sabato 4 gennaio 2014

La filosofia: una disciplina che serve a molto solo se non è serva di nessuno


Danilo Cambiaghi
Report della conversazione di Augusto Cavadi
“La filosofia: una disciplina che serve a molto solo se non è serva di nessuno”
Associazione “Noesis”
Bergamo 17 dicembre 2013


LA RELAZIONE
    Aristotele fondava l’origine della filosofia sullo stupore. Il relatore esordisce dichiarandosi stupito dalla numerosità e dal calore del pubblico di “Noesis”. La filosofia è amore, è l’unica disciplina che porta un sentimento nel nome (Pino Ferraro). Amore per la saggezza, ma anche amore tra di noi che tale saggezza perseguiamo. Il discorso filosofico tra estranei è difficile, bisogna parlare guardandosi negli occhi. Si dovrebbe passare dalla forma monologica alla forma dialogica, discorrere non sulla filosofia ma con  filosofia. Nessuno è troppo anziano né troppo giovane per accostarsi alla filosofia e per coltivarla, diceva Epicuro. La serata avrebbe un decorso ideale se, dopo una breve introduzione monologica, si instaurasse un dibattito, una interazione tra relatore e pubblico, unica via per sperimentare la filosofia.
     Il sociologo triestino Danilo Dolci criticava la definizione “mezzi di comunicazione di massa”, in quanto la comunicazione si ha solo tra un io ed un tu. Quella demandata a radio, televisioni e giornali non è comunicazione, è “trasmissione” unilaterale.
     Il discorso della serata comincia rifacendosi al mito della Medusa, che non a caso era antagonista di Atena (la saggezza, la filosofia). La Gorgone con lo sguardo pietrificava laddove la filosofia sollecita a risposta. La filosofia non ama la complificazione: chi ha da dire, sa dire con chiarezza e semplicità. La Medusa oggi non pietrifica chi incontra, ma lo trasforma in mezzo, strumento. Questo è l’esatto contrario dello sguardo filosofico che lascia essere l’altro, non pretende       di trasformarlo in oggetto di utilità.
       La “funzionalità a” nasce con Cartesio, diventa tema centrale in Heidegger. Il concetto di res estensa ha ridotto l’universo a massa di materia inerte da plasmare. Thomas Merton lamentava che non siamo più capaci di guardare alle cose disinteressatamente. Quello che non ha utilità non lo vediamo neppure. Vediamo l’albero quando ci serve la legna. Cavadi dichiara di sentirsi condizionato da questa mentalità, dallo sguardo che strumentalizza. Fare filosofia significa mettere in crisi questa visione.
      I giovani che si accostano allo studio della filosofia normalmente chiedono al docente quale ne sia l’utilità. Cavadi, docente di filosofia al liceo, nei suoi primi anni di insegnamento usualmente abboccava alla domanda e cercava di dare agli studenti le solite risposte:  la filosofia vista come mezzo per approfondire le capacità logiche, migliorare le capacità comunicative, dare strumenti per capire meglio la storia ecc. Ma le spiegazioni utilitaristiche tradiscono la filosofia, che non è un “mezzo per …”. Ci sono ovviamente cose per cui lo studio della filosofia è utile, ma non è qui la sua ragione profonda.
      La vera risposta è un’altra che si trova già in Aristotele: la filosofia non ha utilità pratica, tutte le altre scienze sono più utili. Non è una svista dello Stagirita: le cose più belle sono gratuite ed inutili (si pensi ad un bel tramonto). Se vado a vedere un film o una mostra d’arte ci vado per fare un’esperienza estetica, qualsiasi altra motivazione non può che sminuirmene il piacere. A cosa serve scrivere poesie, tenere un diario dei propri sentimenti? A che serve lo studio del Greco e del Latino? Il germe dell’utilità a tutti i costi si è insinuato anche nel mondo della filosofia:  si tende a vederla utile come farmaco contro i mali esistenziali. Così il filosofo, invece di aiutarci ad uscire dal circuito utilitaristico, contribuisce alla resa generale all’utilità.
        La vita contemporanea, secondo l’osservazione acuta di Davide Miccione, ci ha strappato il mondo della quotidianità e ce lo vuole restituire come terapia. Non si va più a ballare, si fa danzaterapia (a pagamento). Sugli scaffali di qualsiasi libreria religiosa si trovano libri di cristoterapia (sottinteso: se il Cristo non è terapeutico a cosa ci serve?).
          Cita da Neri Pollastri: siamo in una società che medicalizza tutto, che propone pillole contro l’irrequietezza a bambini di tre anni. Andiamo dallo psicoterapeuta per evitare l’esperienza del dolore a fronte della morte di nostro padre. Non ha senso medicalizzare i disagi inevitabili della nostra esistenza. La filosofia non deve terapeutizzare, deve aiutarci a capire e ad affrontare con maturità le difficoltà della vita.
         Tra parentesi: sia chiaro che questa critica non si estende al concetto epicureo di tetraterapeuticità della filosofia, che viceversa è discorso filosofico e non medicalizzante. Di fronte al dolore non dobbiamo anestetizzarlo, ma crescere in forza interiore e consapevolezza per fronteggiarlo.
