martedì 29 marzo 2011

Antonino Cangemi su “101 storie di mafia”


“ItaliaInformazioni.com”

LIBRIAMO

“101 storie di mafia che non ti hanno mai raccontato”.
Le tante sfaccettature di Cosa Nostra nel libro di Augusto Cavadi

di Antonino Cangemi

28 marzo 2011

Scrivere su Cosa nostra non è facile. Il fenomeno mafioso è complesso e abbraccia molteplici aspetti che interessano diverse discipline: la criminologia, la sociologia, la storia, l’antropologia culturale, e persino la teologia. Peraltro la mafia, pur mantenendo un substrato legato a un’ancestrale subcultura tribale, ha assunto fisionomie diverse nel tempo. Basti pensare alla distanza che separa la mafia del latifondo della metà del 

































secolo scorso da quella, oggi in auge e poco visibile, delle operazioni finanziarie. Sciascia stesso, negli ultimi anni della sua esistenza, si impose di non raccontare più storie di mafia ammettendo che di essa, per come era profondamente mutata dai tempi de “Il giorno della civetta”, non aveva più cognizione. Ancora più difficile è trattare della mafia in un testo con finalità divulgative destinato a un pubblico vasto da catturare anche con il richiamo affabulatorio. Il rischio che si corre, in questi casi, è di una rappresentazione di Cosa nostra troppo colorita e di maniera che non rispecchi in pieno la realtà e contribuisca, seppure involontariamente, ad accrescerne il mito, almeno agli occhi dei soggetti di più fragile spessore culturale. Fenomeno che si verifica non di rado in tante fiction televisive e cinematografiche.
Augusto Cavadi, saggista palermitano di lunga militanza nel fronte di un’antimafia seria e di trincea, col suo “101 storie di mafia che non ti hanno mai raccontato”, Newton Compton editori, riesce a superare gli ostacoli. In questo volume Cavadi descrive la mafia e l’antimafia nelle tante sfaccettature che trovano riscontro nella quotidianità e con un taglio storico e sociologico appena avvertiti dai lettori, attratti dalla narrazione - per quanto fedele ai fatti e aliena da facili enfatizzazioni- fresca e accattivante.
Le storie raccontate in questo libro sono tante e diverse, in tal modo cogliendosi i variegati volti della “Piovra” (termine che non piace all’autore, consapevole dei pericoli di una raffigurazione spettacolare della mafia). Storie che mettono in risalto l’arroganza e talora la ferocia del potere mafioso, la perversa sottigliezza e l’eccentricità di padrini di ieri e di oggi, la mentalità dei cosiddetti “uomini d’onore”, il loro rapporto col divino singolare e del tutto opposto ai precetti evangelici, la fedeltà delle donne dei boss. Né mancano episodi che rivelano un insospettabile humor dei mammasantissima: come quando Calogero Vizzini, in contravvenzione perché sorpreso mentre fa la pipì sul muro della periferia di Palermo, invita anche il suo autista a urinare in pubblico poiché il vigile non ha con sé il resto della multa. Storie che puntano i riflettori sulle stanze del potere politico e di quello ecclesiale, poteri troppo condiscendenti e talvolta complici di quello mafioso. Che investono i cittadini comuni, indifferenti o terrorizzati dalla mafia: esemplare l’aneddoto di un anonimo ragioniere Chinnici che, stordito dal panico, scambia la scritta “PREPARATI CHIMICI” con un “PREPARATI CHINNICI” che sa di avvertimento mafioso.
Molto spazio è riservato ai giudici, poliziotti, sindacalisti, giornalisti, imprenditori che si sono opposti alla mafia, pagando spesso con la vita. Ma – e questo è uno dei tanti meriti del libro- accanto alle vittime della mafia entrati di pieno diritto nella storia, figurano personalità, per quanto di rilievo, dimenticate. Il giudice Saetta, ad esempio, ucciso dentro l’auto col figlio Stefano, il vigile urbano Salvatore Castelbuono fatto fuori per aver fornito preziose informazioni su mafiosi alla polizia giudiziaria, Antonino La Barbera, onesto dipendente dell’Enel freddato per non essersi piegato alle frodi di Cosa nostra legate agli allacciamenti dell’acqua e della rete elettrica. Come pure si ricordano gli esempi, purtroppo colpevolmente lasciati cadere nell’oblio, di uomini di non comune spessore etico: su tutti quello del pastore valdese Valdo Panascia, che osò sfidare con coraggiose iniziative gli autori della strage di Ciaculli e contrastare l’ignavia ecclesiastica degli anni Sessanta.
Non mancano, infine, testimonianze che invitano a riflettere sulle potenzialità e sui limiti dell’educazione alla legalità nelle scuole, tanto più significative ove si consideri che Cavadi è anche docente di Liceo. Toccante è la lettera di una collega dell’autore che ha lasciato il posto in banca per insegnare nelle periferie di Palermo spinta dalla volontà, sollecitata dal sacrificio di Falcone e Borsellino, di contribuire a far crescere in ragazzini di quartieri “difficili” una sana coscienza civile. Sì, perché, come ripeteva Gesualdo Bufalino, la speranza di sconfiggere la mafia va riposta, innanzitutto, sui bambini delle scuole elementari.

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