lunedì 18 aprile 2016

MARIA D'ASARO SULLA 'MIA', SULLA 'NOSTRA', " LEGALITA' "

Ricevo e volentieri rilancio, con gratitudine, dal mio blog il 'post' di Maria D'Asaro (che potete trovare anche su http://maridasolcare.blogspot.it/2016/04/legalita-va-cercando-che-si-cara.html  )

lunedì 18 aprile 2016


Legalità va cercando, che si cara ...

Ieri pomeriggio, presso l’aula consiliare del Comune di Trabia, si è discusso di legalità assieme all’autore del libretto omonimo, prof. Augusto Cavadi. 
Ecco una sintesi del mio intervento:
       Il prof.Cavadi ci fornisce in questo libretto tanto sintetico ed essenziale, quanto prezioso, una informazione ‘basica’ su un concetto – quello di legalità - purtroppo poco masticato e “introiettato” dai noi cittadini. In Italia c'è molta confusione sulla concezione e sulla pratica della legalità: in Sicilia c’è forse un difetto di legalità, a Bergamo magari un eccesso, che sfiora il legalismo:  (…) Sicuramente il concetto di legalità  necessita di “inculturazione”, va cioè legato all’antropologia, alla cultura, alla riflessione dei cittadini.  
Il prof. Cavadi ci ricorda innanzitutto, con don Ciotti, che le leggi - da quelle relative al codice della strada alle norme giuridiche più  rilevanti - sono l’impalcatura del patto sociale e della convivenza civile e che esse nascono per difendere i diritti di tutti, soprattutto dei meno forti e dei meno fortunati: forse non sarebbero necessarie solo in un’ipotetica società composta da buoni e onesti, in una sorta di agognato paradiso terrestre. 
L’autore fornisce poi alcuni chiarimenti sulla differenza tra legalità e legalismo (la legalità è una virtù solo quando è saggia ricerca della giustizia, altrimenti diviene legalismo) e sulla distinzione e l’inscindibilità tra legalità e giustizia.  Tale distinzione ci ricorda che solo in teoria tutto ciò che è legale è giusto: in pratica può capitare che è legale un comportamento ingiusto e viceversa è illegale un comportamento giusto (ricordiamo la “legalità” nazista dello sterminio degli ebrei).
La legalità quindi rimanda alla giustizia come suo fondamento e ci induce, prima di tutto, a chiederci cosa sia la giustizia: intanto la giustizia (considerata dall’etica cristiana una delle quattro virtù cardinali) è dare a ciascuno il suo, ciò che gli spetta, ciò a cui ha diritto. Quindi una legalità senza ricerca della giustizia è una legalità morta, senza speranza; di conseguenza la sfera giuridica non è autonoma rispetto alle  sfere dell’agire politico e dell’etica.  
Cosa deve fare un buon cittadino? Conoscere le leggi, discernerne il fondamento alla luce di alcuni strumenti importanti, rispettarle con fedeltà se non confliggono con i predetti strumenti. Ha però il diritto/dovere di resistere alle leggi ingiuste e di concorrere alla creazione di leggi giuste. Il cittadino deve essere quindi soggetto attivo della politica. Deve quindi:
  • Prima di tutto conoscere:  L’arte di vivere la legalità comporta un paziente esercizio che deve iniziare dalla conoscenza, da una corretta  informazione delle norme.
  • Poi, alla luce di  tre strumenti importanti: 1) Dichiarazione dei diritti dell’uomo (10.12.1948); 2) Convenzione europea dei diritti dell’uomo (1950); 3) Costituzione italiana (1947) è necessario discernere il fondamento di equità e giustizia della norma.
  • Dopo il discernimento, è necessaria la fedeltà alle leggi. Quando una norma, stabilita seconde procedure legali, non confligge con la nostra coscienza morale, essa va rispettata con fedeltà. Perché una legalità democratica interiorizzata, vissuta non per paura delle sanzioni, è fattore irrinunciabile di bene comune. Gandhi, pur ribadendo che la disubbidienza civile è un diritto intrinseco del cittadino, puntualizza che “un democratico è un amante della disciplina.” Solo chi normalmente obbedisce alle leggi, acquista il diritto alla disobbedienza civile. Solo chi dimostra di sapere rispettare le leggi giuste a costo di rimetterci ha il diritto di opporsi a quelle leggi che gli risultano ingiuste e/o immorali. 
