“Repubblica – Palermo” 24.5.05
Augusto Cavadi
LIBERTA’ VIGILATA
La maggior parte dei ragazzi in corteo per Falcone nel 1992 o avevano qualche anno o non erano ancora nati. Questo dato anagrafico non è senza significati. Quello che per molti di noi era un volto preciso, un sorriso ironico, un sigaro, diventa un’icona senza tempo. Assistiamo in diretta ad una metamorfosi culturale: un fatto di cronaca diventa mito.
Di miti fondatori ogni civiltà ha bisogno per non diluirsi, per non annacquare e disperdere l’identità. Perciò non c’è da scandalizzarsi davanti a manifestazioni in cui la scenografia sembra prevalere sul raccoglimento, l’apparato liturgico sulla convinzione intima, lo slogan gridato sulla memoria accorata. Quando Salvatore lo Bue e i suoi giovani rileggono la vicenda di Giovanni e di Paolo con le categorie della tragedia greca tentano – al di là dei risultati propriamente estetici – un’operazione preziosa: dare un’anima spirituale alla lotta diuturna, e molto prosaica, contro il reticolo degli interessi mafiosi.
Ogni mito,però, presenta i suoi rischi. Proprio perché segna una trascendenza rispetto alla cronaca, può illuminarla e fecondarla ma anche eluderla, edulcorarla, mistificarla. Allora i compagni di Carlo Magno o i protagonisti del Risorgimento diventano figure a tutto tondo, senza difetti, senza contrasti interni, soprattutto utili ad appianare le differenze ideologiche e ad omologare le specificità politiche. Personaggi che in vita sono stati segni di contraddizione, costringendo l’opinione pubblica a schierarsi a favore o contro i princìpi guida del loro agire, diventano in morte degli stendardi inoffensivi da omaggiare a poco prezzo. Perciò vanno rispettati, almeno in ugual misura, quanti non se la sentono di partecipare alle manifestazioni ufficiali a fianco di politici, amministratori, magistrati o intellettuali con cui Falcone o Borsellino avrebbero evitato di prendere anche solo un caffé insieme.
Che si partecipi o meno al corteo antimafia, l’essenziale resta comunque altrove. Lo spartiacque attraversa altri terreni e, se lo si potesse seguire con attenzione, riserverebbe non piccole sorprese. Esso divide infatti i (pochi) cultori dell’antimafia faticosa, “difficile” (come titola uno dei quaderni del Centro “Impastato”) dai (molti) devoti dell’antimafia scontata, nel doppio senso di ovvia e di poco costosa. Parafrasando il vangelo, si potrebbe dire che il patrimonio civile ed etico della lotta alla mafia non appartiene a chi ripete “Falcone, Falcone” , ma a chi, nel proprio ambito, lavora quotidianamente per la sua stessa causa, con l’autenticità delle sue intenzioni e con la professionalità dei suoi metodi. Appartiene a quei magistrati che sfidano l’impopolarità non con le interviste più o meno eclatanti, ma con il rigore argomentativo delle sentenze. Appartiene a quegli insegnanti che educano alla democrazia non moltiplicando le conferenze d’occasione ma accompagnando i ragazzi nei loro tentativi – talora goffi, sempre sinceri - di partecipare alla gestione della scuola. Appartiene a quei presbiteri che organizzano la solidarietà sociale con progetti di promozione umana ben al di là della raccolta episodica di denaro in chiesa. Appartiene a quei dirigenti partitici che hanno la lucidità lungimirante di rinunziare ad appoggi equivoci, anche se provenienti da candidati o da galoppini in grado di catalizzare migliaia di voti clientelari. Appartiene a quei commercianti che si impegnano pubblicamente a non pagare il pizzo e a denunziare – con la protezione che può essere assicurata soprattutto dalla coalizione fra colleghi - gli estortori parassiti. Appartiene – come ci invitano in questi giorni alcuni dei nostri giovani concittadini più degni – a quei consumatori che dedicano qualche minuto del loro tempo a scegliere con oculatezza il negozio dove fare la spesa senza finanziare, oggettivamente, le casse della mafia.
Ecco: su queste – e su simili opzioni – si gioca davvero la differenza fra mafia e antimafia. Tutte le altre sono parole sprecate in polemiche che fanno perdere tempo prezioso e indeboliscono il fronte, non certo maggioritario, dei siciliani che non ne possono più di vivere in libertà vigilata.
Augusto Cavadi
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