lunedì 15 agosto 2016

GLI ITALIANI FRA INDIVIDUALISMO E FAMILISMO SECONDO ARNALDO NESTI


“Centonove”
4.8.2016

NESTI E LA CRISTIANITA’ DEFUNTA

Leggere queste pagine di Arnaldo Nesti (Individualismo familismo. Spunti di storia e antropologia sociale degli italiani, Gabrielli, S. Pietro in Cariano – Verona 2016, pp. 155, euro 13,80) è un po’ come rifare, con l’autore, una chiacchierata in trattoria, senza fretta, nella magia della Firenze medievale. Dall’alto dei suoi ottanta e passa anni  -  trascorsi a vivere e a studiare e a viaggiare e a dialogare – Nesti getta uno sguardo preoccupato sull’Italia di oggi, oscillante fra “individualismo” e “familismo”, ma in ogni caso ben lontana dal senso dello Stato e, soprattutto, del bene comune. E prova a capire come ci siamo ridotti così e come potremmo emergere dal pantano.
  L’originalità della sua lettura è contrassegnata dalla specializzazione professionale dell’autore che ha insegnato per decenni Sociologia della religione all’Università di Firenze ed è tuttora direttore del Centro Internazionale di Studi sul Fenomeno Religioso Contemporaneo (CISRECO) di San Gimignano: egli infatti ritiene (sulla scia di illustri predecessori come Machiavelli) che la storia italiana sia, nel bene e nel male, legata a doppio filo con le vicende della Chiesa cattolica. Poiché quest’ultima sta attraversando una delle crisi più gravi della sua vicenda bimillenaria – culminata nelle dimissioni clamorose di Benedetto XVI - non c’è da stupirsi che l’ethos civile degli italiani ne risenta in misura altrettanto preoccupante: un popolo ‘laico’ può sopravvivere alle disgrazie di una delle tante chiese istituzionali diffuse fra la gente, ma un popolo ‘cattolico’ (e forse più clerico-dipendente che credente) non può che restare stordito e vagare incerto come un gregge di pecore senza pastore.
  Ma, senza entrare per ovvie ragioni nel merito della dettagliata ricostruzione di Nesti dal Risorgimento al Renzismo, non possiamo esimerci da qualche notazione di approfondimento. La crisi della Chiesa cattolica non è, come potrebbe sembrare sfogliando le cronache, una crisi dovuta a scandali contingenti, dalla pedofilia al riciclo di soldi sporchi attraverso gli istituti bancari vaticani: queste porcate (in versioni più o meno note e più o meno aggiornate) ci sono sempre state e fanno parte della dimensione mondana di ogni comunità religiosa. Ciò che è in gioco è qualcosa di più radicale. Il cristianesimo è nato come un movimento (provvisorio) perché Gesù e i suoi primi discepoli (Paolo apostolo incluso) ritenevano imminente la fine del mondo. Ma questa “apocalisse” non si è realizzata e la comunità dei  seguaci di Gesù dovette attrezzarsi per il lungo periodo: diventò un’istituzione gerarchica, con i suoi dogmi e i suoi riti, i suoi tribunali e i suoi concordati con i poteri politici. Il cristianesimo (fede, pensiero, vita) divenne cristianità (tradizione, civiltà, morale): con la situazione paradossale che molti nascevano cristiani (in quanto appartenevano alla società cristiana) ma potevano essere miscredenti, agnostici o atei (in quanto non accettavano il messaggio cristiano).
 Ora la diagnosi che, secondo il libro, accomuna Dossetti, Martini, lo stesso Nesti è che la cristianità (nata con l’imperatore Costantino nel IV secolo) è morta; i cristiani devono rassegnarsi e fare buon viso a cattivo gioco (un po’ come è avvenuto quando il papa ha perduto Roma e ciò gli ha dato un’autorità morale che non aveva da sovrano dello Stato pontificio). I cristiani devono riscoprire la propria fede, le proprie convinzioni evangeliche, e mollare – senza nostalgia – l’epoca in cui le scuole, gli ospedali, persino le banche erano ‘cattoliche’. Monsignor Mansueto Bianchi, che firma la Postfazione, ritiene che con papa Francesco saremmo nella strada giusta: procediamo, lentamente ma decisamente, verso “una Chiesa in cui il vangelo è ‘di più’ rispetto al diritto, all’etica, all’organizzazione e quant’altro”. Ma – è questa la mia obiezione – la questione è ancora più grave. Detto in soldoni: in crisi non è solo la cristianità (in senso storico-sociologico) ma lo stesso cristianesimo (cioè il vangelo di Gesù e le sue interpretazioni ortodosse). Di questa gravità abissale nel libro di Arnaldo Nesti non mi pare che ci sia traccia. Sembrerebbe che basterebbe la conversione della “cristianità” per risolvere la questione. Però una Chiesa povera, libera dalla sete di dominio, meno ossessionata dal sesso che non si stanca di condannare a ogni piè sospinto…sarebbe già per questo una Chiesa convincente? L’onestà e la coerenza sono condizioni necessarie della testimonianza: ma sono anche sufficienti? Oppure anche i cristiani più puliti si troverebbero – si troveranno, si ritrovano – a fare i conti con interrogativi scientifici e filosofici, etici ed esistenziali, immensi, ai quali neppure il cristianesimo più ‘puro’ è in grado di rispondere?  Benedetto XVI cede davanti al trionfo della “trinità infernale” (potere, denaro, sesso) dei suoi vescovi e dei suoi preti; ma, forse, ancor di più, davanti al  “mutismo di Dio” (da lui stesso evocato) che tace al cospetto delle  tragedie dei viventi. Insomma: ammesso che la cristianità ritrovi la sua “spina dorsale”, anche il cristianesimo dovrebbe rivedere sé stesso, la propria identità teologica, il proprio messaggio. Il recupero di un comportamento dignitoso da parte di chi si presenta come cristiano sarebbe il primo passo: il secondo, più impegnativo, sarebbe la revisione profonda del suo messaggio all’umanità. Per il primo passo papa Francesco sembra attrezzato: lo è anche per il successivo? Eppure temo che senza una teologia più sobria e fedele al vangelo delle origini sia vano sperare in un incisivo rinnovamento dell’etica dei cristiani. Se ai membri della cristianità, assediati dalle domande angoscianti che assillano il resto dell’umanità, si offrono non le risposte semplici e modeste del Maestro di Nazareth - bensì delle dottrine mirabolanti che pretendono di risolvere ogni dubbio e diradare ogni nebbia - nell’intimo di sé stessi i cristiani resteranno scettici. Sostanzialmente increduli. E l’ipocrisia è l’anticamera di ogni cinismo pratico.


