sabato 27 maggio 2006

ELEZIONI REGIONALI: PIU’ ETICA PER I SICILIANI


Repubblica – Palermo 27.5.06

L’ISOLA CHE CAMBIA CHIEDE PIU’ ETICA

Non si vincono le elezioni solo in nome dell’etica: è necessaria anche la politica. Questo, in sintesi, il messaggio che, con la consueta lucidità, Giovanni Fiandaca ha inteso trasmettere al popolo progressista siciliano: un popolo talmente intontito per la batosta elettorale del 28 maggio da stentare, ancora, a riconoscerla come batosta (solo perché non si è trattato di una Caporetto).
Prima questione: in Sicilia, per avere la maggioranza, proporre principi etici è insufficiente o è vietato? D’accordissimo: gli elettori di centro-destra non vanno demonizzati ed, anzi, vanno moltiplicate le occasioni per ascoltarne le ragioni. Evidente che non si tratti di una massa famelica abilmente pilotata da astuti mafiosi (anche se, come e forse un po’ più che nel centro-sinistra, non mancano i famelici né i mafiosi).

Si tratta però - l’esperienza quotidiana lo attesta implacabilmente – di concittadini che, in genere, nutrono una spontanea, ancestrale, viscerale refrattarietà ad alcune costellazioni etiche: più precisamente ai valori-guida della convivenza sociale. Col massimo candore considerano ammissibili quei reati pubblici che, in privato, aborriscono sinceramente. Non ruberebbero un euro al passeggero del sedile accanto, ma trovano ovvio evitare di pagare il biglietto per l’autobus. Non getterebbero sul lastrico un padre di famiglia che si guadagni da vivere facendo lo spazzino o il vigile urbano, ma trovano naturale evadere le imposte comunali. Non alzerebbero un dito contro un bambino indifeso, ma nessun rimorso li sfiora se la loro azienda avvelena le falde acquifere per generazioni, se il loro fuoristrada intossica l’aria o se gli scarichi del loro villino abusivo inquinano il tratto di mare che lambisce la spiaggia demaniale. Non strapperebbero mai il tubo dell’ossigeno a un malato terminale, ma ritengono ovvio scavalcare per raccomandazione chi li precede – anche per gravità oggettiva - nella lista d’attesa delle operazioni chirurgiche. Fanno scivolare volentieri due spiccioli in mano all’immigrato che pulisce i vetri delle auto all’angolo delle strade, ma non sono disposti a versare i contributi previdenziali alla moglie dello stesso che lavora come domestica o come badante nelle loro case. Proverebbero orrore nel frequentare gli assassini a servizio di Cosa Nostra, ma si onorano di frequentare i salotti dei mandanti altolocati e dei complici che ne riciclano i profitti illeciti…Per tutti questi elettori, più incoscienti che malvagi, la sola ipotesi che - non solo simbolicamente – si possa voltare pagina è inammissibile. Immuni dalla tentazione di sostituire la politica con l’etica, si servono della politica per difendersi dall’etica.
Ma se è così, siamo ad una seconda questione: che significa approntare una strategia politica adeguata da parte del centro-sinistra (dove, per altro, non mancano le tentazioni di illegalità o almeno di alegalità)? Numerosi interventi su queste pagine, nei giorni scorsi, hanno insistito - oltre che sugli aspetti organizzativi (lo zigote siciliano del futuro Partito Democratico) - sui contenuti programmatici (l’attenzione strategica agli interessi socio-economici degli elettori) e sui fattori antropologici (il ricambio di un ceto dirigente che da tempo colleziona sconfitte e le spaccia ai propri iscritti per pareggi, se non addirittura per quasi-vittorie). Tutto vero. Tutto importante. Ma, in concreto, si può procedere in questa direzione con l’alto tasso di analfabetismo politico imperante? Se la media dei cittadini (a causa della deficienza di formazione di base in sociologia, in diritto, in economia) non è in grado di capire il merito delle diverse proposte legislative, come fa a scegliere le opzioni non solo più etiche ma anche più convenienti? Molti, ad esempio, si lamentano da anni per gli interessi molto bassi con cui lo Stato gratifica chi gli presta soldi acquistando Bot: come fargli capire che, se questo è dovuto ad un’inflazione significativamente minore rispetto al passato, per i loro risparmi è comunque un vantaggio? Altri si rallegrano se l’ICI per la prima casa si abbassa di un centesimo: ma come fargli capire che non si tratta di una buona notizia se corrisponde a tagli nell’assistenza sociale dei ragazzi a rischio o degli anziani abbandonati alla loro solitudine?
Ma non basta. Riscoprire che la politica è anche azione culturale, riattivare da parte dei partiti i luoghi ormai cassati della formazione iniziale e dell’informazione aggiornata, potrebbe ampliare il cerchio degli iscritti e dei militanti. O, per lo meno, migliorarne la selezione. A partecipare attivamente alla politica non sarebbero più (come accade oggi troppo spesso, in tutte le formazioni partitiche) i giovani ricchi di ambizioni e poveri di competenze, ma anche personalità qualificate. E ciò renderebbe meno arduo trovare i soggetti adeguati ad un serio ricambio generazionale.
Non solo etica, dunque, ma anche politica; non solo politica, ma anche cultura. In attesa che i partiti attuali lo capiscano - e lo traducano in iniziative sul territorio – possono mobilitarsi le altre agenzie educative. Qui ha ragione da vendere Beatrice Monroy quando chiede agli intellettuali siciliani di uscire da un certo limbo autocelebrativo: non per inventarsi nuove funzioni sociali, ma per fare sino in fondo gli intellettuali. Cioè non solo per scrivere libri e per recensire i libri dei colleghi, ma per imparare a dialogare con chi i libri non li scrive né li legge, ma a votare ci va lo stesso e con un voto che pesa quanto gli altri. La realtà effettiva è infatti desolante. L’alfabetizzazione civica resta fuori dalle aule scolastiche, dai centri sociali, dalle parrocchie, dalle sedi sindacali. La stragrande maggioranza vota senza essere in grado, preventivamente, di soppesare la posta in gioco. Da questo punto di vista, non ci sono forti differenze fra città e provincia, fra quartieri bene e quartieri degradati, fra ceti abbienti e ceti indigenti, fra adulti e giovani: l’ignoranza dei meccanismi istituzionali e dei progetti politici accomuna e livella, come la morte secondo Totò de Curtis, tutti gli strati sociali e generazionali. In questo contesto veramente gli elettori stentano - come recita un modo di dire meridionale –a distinguere la destra dalla sinistra. Inchiodano l’isola alla sua fastidiosa anomalia ma, tranne pochi capipopolo, “non sanno quello che fanno”.

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