venerdì 24 ottobre 2008

Considerazioni un po’ contro-corrente sulle agitazioni


“Repubblica - Palermo”
24.10.08

La ribellione studentesca vista in chiave siciliana

Nell’editoriale di domenica 19 Nino Alongi, rafforzando con la passione del politico la sua coscienza di insegnante liceale per decenni impegnato in trincea, ha visto nelle agitazioni del mondo studentesco un segnale di ripresa, di possibile risveglio dal sonno dogmatico in cui il Paese sembra precipitato sotto il tiro incrociato di un centro-destra sempre più arrogante e di un centro-sinistra sempre meno lucido. “È indubbio - egli scrive fra l’altro - che, se il movimento degli studenti e dei professori non si ferma ma resiste e si estende ulteriormente, presto il dibattito dei collettivi e delle assemblee dal piano meramente rivendicativo passerà a quello politico. E sotto accusa non sarà solo un ministro ma l´intera maggioranza di centrodestra. A questo punto, c´è da scommettere, il consenso di cui ha goduto il governo in questo inizio di legislatura muterà in un generale rigetto”.

Ovviamente è facile condividere con Alongi le speranze, ma a patto di distinguere gli auspici soggettivi dalle constatazioni oggettive: i desideri del cuore dalle previsioni razionali.
Chi come me nel ‘68 aveva diciott’anni, di mobilitazioni studentesche ne ha vissute (da alunno prima, da docente dopo) a centinaia negli ultimi quarant’anni: e non può permettersi, né per sé né per altri, ennesime illusioni. Chi sono questi ragazzi che - con grave rinunzia personale - sacrificano giornate di lezioni per sottoporsi alla dura fatica di occupare gli istituti scolastici o di attraversare le strade con qualche cartello in mano e qualche slogan in bocca? Se hanno 18 anni, sono al 50% elettori dei governi che contestano. Se non li hanno ancora votato, li voteranno non appena ne avranno diritto. Proprio come il 50% dei loro professori e dei loro genitori: al momento delle elezioni o vanno al mare o scambiano il proprio voto con qualche promessa di piccolo favoritismo clientelare o votano proprio con convinzione per chi inneggia al mercato senza Stato, alla concorrenza senza regole e al trasferimento di risorse finanziarie dai servizi sociali per tutti alle esenzioni fiscali per pochi. Insomma: votano, del tutto legittimamente, per progetti di restaurazione conservatrice e, quando finalmente si trova un governo minimamente coerente con i propri progetti, urlano per il disappunto. Se una politica progressista, popolare, solidale non riesce a portarla avanti che parzialmente e imperfettamente una maggioranza di centro-sinistra, perché stupirsi che non la voglia realizzare una maggioranza di megaimprenditori, padroncini del Nord Est e nostalgici delle adunate in divisa di ‘piccoli balilla’?
Alongi nota che “si scende in piazza, questa volta, tutti insieme - studenti, professori, genitori - e tutti in difesa della scuola pubblica. Non ci sono, dietro le proteste, condizionamenti ideologici e non ci sono neppure i partiti, ma a spingere è solo una grande indignazione”. Niente strumentalizzazioni, dunque: ma non è che il tramonto delle ideologie si identifica, con questi nuovi ‘contestatori’, con l’eclissi delle idee e il trionfo del qualunquismo politico-culturale?
Alongi sostiene che “i giovani che adesso scendono in piazza non sono quelli che si agitano negli stadi e vandalizzano le città e neppure quelli del sabato sera e dei locali notturni, quelli - per intenderci - che incontra il presidente del Consiglio. I giovani che scendono in piazza, pur tra mille incertezze e mille frustrazioni, sono quelli che vivono il disagio di una società grigia e vuota di valori, temono il futuro ma non sono rassegnati, studiano e lottano. E molti hanno il volto dolente di un Roberto Saviano o di una Sabina Rossa”. A parte il fatto che, purtroppo, se non scendessero in piazza anche i fanatici della domenica e i discotecari del sabato, i cortei studenteschi si assottiglierebbero di molto; a parte il fatto che Sabina Rossa è stata eletta senatrice nel 2006 all’età non proprio giovanile di 44 anni; la questione centrale è un’altra e proprio il caso di Roberto Saviano può esemplificarla. Perché queste generazioni, così sensibili quando si tratta di protestare per danni - veri e talvolta solo presunti - alla loro categoria, di solito vivono fregandosene del bene pubblico? Roberto Saviano ha scritto “Gomorra” (testo su cui, per altro, non sarebbe superfluo aprire una riflessione disincantata) dopo e durante un suo prolungato impegno civile (prestando volontariato culturale, fra l’altro, presso l’Osservatorio della camorra di Amato Lamberti): non come episodio isolato, puntuale. Né si potrà dire che, come è capitato anche alle nostre generazioni, non sia vissuto nella stessa “società grigia e vuota di valori”: i suoi genitori e i suoi professori, esattamente come quelli odierni e come quelli che abbiamo avuto in sorte noi più anziani, non spiccavano certo per impegno sociale e tempra etica. Insomma: non so se ci sia stata mai un’epoca in cui sia stato facile rinunziare ai propri piccoli privilegi e spendersi generosamente - e continuativamente - per una società meno assurda. Molti contestatori del ‘68 e del ‘77 sono adesso ben sistemati alla corte di Berlusconi o nelle varie filiali del suo impero economico-culturale: non so se in questi giorni sta nascendo un vero movimento di ribellione e di resistenza contro il governo che licenzia insegnanti elementari e paga liquidazioni miliardarie ai manager che hanno distrutto “Alitalia”, ma, se così fosse, preferirei non fare previsioni su dove, fra venti anni, ritroveremmo i rivoluzionari di queste settimane.

Augusto Cavadi

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