venerdì 11 agosto 2023

GLI EUROPEI ABBIAMO "SCOPERTO" O "CONQUISTATO" LE AMERICHE ? UN INTERVENTO DI ELIO RINDONE

 


La “scoperta” della conquista 

Nel 1992, in occasione dei 500 anni della cosiddetta “scoperta” dell’America, si sono moltiplicati convegni e dibattiti sulla correttezza del termine. Ovvio per alcuni, era inaccettabile per altri. In particolare per i nativi, privati delle loro terre e sopravvissuti a un vero e proprio genocidio: si calcola che ci siano stati tra gli 80 e i 100 milioni di morti.

Naturalmente le vittime degli “scopritori” hanno chiesto insistentemente di sostituire il termine ‘conquista’ al termine ‘scoperta’. Eppure, contro ogni evidenza, la richiesta non è stata subito accolta ed è stato necessario attendere ancora una trentina di anni perché le autorità cattoliche, che avevano avuto a suo tempo responsabilità particolarmente gravi, prendessero una posizione netta.

Infatti, nel luglio del 2022 papa Francesco, nel corso della sua visita in Canada, dopo aver chiesto perdono per i crimini subiti anche per colpa della Chiesa, ascolta dalle delegazioni di autoctoni canadesi la richiesta dell'abolizione della "dottrina della scoperta", in base alla quale gli indigeni erano stati assoggettati alla dominazione delle potenze coloniali dei re cattolici; dottrina che continua a incidere negativamente sulle loro attuali rivendicazioni territoriali a causa di una giurisprudenza che da essa, più o meno esplicitamente, discende.

Così, dopo una lunga istruttoria, si arriva, il 30 marzo 2023, a una Nota congiunta sulla “Dottrina della scoperta” dei Dicasteri per la Cultura e l’Educazione e per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale.

Dopo avere ricordato che i papi hanno condannato gli atti di violenza contro i popoli indigeni e che uomini e donne credenti hanno persino dato la vita in loro difesa, la Nota riconosce che ci sono «fallimenti dei discepoli di Cristo in ogni generazione» e che «molti cristiani hanno commesso atti malvagi contro le popolazioni indigene per i quali i Papi recenti hanno chiesto perdono in numerose occasioni». I fallimenti e gli errori, in questa Nota come in tutti gli altri documenti vaticani, non sono mai della Chiesa ma sempre e solo dei suoi figli!

Passando, quindi, ai nostri giorni, la Nota, dopo avere rilevato che in un contesto di ascolto dei popoli indigeni «la Chiesa ha sentito l'importanza di affrontare il concetto denominato dottrina della scoperta», afferma che «alcuni studiosi hanno sostenuto che la base della suddetta “dottrina” si trova in diversi documenti papali, come le Bolle Dum Diversas (1452), Romanus Pontifex (1455) e Inter Caetera (1493)».

Ma i Dicasteri vaticani non sono affatto d’accordo con questi studiosi! A loro parere, infatti, «la “dottrina della scoperta” non fa parte dell'insegnamento della Chiesa cattolica. La ricerca storica dimostra chiaramente che i documenti papali in questione, scritti in un periodo storico specifico e legati a questioni politiche, non sono mai stati considerati espressioni della fede cattolica».

A parte il fatto che qualunque documento viene redatto “in un periodo storico specifico” e in rapporto a determinate “questioni politiche”, sarebbe opportuno spiegare perché «la “dottrina della scoperta” non fa parte dell'insegnamento della Chiesa cattolica». Quelle Bolle chiedono ai sovrani europei – è il caso di Alessandro VI – che «le nazioni barbare vengano sottomesse [deprimantur] e condotte alla fede», e l’invasione delle terre scoperte viene incoraggiata da quei papi proprio appellandosi – sono parole della Romanus Pontifex – all’autorità di «successore di san Pietro e vicario di Gesù Cristo»?