  • Resistere alle leggi ingiuste è un diritto e un dovere. La resistenza per ragioni etiche a norme ingiuste si differenzia dal ribellismo per ragioni di interesse privato perché chi resiste alla legalità ingiusta è disposto a pagare le conseguenze della propria disobbedienza. Lo hanno dimostrato in tanti: nell'Antigone, scritta da Sofocle nel 442 a.C., una donna, Antigone, disobbedisce al comando del re Creonte che vieta di dare sepoltura al cadavere del fratello Polinice; nel 1955, una donna in carne e ossa, Rosa Parks, nella cittadina di Montgomery, in Alabama, negli USA, rifiuta di alzarsi dal posto dell’autobus assegnato ai cittadini di pelle bianca: grazie al suo gesto coraggioso, Martin Luther King inizia la lotta contro la segregazione razziale;  Nelson Mandela trascorre 27 anni in carcere, in un’isoletta sperduta, per la sua lotta contro l'apartheid in Sudafrica; don Lorenzo Milani, negli anni '60, quando fare il militare e imbracciare le armi in Italia era obbligatorio, fu sostenitore dell’obiezione di coscienza: celebre la sua frase: "L’obbedienza non è più una virtù"; ricordiamo infine Franz Jagerstatter e Dietrich Bonhoeffer, un contadino austriaco e un teologo luterano tedesco che pagarono con la vita la resistenza al Nazismo.
  • Ma non è sufficiente resistere alle leggi ingiuste; tale resistenza esige di farsi controproposta pubblica e quindi di essere creativa e propositiva: “La politica è la risposta senza la quale ogni possibile resistenza all’illegalità istituzionale o si spegne per stanchezza o diventa eversione distruttiva" (Lettera di Giacomo Ulivi, partigiano morto nella lotta di liberazione)
Il prof Cavadi ci ricorda quindi il legame inscindibile tra giustizia, legalità, politica: senza giustizia la legalità si degrada a legalismo, senza azione politica non possiamo ottenere leggi giuste e operare per il miglioramento della società.  
Oggi ci sono dei rischi per la tenuta democratico-legalitaria-partecipativa della nostra società: intanto la difficoltà di costruire e implementare il senso della "communitas" in una società liquida e priva di punti di riferimento: morte le grandi narrazioni politiche, morte le ideologie, cosa è nato al loro posto? Esaurito il ruolo dei partiti tradizionali, come fare politica oggi? I social network ci aiutano davvero a costruire partecipazione politica? E’ la rete la soluzione all’astensionismo? Possiamo limitarci ai “mi piace” per costruire partecipazione? Poiché è eroico resistere alle leggi ingiuste, dobbiamo essere sentinelle capaci di prevenzione: dobbiamo contribuire a deliberare norme eque. E' più che mai necessario riscoprire il senso profondo dell’affermazione di Paolo VI: "La politica è la più alta forma di carità". E’ quindi necessaria la partecipazione consapevole, matura e vigile dei cittadini: è indispensabile un paziente e continuo esercizio di democrazia, a partire dal condominio al Comune e via via alle assemblee legislative più ampie e inclusive, evitando ignoranza, qualunquismo, astensionismo, deleghe, voti di scambio. 
Cosa fare infine come donne, come cittadine per l’affermazione della triade legalità/giustizia/ partecipazione politica? Quale può essere il valore aggiunto della partecipazione delle donne alla politica? Forse quella di essere testimoni credibili di una legalità che serve, di una legalità che sia servizio e non serva dei poteri forti; è necessario fecondare la politica con il senso femminile della cura: la cura dell'ambiente, la cura dei soggetti più bisognosi di attenzione e di tutela. Dobbiamo aumentare il PIL: prodotto interno di legalità, di una legalità che sia impregnata di giustizia e partecipazione politica. Perché, come ci ricorda lo studioso Umberto Santino all’inizio del libretto: "Gli eroi continueranno a morire se gli uomini comuni non impareranno a vivere"
                                                                                                                 Maria D'Asaro 



1 commento:

Mauro Matteucci - Pistoia ha detto...

Ciao Augusto, pur non avendo letto il tuo libro, condivido in pieno l'analisi di Maria d'Asaro, che credo ne abbia individuato e messo in evidenza lo spirito. Anche per me, legalità va strettamente coniugata con giustizia e politica. Ce l'hanno insegnato i grandi maestri citati da Maria, cui vorrei aggiungerne altri due, Danilo Dolci e Alberto Manzi, che nel loro insegnamento seppero dare voce a coloro che l'illegalità dei forti e l'arroganza di una politica basata sull'ingiustizia avevano costretto al silenzio.
Mauro Matteucci - Centro di documentazione e di progetto "don Lorenzo Milani" di Pistoia