domenica 29 maggio 2005

ALLA FINE DELL’ANNO SCOLASTICO


“Repubblica – Palermo”

Domenica 29.5.05

DIARIO SEGRETO DI UN ANNO DI SCUOLA

(Augusto Cavadi)

All’inizio era come per i ragazzi: dopo le vacanze estive, tornavo a scuola con un po’ di grugno. Poi, dopo i cinquant’anni, non è stato più così: un po’ perché ci si fa il callo, un po’ perché si matura la convinzione che alla ripresa autunnale è quasi un tornare al proprio posto di cambattimento. Tornare nella propria auletta come nella postazione di guardia, in trincea. A piantare qualche paletto. Preciso. Concreto. Un mattoncino limitato che, nel mare di chiacchiere sui destini dell’umanità e delle iniziative più o meno chiassose, costituisca una base solida per costruire eventuali architetture più ambiziose.

E dispiace che per molti colleghi non sia più – o non sia mai stato – così. Si dedicano con generosità a corsi per conseguire la patente per gli scooter o per usare i computer; per difendersi dall’Aids; ad organizzare stages di lingua in Gran Bretagna, gemellaggi con l’Ungheria, gite d’istruzione a Venezia…Tutte cose interessantissime, per carità. Ma che non devono essere scambiate per i fini della scuola. Che restano: leggere, scrivere e far di conto.

Ecco perché anche quest’anno non ho accompagnato i ragazzi in giro per l’Europa. Visitare la Grecia, terra stupenda, è un’esperienza indimenticabile: ma che senso ha portarci ragazzi che non siamo stati capaci di istruire sull’architettura di un tempio? Assistere agli spettacoli classici di Siracusa lascia un’impronta indelebile: ma non prima di aver saputo insegnare loro a comprendere e ad apprezzare una tragedia. Osservare un’industria petrolchimica è davvero istruttivo: ma del tutto inutile se la scuola non ha dato gli elementi basilari di chimica e di fisica per seguire le spiegazioni degli ingegneri sui processi di raffinazione del petrolio. Non ho ancora superato lo choc dell’ultimo accompagnamento, dieci anni fa, a Firenze: i fanciulli mi supplicarono di risparmiare loro lo stress della visita agli Uffizi in modo che potessero completare con calma lo shopping al mercatino rionale. Perché andare a Madrid se è per assediare il Mc Donald identico al clone che domina sulla piazza centrale della propria città? Perché andare a Vienna se è per ballare nella discoteca gemella del locale costruito a pochi chilometri da casa?

Stimolati da circolari ministeriali avveniristiche (a loro volta ispirate da brillanti pedagogisti che non hanno mai messo piede in un’aula reale e che fanno straziare di noia i pochi studenti universitari che seguono i loro corsi accademici), troppi colleghi s’industriano ad evitare il faticoso compito della lezione frontale. Ed è proprio qui che bisognerebbe investire la creatività, l’innovazione, la sperimentazione: su come far assaporare meglio l’abc del cittadino maturo. Altrimenti prendiamo in giro noi stessi, i genitori e – soprattutto – gli alunni: come se in un famoso ristorante offrissimo aperitivi, antipasti, contorni e dessert, senza né primi né secondi piatti.

Di tutto questo ho potuto parlare sottovoce con qualche collega particolarmente sensibile o, nei ricevimenti programmati, con qualche genitore in vena di confidenze. Per il resto, difficile esporsi. Anche un tipo come me, che non si è mai pentito del suo Sessantotto, rischia di passare per retrogrado conservatore. Eppure sono convinto che nessuna rivoluzione profonda e duratura possa eludere la necessità di contagiare alle nuove generazioni il gusto della lettura, il piacere di ammirare un quadro, la soddisfazione di risolvere da soli un’equazione algebrica di secondo grado.

Sono ormai ricordi lontani i colloqui di noi giovani docenti con i dirigenti scolastici attempati sul modo migliore di presentare un argomento o di sviluppare un tema: i presidi manager, che assomigliano sempre più a direttori di agenzie turistiche e sempre meno a professionisti della formazione culturale, nei brevi periodi in cui sono in sede, si dedicano a ben altro. Come mi confidava in questi mesi uno di loro, i preventivi degli albergatori e le fatture delle compagnie aeree non gli lasciano lo spazio neppure per sfogliare con calma una rivista.

In queste ultime settimane si moltiplicano, nei corridoi, i nomi dei colleghi che andranno – spesso anticipatamente – a riposo. L’elenco suscita un mix di rimpianto e di invidia. Anch’io avverto le sirene tentatrici del pensionamento. Ma so che, tra qualche settimana, quando tra luglio e agosto avrò ripreso in mano le mie carte, ascoltato qualche disco e incontrato qualche amico, ritornerò a scuola. Tornerò a sollevare la saracinesca del modesto negozietto del sapere, per dare anche ai meno dotati e propensi gli strumenti minimi per decodificare i libri e, soprattutto, il libro più fondamentale: il mondo e la sua storia.

 E’ vero: mi è capitato in sorte di vivere anche quest’anno sotto l’egida di un Ministro esperto in processi di apprendimento culturale quanto io lo sono di marketing e di finanza. Per giunta un ministro che deve fare i conti – anche in senso letterale – con un Presidente del consiglio che, nei momenti di commozione in cui rievoca gli anni di scuola, ricorda con tenerezza  i primi soldini guadagnati smerciando sottobanco i compiti per casa già svolti da vendere ai compagni più pigri. Lo so: poteva andarmi meglio.

Ma ciò non toglie che ho la fortuna , direbbe Merleau-Ponty, di svolgere come lavoro quella che è la mia più forte passione. E questa fortuna è più grande delle aule pulite male, del giardino incolto e zeppo di rifiuti, delle finestre assolate senza tende. E’ perfino più forte di uno stipendio umiliante, frutto di un perverso accordo: lo Stato ci paga quattro soldi e, in cambio, ci assicura che nessuno verificherà mai la nostra professionalità né misurerà la qualità del nostro servizio. E poi, quest’anno, la nuova normativa sulle Scuole di specializzazione per docenti (Sissis) mi ha regalato tre giovani laureati che frequentano le mie lezioni per imparare ad insegnare. Se proprio dovrò andarmene a casa, vorrò almeno portare la speranza che resteranno persone come loro: preparate intellettualmente, risolte psicologicamente, soprattutto motivate eticamente. Perché sino a quando ci saranno professori che ragionano e che insegnano a ragionare, eviteremo il grottesco pericolo che le tre ‘i’ promesse – o minacciate -  dal governo attuale (“internet, inglese, impresa”) si capovolgano in “ignoranza, impertinenza, irresponsabilità”.

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