venerdì 17 giugno 2011

I PRETI GAY E LA CHIESA. LETTERE PER UN DIALOGO


“Repubblica – Palermo”
12.3.06

L’8 marzo è stata un’occasione, più o meno efficace, di riflettere sulle discriminazioni di cui sono state (e sono) vittime le donne. Sarebbe un po’ miope, però, dimenticare che - mentre si sta faticosamente lottando per togliere una discriminazione del passato – se ne vanno aggravando di nuove. Per restare nell’ambito delle identità sessuali, l’emarginazione delle persone omosessuali (donne o maschi che siano). Splendide civiltà del passato, dall’Atene dell’età classica alla Firenze rinascimentale, hanno avuto atteggiamenti di apertura e di rispetto che – almeno in Italia, almeno in Sicilia – sarebbero oggi inconcepibili: Socrate o Platone, Leonardo da Vinci o Michelangelo non sono stati certo colpiti da sanzioni sociali sulla base delle opzioni sessuali.
A questo clima di crescente intolleranza contribuiscono tutte le agenzie educative: dai commenti allarmistici di papà e mamma ai sorrisetti ironici degli insegnanti a scuola o alla scelta massmediatica di privilegiare i gay più pittoreschi. Non trascurabile, poi, l’influenza – diretta sui fedeli, indiretta sull’opinione pubblica – della chiesa cattolica, specie in questa fase della storia nazionale in cui (come avvertono, con preoccupazione, autorevoli osservatori quali l’arcivescovo di Monreale, monsignor Naro) anche partiti e circoli culturali lontani dall’ispirazione evangelica tentano di utilizzare il patrimonio cristiano come “religione civile”, come “supplemento d’anima” di una società sempre più svuotata di valori condivisi. Proprio per queste ragioni merita attenzione un documento che non ha avuto diffusione né in ambienti cattolici (scandalizzati) né in ambienti laici (indifferenti a questioni ritenute ‘interne’ al mondo cattolico). E’ una “lettera aperta” (rivolta sia ai vescovi che “agli uomini e donne della società”) - che 39 preti (di cui almeno due siciliani) hanno redatto - riguardante la recente “Istruzione” vaticana che esclude dall’ammissione “al Seminario e agli Ordini sacri coloro che praticano l’omosessualità, presentano tendenze omosessuali profondamente radicate o sostengono la cosiddetta cultura gay”.
Con tono sommesso, ma sofferto, dichiarano di essere omosessuali consapevoli e precisano che ciò non ha impedito alla loro vita di essere costantemente “animata dal dono di tutta la persona alla Chiesa e da un’autentica carità personale”. “Confrontandoci fra noi sacerdoti in varie occasioni, come ritiri o esercizi spirituali” – aggiungono i firmatari – “ci siamo resi conto che i turbamenti, per gli eterosessuali come per gli omosessuali, sono venuti dopo gli anni del seminario, causati non dalla tendenza sessuale, ma dalla solitudine, dalla mancanza di amicizia, dal sentirsi poco amati e, qualche volta, abbandonati dai propri superiori, dai confratelli, dalle nostre comunità”.
Don Franco Barbero - un prete di Pinerolo da pochi mesi ridotto allo stato laicale – si è chiesto se questa durezza delle autorità ecclesiastiche non sia, oggettivamente, un modo di incrementare “l’ateizzazione della società” e se, in ogni caso, non sia l’ingiusta cancellazione di un fatto evidente: che “milioni di persone omosessuali ogni giorno svolgono con amore e competenza, con dignità e fecondità, il compito di genitori, di educatori, di insegnanti, di terapeuti, di medici, di onesti lavoratori nelle più variegate aree dell’esistenza quotidiana, culturale, professionale, artistica, religiosa”. E, non senza sarcasmo, osserva: “Eccoli, dunque, i nuovi pericoli pubblici. Non pensate ai guerrafondai,ai corrotti che ci governano, ai mafiosi, ai palazzinari, agli speculatori. Tutta ‘brava gente’ che in fin dei conti non fa male a santa romana chiesa; anzi, a volte, fa laute offerte e intrattiene ottimi rapporti con cardinali e curie. I nuovi mostri, la rovina della chiesa sono quei giovani che osano vivere secondo la loro natura, hanno il coraggio di mettere la loro vita a servizio del Vangelo e portano nel mondo e nella chiesa il dono della loro omosessualità, come una delle possibili forme di esistenza e di amore”.
Il caso dell’esclusione degli omosessuali è solo la punta estrema di una politica ecclesiale che enfatizza in maniera abnorme la dimensione affettivo-sessuale delle persone. In questa logica rientra la rigidità delle stesse gerarchie cattoliche nei confronti dei coniugi divorziati o separati ma conviventi con nuovi partners o risposatisi con rito civile: che, come è noto, non possono partecipare alla mensa eucaristica. Non sono questioni che si possano risolvere a colpi di slogan. Essenziale è non sopprimere – per conformismo o per tradizionalismo - la discussione tra teologi, giuristi, psicologi, sociologi, preti e coniugi praticanti. Nel suo ultimo piano pastorale il vescovo di Trapani, monsignor Micciché, ha anche ricordato l’opportunità di non escludere da questa riflessione gli stessi divorziati, di “aprire un dialogo con questi fratelli e prospettare un cammino che offra loro un particolare percorso spirituale”. E, proprio in sintonia con questo suggerimento, parroci e fedeli della comunità “Cristo Re” di Erice Casa Santa hanno lanciato un’iniziativa davvero singolare: nel periodo di quaresima, appena iniziato, ogni venerdì, si asterranno dal celebrare messa. Un modo – spiegano in un breve comunicato – di “condividere il ‘digiuno eucaristico’ con quanti non possono partecipare alla ‘comunione’ perché impediti dalla loro condizione matrimoniale irregolare o per altre cause”. Un invito, insomma, a non irrigidire le posizioni in ambito cattolico e a riaprire un confronto civile anche nel più ampio spazio del dibattito pubblico.

Augusto Cavadi

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