriere insormontabili a chi si accorge di essersi sbagliato nella scelta del partner e vuole avere una seconda possibilità di felicità? Come scrive il citato padre gesuita - a p. 140 del pluritradotto Ora capisco la Bibbia - Gesù, “equiparando divorzio e adulterio, intende formulare una vera provocazione. Egli vuole scuotere, smascherare, scoprire il vero contenuto della prassi giuridica sul divorzio. Tutto ciò però non s’accorda affatto con una legge, perché la legge non deve mai provocare se deve essere accettata. Il loghion sul divorzio non sarebbe in realtà una legge, ma una parola profetica” . Insomma: coloro che non riescono a portare a termine una vicenda matrimoniale non sono rei da sottoporre ad alcun genere di giudizio ‘istituzionale’, ma persone che – per le ragioni più diverse – non sono riuscite a raggiungere una méta che pure si erano prefissi.
Il giorno in cui le acquisizioni delle scienze bibliche diventeranno patrimonio comune di tutte le chiese, compresa la gerarchia cattolica, sarà possibile riscoprire il vangelo di Cristo in tutta la sua portata liberatrice: come parola che cura le ferite della vita, non che colpevolizza e affossa i tentativi di rimettersi in cammino nonostante gli inevitabili imprevisti.
Augusto Cavadi
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