          Aristotele definisce in-utile la filosofia: un inutile necessario. Cavadi stesso si dichiara non idealista, ed ammette di dare importanza al denaro, alla moglie, agli amici ed alla casa. Non disprezza l’utilità. Ma la filosofia, come tutto ciò che è necessario, è in-utile nel senso di non strumentalizzabile a qualcosa d’altro. Aristotele in effetti nel suo lodare l’inutilità era forse un po’ troppo aristocratico, ma è fondamentale che la passeggiata sia fatta per essere goduta in sé stessa, e non per dimagrire, altrimenti il piacere della passeggiata è rovinato. Gli effetti collaterali, anche desiderabili, non devono diventare scopo. La filosofia fa bene se non si propone di far bene.
          Chiedere ad un bambino perché gioca non ha senso, è solo un gioco mentale per pedagogisti. Bisogna cercare di riscoprire e valorizzare l’inutile necessario. Epicuro notava che il superfluo è caro, il necessario economico. Le cose veramente necessarie sono accessibili a chiunque, vi è gratuità nell’essenziale. L’essenziale è spesso invisibile agli uomini, non attingibile dalle categorie economiche. Cavadi cita come geniale la nota pubblicità di Mastercard: “ …. non ha prezzo, per il resto c’è Master Card”, che gioca sulla contrapposizione tra ciò che è veramente importante e ciò che ha un prezzo.
 Ciascuno di noi può dare una propria risposta alla domanda: “cosa mi ha dato la filosofia?”.
Per quanto lo riguarda,  Cavadi cita cinque regali che ritiene la filosofia gli abbia fatto:
*)  Lo stimolo a perseguire il senso del cosmo, la non rinunziare alle domande da dove veniamo?, dove andiamo?, cosa facciamo? – domande non utili, ma tese a ciò a cui la filosofia ci incuriosisce. In un testo Cicerone riporta che Pitagora dicesse che alle Olimpiadi alcuni vanno per competere, altri per guadagnare o per godere lo spettacolo. Altri ancora ci vanno per guardare, vedere, capire: questi sono i filosofi.
*) Il senso dell’esistenza personale: dopo il problema cosmologico ecco il problema antropologico. Durante il nazismo Victor Frankl, uno psicoterapeuta incarcerato, cercava di aiutare gli altri con la psicoanalisi, ma si accorse che nel lager le teorie di Freud non funzionavano, essendo troppo represse e lontane libido e sessualità. Però osservando i suoi compagni di prigionia si accorse che alcuni avevano più risorse per resistere di altri. Coloro che avevano un sogno, per quanto labile (la patria finale, Cristo, Marx…), qualcosa che desse un barlume di senso alla loro esistenza, resisteva di più. Chi non aveva di queste ancore ideali deperiva prima, o si suicidava. Frankl, dopo l’esperienza concentrazionaria, ne ha scritto sostenendo che l’uomo ha sì bisogno di sesso, successo ecc., ma ha soprattutto bisogno di senso. Già medico, ha studiato anche filosofia, ma lo teneva nascosto perché la sua immagine professionale non avesse a soffrirne (cosa serve che un medico si interessi di filosofia? Non ne verrà distratto? Non sarebbe meglio che studiasse più medicina?). La scoperta della fame di logos nell’atroce ambiente del lager è bella. Il filosofo cerca, le risposte che si dà sono dubbie e transeunti, ma un po’ di risposta, seppur non definitiva, c’è.
*) Il senso della propria professione.  Cavadi dichiara di amare la compagnia di professionisti che, a quaranta-cinquant’anni, risolti i principali problemi di affermazione, perduta la tensione per la carriera, cominciano a porsi domande di senso. Socrate fu condannato con accuse pretestuose, la vera ragione è che andava a porre domande di senso a magistrati, artisti e sacerdoti. E’ dubbio che si possa vivere una vita senza cogliere il senso profondo della propria esistenza. Il Cavadi ama fare il Socrate in gruppi di medici, avvocati, …
*) La filosofia ci aiuta a capire il senso della vita spirituale, che non è necessariamente fede confessionale. La fede confessionale presupporrebbe di suo,  necessariamente, una profonda e semplice religiosità. Prima di essere Ebrei o Cristiani dovremmo essere uomini , chiusi al dogmatismo, aperti allo stupore. Se voglio una scorciatoia per il divino prendo in giro me stesso, ne esce il religioso con meno sensibilità etica dell’ateo.
*) Cogliere il senso della politica. Da Socrate in poi molti hanno sacrificato la vita all’interesse per la polis. Cavadi diffida del filosofo topo di biblioteca. Fuori dalla polis, diceva Aristotele, possono vivere soltanto le bestie o gli dei, e noi non siamo dei. Hanna Arendt notava che, per quanto la società esalti il privato, il privato è privazione della dimensione costitutiva dell’agire politico. La sfera del privato può essere vista come sfera di privazione. Don Milani diceva che tutti abbiamo problemi nella vita: tentare di uscirne da soli è egoismo, tentare di uscirne insieme è politica. Oggi l’essenza della politica è capire che dobbiamo uscirne insieme, integrandoci reciprocamente. Cita un libro su La Rosa Bianca, gruppo di reazione ad Hitler i cui membri furono scoperti ed uccisi.
      All’unica ragazza del gruppo sono attribuite queste parole: “Se la politica andasse bene potrei fare a meno di occuparmene, Devo impegnarmici perché è confusa e malvagia.”

