giovedì 16 luglio 2015

LE LIRICHE DI UN POETA PAKISTANO ERRANTE


“CENTONOVE”, 2015
MIA CARA NOSTALGIA
“Mia cara nostalgia rimani con me/non devi lasciarmi mai solo./[…] In tarda serata andremo a casa,/dormiremo insieme abbracciati come sempre/e ti racconterò una bella poesia / dedicata a te, mia cara nostalgia”. Che non sia proprio lei, questo sentimento così intimo e così pervasivo, il “vero amore” a cui il poeta pakistano Umeed Ali dedica la raccolta di composizioni liriche Bilancio interiore (Morlacchi, Perugia 2014, pp. 114, euro 10.00)? Poiché gira per l’Italia con i suoi volumetti da proporre, con discrezione, agli interlocutori più o meno occasionali, è possibile chiedere la risposta alla curiosità direttamente all’autore.
Diciamolo subito: non si tratta di poesie imperdibili. O, se lo sono in una delle sue lingue originariamente familiari ( urdu, saraiki, punjabi), non riescono altrettanto suadenti nelle due lingue in cui sono pubblicate in questa edizione: l’inglese e l’italiano. Tuttavia esse veicolano belle immagini e, soprattutto, intense esperienze esistenziali. Belle immagini come quelle adottate per evocare un antico amore (“Forse più non ricordi/quando non potevo dormire senza sfiorare/ la tua mano./ Forse più non ricordi/ quando neanche il vento poteva passare/ tra di noi”) o per cantare un amore attuale (“Balla un po,/ ché si ferma il vento/ per guardare il tuo movimento./ Apri gli occhi/perché le stelle possano vedere/la tua brillantezza”) . Intense esperienze esistenziali come autore (“E’ difficile riuscire a trasmettere i sentimenti/ in una lingua straniera, / perciò mi manca sempre qualche parola giusta/ o qualche frase,/ ma quando finiscono queste lontananze, di lingua e colore, / siamo tutti vicinissimi”) e, prima ancora, come migrante (“La povertà e la dignità./ Mi trovo sempre in gabbia,/ in questi pesanti problemi uniti, / forse mi hanno scelto tutti e due insieme,/ perché nessuno di questi due mi vuole lasciare. Neanche vanno d’accordo l’uno con l’altro/ perché sempre la povertà fa male alla dignità./ La dignità non dà valore alla povertà:/ come deve vivere in una società materialista/ un pobero sensibile e pure dignitoso?”).
Come è stato notato da altri, noi Occidentali – quando non ignoriamo del tutto la condizione degli immigrati – ci concentriamo sul problema della accoglienza e (parola assai ambigua) dell’integrazione: ma siamo sicuri che non ci si debba porre anche la questione complementare dell’ascolto da parte nostra, di ciò che possiamo imparare da queste culture lontane che ci vengono veicolate da corpi spesso martoriati? “Tutti: neri, bianchi, rossi e gialli/ dal mio punto di vista è che siamo tutti uguali. / Ali poeta pakistano vi lascia questo messaggio:/ questa nostra vita è come un viaggio…”. Lo sguardo dell’altro può illuminare la nostra condizione collettiva e aiutarci a comprenderla meglio di quanto possiamo fare noi che vi siamo, da sempre, calati dentro: “Sto svendendo la mia vita/ in una società triste/dove il sole non ha colore/ i fiori non hanno odore/e la gente non ha cuore/non ha tempo di guardare/non ha tempo di ascoltare”.

Augusto Cavadi       ( www.augustocavadi.com )

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