sabato 24 maggio 2014

EQUIVOCI E RISCHI DEL VOLONTARIATO


“Centonove” 23.5.2014
IL VOLONTARIATO COME PROFESSIONE
A Palermo si sono svolti in questi giorni gli “stati generali” del volontariato con la partecipazione di più di mille organizzazioni da tutta la Sicilia, regione nella quale opera circa un decimo di quei cinque milioni di italiani impegnati gratuitamente in questo settore. Che si tratti di un ambito di attività significativo lo si è sempre saputo e la crisi recessiva in cui siamo immersi contribuisce a evidenziarlo; ma proprio perché si tratta di una fetta importante del tessuto sociale bisognerebbe intensificare gli sforzi mirati a evitarne la degenerazione.
Maneggioni della società civile e del ceto politico sono riusciti, infatti, in questi due decenni a inquinare il “welfare dei poveri” strumentalizzando l’etichetta “volontariato” e utilizzandolo come anticamera di assunzioni clientelari in rami dell’amministrazione pubblica (famigerato il caso degli operatori sanitari del 118). Ma anche al di fuori delle falsificazioni ciniche intenzionali, nelle organizzazioni sostanzialmente oneste, si registrano equivoci e rischi.
    Innanzitutto nella sfera delle motivazioni : perché ci si decide a intraprendere un’attività di volontariato? L’esperienza attesta, implacabilmente, che troppo spesso lo si decide per aiutare sé stessi a uscire da una fase di noia o di depressione o di insoddisfazione esistenziale o di solitudine. Nulla di scandaloso, ovviamente, se si tratta di motivazioni iniziali; ma molto di disastroso se restano le uniche. Si potrebbero adattare in proposito le parole che don Lorenzo Milani formulava riferendosi ai politici: bisogna servire i poveri, non servirsi di essi.  Se non radico l’opzione di dedicarmi al volontariato in una prospettiva mentale più ampia, dove troverò le energie per resistere al logorio della quotidianità, delle delusioni, dell’ingratitudine?
    Ma non basta, ammesso che ci sia, una solida motivazione etica. Occorre che il volontariato abbia anche una visione politica. Che senso avrebbe lavorare per mettere le toppe a un vestito sdrucito senza progettarne uno nuovo? Che senso avrebbe correre qua e là per soccorrere feriti senza chiedersi perché ci sia una guerra in atto? Il rapporto con le istituzioni, locali e internazionali, non può ridursi né a mera contestazione permanente né tanto meno a querula richiesta di sovvenzioni: deve piuttosto intrecciare la critica con la proposta in modo da ipotizzare, e contribuire ad attuare, effettivi e duraturi miglioramenti strutturali. Eppure la consapevolezza politica dei volontari non è più elevata rispetto alla (molto bassa) media nazionale. Né questa ingenuità disturba qualcuno. Anzi, è proprio ciò che rende digeribile a tutti il mondo del volontariato perché, come ripeteva il vescovo brasiliano don Helder Camara, “se do una mano ai poveri, mi lodano come un buon prete; se mi chiedo come mai il sistema produca tanti poveri, mi bollano come comunista”.
      Solidità delle motivazioni etiche e lucidità del progetto politico non si improvvisano: occorre una formazione culturale.  Ecco perché venti anni fu attivata al Centro “Pedro Arrupe” di Palermo una “Università della strada” con il contributo di operatori di varia estrazione e di vario orientamento  ideologico. Ma fu un’esperienza relativamente breve: dopo  alcuni anni il numero degli iscritti calò sino a rendere illogica la continuazione dell’iniziativa. Chi fa volontariato troppo spesso “va dove lo porta il cuore”, senza chiedersi se possiede gli strumenti culturali per capire sé stesso e gli altri; per gestire le dinamiche di gruppo; per promuovere una cittadinanza adulta e attiva che, al di là dell’emozione per le emergenze, sappia e voglia costruire una città migliore nella quale, finalmente, il volontariato risulti…superfluo.

Augusto Cavadi

1 commento:

Maria D'Asaro ha detto...

Considerazioni eccellenti. Le condivido in pieno.
Maria D'Asaro