DIBATTITO
Premessa: alla serata era presente un numero insolitamente elevato di studenti liceali.
Intervento 1 – L’intervenuto, augurandosi numerosi interventi da parte dei giovani, ed un po’ per dare loro il tempo di chiarirsi le idee per porre domande, propone un intervento interlocutorio, più testimonianza che domanda. Ricorda che in filosofia c’è una continua rivisitazione dei problemi fondamentali, spesso già inquadrati ai tempi di Platone ed Aristotele, mai risolti né probabilmente risolvibili, ma continuamente riproposti da nuove angolazioni ed alla luce di più approfondite maturazioni, ed ogni volta coinvolgenti cerchie più vaste di cultori e studiosi. Ecco, un dono ricevuto dalla filosofia è la sensazione di non solitudine, di essere in vasta compagnia nel momento in cui ci si pongono le irrisolvibili domande fondamentali, quando si tenta di costruire una maggiore consapevolezza esistenziale.
Intervento 2 – Il relatore ha dichiarato l’inutilità della filosofia. Ma non è utile perseguire il sapere?
Commento di Cavadi – La questione è terminologica, convenzionale. Distinguiamo l’utilità economica immediata da una utilità intesa in senso più vasto. In latino si distingue tra uti (far uso, appropriato per gli utensili) e frui (fruire di, verbo adatto ai rapporti interpersonali). Perdendo le sfumature linguistiche si perde una possibilità di senso. La moglie non mi è utile come può essermi utile un martello, mi è utile nel senso che ne fruisco la compagnia, cioè nella persona non vedo solo un mezzo ma anche un fine. Cavadi ricorda di avere in gioventù rinviato le ipotesi di matrimonio perché disgustato dal fatto che i parenti gliene prospettavano l’opportunità in termini di utilità.
Intervento 3 – L’intervenuto ritiene che vi sia una qualche correlazione tra i mezzi di comunicazione di massa ed il rischio di dittatura. Non perché vi veda necessariamente dei mezzi di propaganda, ma constata che le democrazie crollano anche perché sono ambigue nella definizione dei concetti.
Commento – Cavadi dichiara di non condividere tale critica perché la consuetudine con la filosofia gli consente di chiamare le cose col proprio nome. Certo che se scambio un talk show per comunicazione politica sono fuori strada: non c’è stata comunicazione, ho subito una trasmissione unilaterale a cui non ho partecipato. Non c’è niente di male se, per essere informato, seguo un talk show, a patto che mi sia ben chiaro che tale ascolto non ha nulla a che vedere col fare politica. Cavadi accetta sempre volentieri inviti del tipo di questo di “Noesis” perché in questi incontri c’è comunicazione, c’è scambio di pensiero che è cosa diversa dalla trasmissione di pensiero. Chi confonde “trasmettere” e “comunicare” è predisposto a subire la dittatura, tanto più subdola quanto meno percettibile, e quindi non suscettibile di generare ribellione. Il ragazzo che vuole i jeans già tagliuzzati ed invecchiati dalla casa produttrice non è più libero, ma non se ne rende conto.
Intervento 4 – L’intervenuto (settantaduenne, pensionato senza problemi economici) si dichiara in età di bilanci. Le domande che si pone ora non sono diverse da quelle che si poneva prima, ma ora hanno sapore diverso. Lui è arrivato a dirsi che la vita non deve essere vissuta per qualche particolare scopo, ma deve essere semplicemente vissuta. Si alza al mattino per alzarsi, frequenta “Noesis” o fa volontariato perché è bello farlo, vive perché la vita va vissuta.
Commento – Condivisione di fondo, a patto che le attività prescelte, come appunto “Noesis” o il volontariato, siano di quelle che ci arricchiscono. Dichiara di non capire coloro che consumano le giornate giocando a burraco.
Intervento 5 – L’intervenuto chiede a Cavadi se egli abbia mai trovato un senso profondo, e, se sì, attraverso quali canali lo abbia trovato e per quali tracce lo abbia riconosciuto.