Dato che si richiamano alla stessa autorità apostolica cui farà appello Paolo III – che nella bolla Sublimis Deus del 1537 riconosceva che gli abitanti di quelle terre sono proprio esseri umani: «Noi che, sebbene indegni, esercitiamo sulla terra le veci di Nostro Signore», affermiamo che essi sono «veri uomini», e perciò «capaci di ricevere la fede cristiana», sicché non devono essere «privati della loro libertà e del dominio delle loro cose. Anzi, di tali libertà e dominio, possono usare e possedere e godere, liberamente e lecitamente, e non devono essere ridotti in servitù» – forse sarebbe corretto ammettere apertamente che tale autorità è in contraddizione con se stessa. Senza una tale chiara ammissione, sembra una scappatoia dire che i documenti di Niccolò V e di Alessandro VI non fanno «parte dell'insegnamento della Chiesa cattolica», e quello di Paolo III, che affermava esattamente il contrario, considerando gli indigeni «veri uomini», va considerato invece adeguata espressione di tale fede!

E come sostenere la tesi secondo cui «i documenti papali in questione, […] non sono mai stati considerati espressioni della fede cattolica»? «Mai considerati»? Nemmeno dai loro autori? Si può seriamente pensare che i papi, Niccolò V e Alessandro VI, che emanavano quelle Bolle, e i sovrani cattolici che le accoglievano con grande soddisfazione, non considerassero quei documenti «espressioni della fede cattolica»? Quando si esagera, non si corre il rischio di cadere nel ridicolo?

Oggi, prosegue la Nota, «la Chiesa riconosce che queste Bolle papali non riflettevano adeguatamente la pari dignità e i diritti dei popoli indigeni»: ma davvero si può affermare che quelle Bolle «non riflettevano adeguatamente la pari dignità o è necessario »ammettere che negavano radicalmente dignità e diritti di quei popoli? Ed è corretto cercare attenuanti nel fatto che «le potenze coloniali in competizione tra loro» hanno commesso «atti immorali contro le popolazioni indigene», però «compiuti talvolta senza l'opposizione delle autorità ecclesiastiche»? O bisogna riconoscere onestamente non che talvolta è mancata «l'opposizione delle autorità ecclesiastiche» ma piuttosto che queste hanno proprio incoraggiato a «invadere, conquistare, espugnare, sconfiggere e soggiogare» quei territori e i loro abitanti, conferendo agli aggressori il diritto di scegliere «un appropriato confessore», che potrà «concedere la piena remissione di tutti e dei singoli peccati, crimini, delitti e trasgressioni che […] avrete confessato» (Dum Diversas)?

Se si pensa che la Nota è stata il risultato della lunga istruttoria non di uno ma di ben due Dicasteri vaticani, forse era lecito attendersi qualcosa di più. Un intervento un po’ tardivo?

Non ci si può, tuttavia, non rallegrare del fatto che nel 2023 la Nota abbia preso una posizione netta sulla questione: «La Chiesa cattolica ripudia quei concetti che non riconoscono i diritti umani intrinseci dei popoli indigeni, compresa quella che è diventata nota legalmente e politicamente come dottrina della scoperta». E sicuramente positivo è il fatto che «la solidarietà della Chiesa con i popoli indigeni ha dato origine al forte sostegno della Santa Sede ai principi contenuti nella Dichiarazione delle Nazioni Unite sui Diritti dei Popoli Indigeni».

Ma non tutti i problemi sono risolti: in effetti, la condizione di inferiorità dei popoli indigeni è ancora una questione aperta a livello internazionale! Infatti, José Francisco Calí Tzay, diplomatico guatemalteco, nominato nel 2020 relatore speciale sui diritti dei popoli indigeni, non solo ha accolto con favore il rifiuto da parte del Vaticano del termine scoperta, sottolineando che «La dottrina della scoperta è ancora una ferita aperta per molti popoli indigeni in tutto il mondo. Deve essere affrontata come parte di un processo di riconciliazione tra i popoli indigeni e gli Stati coloniali», ma ha addirittura esortato «tutti gli Stati che ancora abbracciano e applicano la Dottrina della Scoperta a seguire l’esempio del Vaticano» nel ripudiare formalmente quella dottrina e nel «rivedere tutta la giurisprudenza e la legislazione» che si basano su di essa.

Chi l’avrebbe mai detto? Ci sono Paesi che sono stati superati in velocità, si fa per dire, dal Vaticano nel liberarsi di un termine che, se scorretto, può provocare conseguenze davvero disastrose!

ELIO RINDONE

Elio Rindone è stato docente di storia e filosofia in un liceo classico di Roma, saggista e studioso di teologia, collaboratore di pubblicazioni quali Aquinas (Rivista internazionale di filosofa dei docenti della Pontificia Università Lateranense), Critica liberale, Il Tetto.

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 28 del 05/08/2023

Nessun commento: