venerdì 19 gennaio 2024

COSA LA CHIESA POTREBBE FARE (E SPESSO NON FA) PER CONTRASTARE IL SISTEMA DI DOMINIO MAFIOSO

 

CHIESA NOSTRA

Nei quarant’anni in cui cerco di decifrare i rapporti fra le Chiese cristiane (in particolare la cattolica in cui mi sono formato) e le mafie (in modo particolare Cosa Nostra) sono stato oggetto di obiezioni di segno opposto perché l’onestà intellettuale mi ha vietato di aderire alla logica del tutto-bianco o tutto-nero. Fuor di metafora: non ho condiviso né il trionfalismo clericale (“la Chiesa è un baluardo contro la mafia”) né lo scandalismo laicista (“la Chiesa è l’alleata più stretta dei mafiosi”). Infatti mi sono convinto che preti e fedeli praticanti non fanno eccezione rispetto alla tipologia dei concittadini siciliani (meridionali): agli estremi dell’arco statistico, da una parte una minoranza di mafiosi o para-mafiosi; dalla parte opposta, una minoranza di attivamente anti-mafiosi; nel mezzo una grande maggioranza che vegeta oscillando fra i due fronti nell’illusione di un’impossibile neutralità.

Secondo Giovanni Falcone è questa maggioranza di incerti, di ignavi, che nel lungo periodo può decidere la partita. Quali strategie si potrebbero attivare per favorire l’esodo di un numero quanto più grande possibile di cattolici da questa area grigia intermedia costituita da equilibristi inetti?

a)     Innanzitutto verso una conoscenza della mafia di ieri e, soprattutto, di oggi che vada al di là degli stereotipi. Una sociologa, Graziella Priulla, quarant’anni fa denunziava in proposito il passaggio dal silenzio al rumore. Da allora sono stati editi per fortuna dei volumi scientificamente rigorosi, ma su registri comunicativi inaccessibili agli uomini e alle donne di strada. Andrebbero dunque individuati e valorizzati i testi che si propongono di occupare lo spazio intermedio fra la ricerca degli specialisti e le risorse della gente comune.  Negli ambienti cattolici circolano questi libri che ‘traducono’ via via i risultati delle indagini accademiche e giudiziarie? Mi pare che il livello d’informazione sulla tematica sia pari a ogni altro settore della società: poco sopra lo zero.  Né i seminaristi, le suore, gli insegnanti di religione, i catechisti e le catechiste costituiscono un’eccezione. I giovani preti, anche se animati da buone intenzioni, non hanno gli attrezzi culturali per leggere il territorio, ma per la mafia è proprio come per l’Aids: solo se la conosci, la eviti.

b)     Considerata nella sua struttura complessiva la mafia appare un soggetto non solo criminale, ma anche politico. Senza il rapporto organico con la politica istituzionale la mafia non è mafia, ma delinquenza o banditismo. Da qui la necessità, su cui ritornava Paolo Borsellino, di usare l’arma della matita nelle urne elettorali. Ecco un altro ambito in cui il mondo cattolico si dimostra o troppo ingenuo o, in altri casi, troppo cinico. Se un candidato in campagna elettorale sbandiera la propria appartenenza ecclesiale come strumento di propaganda e si prodiga in iniziative assistenziali, va per questo sostenuto con i voti dei cattolici? In questi mesi assistiamo allo spettacolo desolante di politici che – dopo aver scontato la pena detentiva per favoreggiamento personale verso persone appartenenti a Cosa Nostra e rivelazione di segreti d’ufficio - invece di dedicarsi al volontariato, come promesso, sono nuovamente attivi nelle competizioni elettorali, forti di una rete di relazioni clientelari radicata nel giro delle parrocchie e dell’associazionismo cattolico. 

c)      Il sistema di dominio mafioso ha anche una dimensione economica. Contrastarlo significa dunque, da una parte, rifiutarsi di finanziarlo (per esempio pagando il pizzo) e, dall’altra, rifiutarsi di essere finanziati (per esempio accettando contributi pubblici preferenziali e donazioni private di origine oscura). Il teologo don Giuseppe  Ruggeri insiste da decenni su questo aspetto: solo una Chiesa povera smetterà di essere oggetto privilegiato di corteggiamento  da parte dei mafiosi e, libera da debiti di gratitudine, potrà alzare la voce  credibilmente nella denunzia della corruzione.

d)     Non pagare il pizzo, rifiutare privilegi economici: impossibile senza un’energia etica. E’ questa la dimensione in cui le Chiese cristiane (ma direi tutte le comunità confessionali presenti in Italia) dovrebbero essere, per così dire, specialiste. Ma è così? Davvero l’etica predicata e praticata nella Chiesa cattolica  è radicalmente alternativa all’ethos mafioso (intriso di sete di potere e di denaro, paternalismo, maschilismo, familismo, campanilismo, specismo, spregio delle bellezze naturali)? Nelle omelie domenicali, nelle confessioni individuali e comunitarie, nella preparazione alla cresima e così via, quanto si insiste sulla necessità di testimoniare, inseparabilmente dal messaggio religioso, i valori antropologici della verità, della giustizia, della libertà?

e)     La mafia – soggetto criminale, economico, politico – non è solo caratterizzato da una propria etica, ma tende a trasmetterla pedagogicamente. Le comunità cristiane sono consapevoli di questa sfida pedagogica e attrezzate a contrastarla per tentare, come ama dire il mio amico don Cosimo Scordato, di “strappare una generazione alla mafia”? Non si tratta di degradare l’educazione al mero contrasto (“anti”), ma di puntare “oltre” la tavola dei valori mafiosi: testimoniando modalità di convivenza comunitaria caratterizzate dal culto del senso critico, dal rispetto della legalità democratica, dall’intolleranza nonviolenta delle sperequazioni socio-economiche, dalla solidarietà soprattutto con i marginali, dalla parificazione dei diritti delle donne, dalla cura per il creato e in particolare per i nostri fratellini animali…

Augusto Cavadi

www.augustocavdi.com

Per la versione originaria illustrata cliccare qui:

https://www.zerozeronews.it/chiesa-e-mafia-lampi-di-verita-fra-ignavia-collusioni-e-ipocrisie/


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