Commento – Il relatore dichiara di avere trovato senso quando ha incontrato valori, specie se incarnati in persone (la sua stessa moglie, Falcone, Borsellino, Don Puglisi…)Ogni volta che tale incontro si è realizzato ne ha ricavato un senso di pienezza che gli avrebbe consentito di morire contento. Qualcosa che vale in sé, che vale indipendentemente dal fatto che possa servire, procura un senso di felicità che è strettamente apparentato alla filosofia. La si prova in determinate esperienze estetiche o  mistiche. In genere, nei momenti in cui si vive l’eros, la filia, l’agapè, si sperimenta che la vita ha un senso.
Intervento 6 – La Gorgone moderna che guarda tutto attraverso il filtro dell’utilità uccide la curiosità, il gusto per la ricerca, che sono essenzialmente gratuiti. La politica attuale è brutta perché è adagiata sul noto.
Intervento 7 – (L’intervenuta è una studentessa). Vero che c’è questa Gorgone che imbruttisce ed una televisione che ci trasmette valori fasulli. Ma dove possiamo rivolgerci? Sono gli adulti che dovrebbero proporci delle alternative.
Commento – Vero, ma prima ci vorrebbe la bacchetta magica per cambiare gli adulti. Cavadi ricorda che neanche gli attuali anziani, da giovani, avevano avuto dei grandi modelli. Il suo stesso padre aveva tentato di dissuaderlo dalla filosofia per indirizzarlo verso lauree più redditizie. Cita da Pascal: “Tutti si sforzano di diventare re o guerrieri, senza prima chiedersi cosa significhi essere uomini”. Non ci sono state generazioni aiutate dagli adulti, le nostre scelte le facciamo in piena e totale responsabilità. Se un giovane percepisce gli adulti come cattivi maestri può scegliere se sfruttare l’alibi implicito o vivere seguendo il criterio di giustizia che c’è in lui. Il bivio tra alibi ed anticonformismo si presenta quotidianamente.
Intervento 8 – Ci è stata proposta una ricerca filosofica orientata al senso/valore. Si può concepire una ricerca che prescinda dal senso/valore?
Commento – Molti filosofi risponderebbero affermativamente. Sartre diceva di aver capito che nulla avesse senso, inclusa la sua propria esistenza. Come studioso di filosofia Cavadi deve ammettere che questa vena nella filosofia c’è. Invece come filosofo la questione lo incuriosisce ed ha l’impressione che ci sia distacco tra i libri di coloro che negano il senso e la loro vita. Ricorda la vicenda di un filosofo sofista, persuasore di morte, che appunto persuadeva i suoi discepoli al suicidio sulla base della pretesa mancanza di senso delle loro vite. Lui stesso però non si suicidò, per non venire meno al compito, che si era imposto, di persuadere gli altri. Quindi nella sua vita un senso, seppur cupo e denegato, lo aveva trovato. Sartre stesso, nell’autobiografia, giustifica la rinuncia al suicidio ipotizzando che valga la pena vivere la vita per capirne l’insensatezza, e per aiutare anche altri a capirla. Trova cioè un estremo residuo di senso nell’assurdo. Se ne deduce che c’è iato tra proclamare l’assenza di senso e viverla. Sartre è riuscito ad attribuire un senso persino alla mancanza di senso. Per fare filosofia dobbiamo partire senza una convinzione aprioristica che un senso ci sia ( chi inizia postulando un senso, per esempio riponendolo in Dio, parte, filosoficamente parlando, col piede sbagliato). Ma se non devo presupporre un senso, non devo neanche essere altrettanto dogmatico nel negare che un senso ci possa essere. E’ altrettanto poco filosofico partire presupponendo che non ci sia neppure un brandello di verità.

1 commento:

armando caccamo ha detto...

Caro Augusto, in questo 'report' c'è materia di riflessione per un anno! Grazie e spero che possa confrontarmi (comunicare) su questi temi per lo stesso tempo.
Armando.