mercoledì 3 agosto 2022

CHIESA CATTOLICA E MAFIA SICILIANA DALL'UNITA' D'ITALIA (1861) AL VATICANO II (1962 - 1965)


 “Adista Segni Nuovi”

6.8.2022

CHIESA E MAFIA LUNGO LA STORIA. LA DEMOCRAZIA SALVA LA VITA

Don Francesco Michele Stabile è stato lo storico della Chiesa cattolica che per primo, negli anni Settanta del secolo scorso, ha rotto il silenzio sulle relazioni pericolose fra il mondo ecclesiale e il mondo delle mafie. Innumerevoli i suoi libri, articoli, interventi in convegni e assemblee su questa spinosa tematica. E di segno opposto le reazioni, ora ammirate ora adirate, che ha suscitato il suo infaticabile lavoro di ricercatore, ma anche di operatore pastorale e sociale. Poiché la maggior parte della produzione saggistica, anche a firma sua, si è occupata dei decenni dal 1963 (anno della strage di Ciaculli) a oggi, Stabile ha ritenuto opportuno concentrarsi sul lungo periodo precedente: dall'unità d'Italia (1861) agli inizi del Concilio Vaticano II (1962 – 1965). E' nato così il monumentale, imperdibile, volume La Chiesa sotto accusa. Chiesa e mafia dall'unificazione italiana alla strage di Ciaculli, Il pozzo di Giacobbe, Trapani 2022, pp. 546, euro 42,00: un testo certamente impegnativo, nonostante lo stile scorrevole e piano dell'autore, ma che non potrà mancare nelle biblioteche – ecclesiastiche e 'laiche' – degli Istituti di ricerca interessati alla complessiva storia moderna e contemporanea del nostro Paese.

Diciamo subito che la lettura di queste pagine risulterà deludente a chi si aspetti o una critica amara, rabbiosa, da parte di un prete cattolico nei confronti della propria Chiesa di appartenenza, o – all'opposto - un'avvocatesca apologia che giustifichi errori e omissioni ecclesiali: come ogni opera storiografica autentica, anche questa infatti è mossa né da ira polemica né da zelo missionario, bensì dalla pacata, inesorabile, volontà di capire come sono andate effettivamente le cose.

Nell'impossibilità di riassumere più di cinquecento pagine, fitte di note che per giunta rimandano ad altri titoli e a varie fonti archivistiche, possiamo limitarci ad ascoltare le conclusioni che don Stabile stesso trae nella sua Postfazione: “Incontriamo, nella storia dei primi cento anni di confronto della Chiesa siciliana con la realtà mafiosa, peccatori, martiri e profeti. Mi pare comunque, nonostante rilevanti limiti e ritardi, sia da correggere una immagine di Chiesa totalmente agnostica sulla mafia, tutta indifferente, tutta tollerante, tutta compromessa, come sembra risultare da certe ricostruzioni giornalistiche. Il mondo ecclesiale ha vissuto purtroppo nel bene nel male sul fronte della mafia fino al Concilio Vaticano II le stesse incertezze, la stessa indifferenza, gli stessi limiti di comprensione, di silenzi, e, in alcuni casi, di compromessi, che erano propri di tutta la società siciliana. La lunga marcia della Chiesa tra silenzi e parole per approdare a orizzonti nuovi e a un nuovo protagonismo nella liberazione dalla mafia è continuata nell'ultimo trentennio del Novecento e continua nel primo ventennio del Duemila, coinvolgendo non solo la Chiesa siciliana ma tutta la Chiesa italiana e lo stesso papato. Ritengo che nella storia della liberazione dell'isola dalla mafia una parte non secondaria l'abbia svolta anche la Chiesa con il sacrificio dei preti uccisi dalla mafia, e continua a svolgere in collaborazione con le forze più sane della società. Il cammino però è ancora lungo perché non tutti i componenti del mondo ecclesiale hanno maturato questa consapevolezza, anzi si nota una certa resistenza a costruire il regno di Dio nella storia, limitandosi solo alla conversione individuale, certamente necessaria. C'è bisogno di convertire anche le strutture di male presenti in questo mondo e la mafia è un male strutturale che richiede un impegno specifico della Chiesa”. 

In cosa potrebbe consistere questo “impegno specifico”? Stabile lo esplicita: “L'alternativa profetica che la Chiesa può offrire a una società atomizzata, piena di contraddizioni sociali e politiche, devastata dalla mafia, dal clientelismo e dalla corruzione, è la costruzione di un cattolicesimo di comunità di fede coerenti, nelle quali vivere relazioni umane ricche dello spirito alternativo di Gesù Cristo, e collaborare, con modalità ispirate dal Vangelo, alla realizzazione di una società giusta e partecipata dove il potere diventi servizio. Solo nella demistificazione del potere si può svuotare l'ideologia della mafia che del potere come dominio fa l'essenza del suo esistere. E questo è compito della Chiesa in ogni situazione in cui l'esercizio del potere diventa dominio dell'uomo sull'uomo”. 

Ma – è questo un punto su cui anche quanti di noi sono grati ammiratori dell'opera storiografica di don Stabile aspettano da decenni parole chiare – come può un 'istituzione verticistica, gerarchica, modellatasi secondo l'Impero romano prima e le monarchie assolute dopo, diventare – al di là delle belle frasi a effetto - modello di esercizio del potere come servizio? Quando Stabile afferma che la Chiesa cattolica è “chiamata confessare anche il proprio mea culpa davanti a Dio e alla società per il ritardi nella sua conversione”, sembra riferirsi agli inevitabili 'peccati' dei singoli senza mettere in discussione l'impianto complessivo della Chiesa. Qui bisognerebbe afferrare il toro per le corna: o Gesù e Paolo hanno pensato e voluto una Chiesa sostanzialmente piramidale (e allora bisogna rassegnarsi a costituire, nei secoli, più un modello piramidale per altre organizzazioni che un contro-esempio alternativo) oppure ha ragione tutto il mondo riformato, da Lutero a oggi, che riconosce come fedele al dato biblico solo un assetto 'democratico' o, come direbbe Aldo Capitini, “omnicratico” (e allora la Chiesa cattolica deve accelerare un processo di 'rifondazione' che solo le impedirebbe di costituire un modello organizzativo anche per le cosche mafiose). 

L'obiezione a queste perplessità – mie e non solo mie – è abbastanza prevedibile: non è compito dello storico in quanto tale, ma se mai del teologo, avanzare critiche di principio, di metodo, alle strutture portanti della Chiesa. Da Hans Küng a Eugen Drewermann, da Leonard Boff a Ortensio da Spinetoli, molti hanno provato a occuparsi di questo versante della problematica: ma sappiamo come sono stati trattati dal Magistero. La “radicalità” evangelica invocata da Stabile potrà essere vissuta dalla Chiesa sino al punto da accettare che dei suoi stessi figli (non stiamo parlando di 'avversari' e 'mangiapreti' !) si interroghino sui fondamenti dell'ecclesiologia dominante da Innocenzo III e Bonifacio VIII sino addirittura allo stesso Francesco, che rischia lo scisma ogni volta che osa proporre ritocchi e limature molto meno rilevanti?

Augusto Cavadi

www.augustocavadi.com

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