Augusto Cavadi
www.augustocavadi.com

1 commento:

Mauro Matteucci - Pistoia ha detto...

Ciao Augusto,

la tua riflessione sull'ultimo libro di Arnaldo Nesti, che - essendo un pistoiese - ho avuto modo di ascoltare più volte, mi ha coinvolto profondamente, anche perché condivido quasi in toto soprattutto le tue critiche. Infatti, mentre sono d'accordo sul piano dell'analisi, soprattutto quando parla di individualismo e di familismo, vizi "eterni" degli italiani, di cui la Chiesa porta molta responsabilità. Invece nella parte costruttiva sono in profondo dissenso con Nesti, il cui discorso mi sembra troppo "papacentrico", pur riconoscendo la grande novità dei gesti e dei messaggi di papa Francesco. Ma ormai siamo al kairòs, al momento risolutivo, in cui la parola deve ritornare direttamente al Vangelo senza filtri: Troppe estranee cause con quella del Cristo abbiamo mescolato ... Saprà il Cristo rimediare alla nostra inettitudine. E' lui che ha posto nel cuore dei poveri la sete della giustizia. Lui dunque dovranno ben ritrovare insieme con lei quando avranno distrutto i suoi templi, sbugiardati i suoi assennati sacerdoti. (don Lorenzo Milani, Esperienze pastorali). Buone vacanze

Mauro