sabato 11 luglio 2015

DUE PAROLE INTRODUTTIVE AL LIBRO DELLA ZERILLI SU ANTIMAFIA E MEZZI DI COMUNICAZIONE

Qui di seguito la mia Introduzione a Eloisa Zerilli,  STRATEGIE COMUNICATIVE NEL DISSENSO ALLA MAFIA. I messaggi e le testimonianze, Booksprintedizioni, Buccino (Sa) 2015.


   Nella cultura ebraica raccontare storie è sempre anche riviverle: se non fosse così, nell’era della scrittura, che senso avrebbe ri-raccontare vicende che sono state fissate sulla carta già tante volte? E’ sempre con un velo di commozione, dunque, che noi anziani – testimoni partecipi di ciò che è accaduto in Sicilia fra la fine degli anni Settanta e l’inizio del Terzo Millennio – rileggiamo i testi di giovani che, con tenacia, si mettono a ri-scrivere per l’ennesima volta una stagione particolarmente efferata di mafia e particolarmente gloriosa di antimafia.
   Certo alcuni dettagli, l’angolazione stessa da cui alcuni fatti storici sono evocati, possono lasciarci qua e là perplessi e, quando ci è chiesto un parere (come nel caso dell’ autrice di questo saggio, docile nel senso originario e più bello della parola), proponiamo qualche limatura e qualche ri-orientamento: ma sulla base della convinzione che nessuno ha il monopolio della verità, neppure  - o forse meno ancora – chi è stato coinvolto in prima persona e non ha né potuto né voluto guadagnare la distanza necessaria per ‘oggettivare’ i vissuti.
    Quali i motivi principali per aggiungere questo titolo a una bibliografia che, pur nella varietà dei livelli scientifici, è ormai abbondante?
     Ne elenco tre nella certezza che ogni lettore ne aggiungerà altri, a seconda delle sue esigenze e aspettative.
     Prima ragione: la monografia contiene testimonianze di prima mano di persone che hanno vissuto da protagonisti le vicende di cui si tratta (vedi, ad esempio, i racconti di Rosanna Pirajno a proposito delle “Donne del digiuno” dopo le stragi dell’estate 1992, Cosimo Marasciulo, Enrico Di Trapani e Marco Bertelli).
     Seconda ragione: la monografia si interroga sulle condizioni necessarie a un’associazione antimafia per comunicare il proprio messaggio, trovare fondi e soprattutto nuovi militanti. E risponde facendo appello non solo a “regole scritte e obiettivi dichiarati”, ma soprattutto a “valori condivisi”. C’è qualcosa di più attuale da recuperare in una fase di scarsa credibilità del movimento antimafia, inquinato da esponenti sospettati di connivenze mafiose e, in qualche caso, colti in flagranza di reato ?
    Terza ragione: al di là delle difficoltà contingenti (che ci auguriamo facilmente superabili), il movimento antimafia soffre di tare congenite. Tra queste, in ciascuna associazione, la scarsa democrazia interna e l’alta litigiosità esterna (con organizzazioni e sigle dalle finalità convergenti). Che una studiosa della comunicazione provi ad applicare al movimento antimafia le acquisizioni della psicologia e della sociologia relative a questa dimensione costitutiva dell’esperienza umana (individuale e collettiva) non può che far bene a chi abbia orecchie per intendere. “La missione di un’associazione è la finalità che persegue” – scrive a un certo punto la Zerilli. E continua: “Compito della comunicazione è portare entrambi i suddetti fattori all’esterno dell’associazione per consolidarne la legittimazione, ma anche riproporle ai soci e alle risorse umane per rafforzarne cultura associativa, motivazione e senso di appartenenza”. Tale duplice finalità non è perseguibile se un’associazione è tutta imperniata su un leader cui si debba non solo gratitudine come al fondatore, ma anche devozione cieca come a un guru. Infatti “ la strategia dev’essere condivisa dagli associati, deve mettere a punto programmi e iniziative coerenti con lo scopo che persegue e deve essere oggetto di occasioni di confronto e comunicazione all’interno dell’associazione”. Nè l’identità collettiva maturata va mai brandita come una clava per abbattere la concorrenza esterna.
  Poiché mafia e antimafia sono fenomeni in divenire, ci auguriamo - per Eloisa Zerilli e soprattutto per il futuro del Paese - che questa pubblicazione sia  solo l’incipit di una lunga serie di analisi e di proposte critiche. Repressione giudiziaria e prevenzione educativa sono armi irrinunciabili, ma entrambe presuppongono il dispiegamento degli strumenti intellettuali a disposizione dei giusti.

                                  Augusto Cavadi
                          ww.augustocavadi.com

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