venerdì 11 febbraio 2011

La proposta di legge sul registro delle coppie di fatto


“Repubblica - Palermo”
11.2.2010

LE COPPIE DI FATTO E I DILEMMI DELLA CHIESA

Se il progetto di legge trasversale sul registro delle coppie di fatto arrivasse all’approvazione finale, la Sicilia - una volta tanto - potrebbe segnalarsi per una decisione pionieristica e anticipatrice. Ma si arriverà in porto? Dipenderà dal livello di informazione che i consiglieri regionali avranno maturato sull’argomento. In maniera brutale, e del tutto superficiale, infatti, molti suppongono che la questione si possa dirimere con un colpo di spada netto: contrari i cristiani, favorevoli i ‘laici’. Se così fosse, l’unica variabile sarebbe il grado di elasticità morale dei deputati: in concreto, quanta coerenza con i propri principi religiosi ed etici ciascuno di loro è disposto a sacrificare sull’altare del consenso elettorale (ovviamente nei due sensi: cristiani che votano sì, senza convinzione, solo per attrarre voti da elettori laici; e laici che votano no, senza convinzione, solo per attrarre voti dall’elettorato credente). Ma, se esaminiamo la questione con un minimo di attenzione, non risulta così rozzamente schematica. Per almeno tre ragioni.
La prima è che l’elettorato cristiano siciliano è molto più variegato di quanto non lo fosse solo trenta o quaranta anni fa: cattolici obbedienti alle direttive della gerarchia, ma anche cattolici dissenzienti; poi cristiani di varie confessioni (i cui vertici - come nel caso di valdesi, metodisti, battisti etc. - hanno da tempo assunto posizioni opposte rispetto ai vescovi cattolici); infine ‘cani sciolti’ che si riconoscono nel messaggio evangelico come progetto di vita ma non aderiscono ad alcuna ‘ortodossia’ ecclesiale e che dunque, nelle questioni eticamente sensibili, si riservano di giudicare di volta in volta secondo coscienza. Di fronte a questo panorama screziato, ogni tatticismo da ‘atei devoti’, tendente a catturare il consenso cristiano, sarebbe immancabilmente deficitario.
La seconda ragione è che – quand’anche questo pluralismo fosse sociologicamente irrilevante e si dovesse tenere in conto esclusivamente la grossa fetta cattolica dell’elettorato - non varrebbe comunque la supposizione che un cattolico praticante debba condividere come unico e indiscutibile l’attuale modello matrimoniale. Vescovi, preti e teologi di tutto il mondo cattolico, infatti, si chiedono: se per i primi mille anni della Chiesa il matrimonio non è stato considerato un sacramento e se, per tutto quel lungo periodo storico, ogni battezzato celebrava il matrimonio secondo l’uso civile dell’etnia di appartenenza, perché dobbiamo escludere a priori che, oggi, possano essere benedette forme di vita coniugale e familiare diverse dalla formula monogamica eterosessuale indissolubile (come quelle, ad esempio, in vigore in molte popolazioni poligamiche africane)? La configurazione giuridico-istituzionale del rapporto di coppia fa parte del nucleo del vangelo di Cristo o non si tratta, invece, di una veste storica, opinabile, la cui valenza è data dalla permeabilità all’amore come essenza della spiritualità?
Ma - e qui passo alla terza, decisiva ragione - anche se tutti i cristiani fossero, in Sicilia, cattolici e anche se tutti i cattolici fossero allineati e coperti sulle posizioni dell’attuale teologia magisteriale romana in tema di matrimonio, che ci azzeccherebbe questo con il disegno di legge regionale? Nessuno, infatti, sta proponendo l’equiparazione fra matrimonio e riconoscimento di rapporti di fatto. Molto più riduttivamente, si sta proponendo che - a determinate condizioni – delle relazioni stabili fra conviventi possano configurarsi come analoghe alle relazioni sancite dal patto matrimoniale. Ora: se qualcuno propone di fare una copia, sia pur parziale e imperfetta, di un originale, sta deprezzando l’originale o, al contrario, ne sta sottolineando il valore? Se si riconosce una qualche somiglianza fra relazioni di fatto e relazioni coniugali, a chi si sta togliendo il diritto - e soprattutto il gusto – di optare per le relazioni coniugali? Se mai, si sta costruendo un ponte fra la sponda dell’anomia, dello spontaneismo arbitrario, dell’improvvisazione caotica e la sponda della legalità statuale, delle tradizioni e delle regole. Un ponte che ogni coppia di fatto avrebbe il diritto di attraversare una volta che se ne avvertisse in grado. Che poi il passaggio da una convivenza di fatto, riconosciuta, a un matrimonio in senso classico possa essere un diritto - e non un’imposizione per mancanza di alternative – non può che valorizzare il matrimonio stesso.

Augusto Cavadi

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