sabato 8 settembre 2012

Chiesa cattolica in campo. Sì, ma con queste regole


“CENTONOVE”, 7. 9. 2012

CHIESA IN CAMPO. SI’, MA A QUESTE REGOLE

La notizia della lista “Uomini nuovi per una società di uguali e partecipi”, promossa da un gruppo di preti palermitani in vista delle elezioni regionali, sembra inventata apposta pr agitare le acque già agitate e per confondere le idee già confuse. Ancora non si conoscono né i nomi dei parroci promotori né i nomi dei possibili candidati: anzi don Felice Lupo ha precisato che non si sa neppure se ci saranno i tempi tecnici per organizzarsi. Ogni valutazione di merito potrà essere avanzata, dunque, solo nelle prossime settimane. Oggi è possibile - e forse anche istruttivo – fissare alcune questioni di metodo, alcuni criteri di principio.
Si può benissimo partire dal paletto su cui i commenti locali e nazionali sembrano convergere con più decisione: se questa operazione vuole risuscitare (ammesso che sia mai morto) il vecchio collateralismo clericale, c’è da augurarsi che fallisca sul nascere. Ciò precisato, va però aggiunto subito un secondo birillo: rifiutata, giustamente, ogni ingerenza ecclesiastica nella dialettica fra partiti e correnti di partito, è preferibile il silenzio totale della chiesa cattolica sulle questioni sociali ed economiche? E’ preferibile l’afasia delle gerarchie cattoliche davanti ai fatti e ai misfatti dei politici dell’ultimo ventennio, quasi che fosse loro compito preoccuparsi della vita intima dei fedeli ignorando le “strutture di peccato” che producono illegalità, diseguaglianze, ingiustizie, sofferenze sanitarie, ignoranza, miseria, dominio mafioso, chiusura ai disperati extra-europei? E’ chiaro che a questa domanda sono legittime risposte. Tra queste riterrei ragionevole: no, non è bene che la chiesa cattolica taccia, assumendo atteggiamenti di neutralità, di indifferenza, di ufficiale equidistanza. Essa ha il diritto, anzi il dovere, di parlare e di agire. Ma a precise condizioni.
* La prima è di intervenire sul piano delle grandi opzioni etiche, senza entrare nei dettagli tecnici. Una cosa è la politica, un’altra la partitica. Una cosa sono i progetti complessivi, un’altra le tattiche elettorali. Una cosa è indicare le méte, un’altra prescrivere le strade per arrivarci. Nessuno avverte nostalgia dei tempi in cui il cardinale Ruffini convocava i capi-corrente della Democrazia cristiana al Palazzo arcivescovile per risolvere le crisi dei governi regionali.
* La seconda condizione: accettare la dialettica democratica. Se un papa, un vescovo o un parroco dicono la propria opinione sulla diminuzione delle spese militari o sulla progressività delle imposizioni fiscali, non devono pronunziarsi col tono di “padri e maestri”, ma di fratelli e compagni di strada: devono sottoporre la propria opinione al dibattito pubblico, alla critica razionale. La secolarizzazione implica anche questo: che ogni autorità religiosa può contare non sugli anatemi, ma sulla validità intrinseca di ciò che propone ad una società variegata anche dal punto di vista teologico e filosofico. E che, dunque, sia disposta non solo ad insegnare, ma anche ad imparare: o, almeno, ad accettare lealmente la ‘bocciatura’ di tesi che la maggioranza dei cittadini ritiene moralmente inaccettabili.
* La terza condizione: non proporre per la società civile nessuna riforma che non sia prima, sperimentata, dentro la comunità ecclesiale. Le librerie cattoliche sono strapiene di testi di teologi che lamentano, dentro le strutture ecclesiastiche, asimmetrie di potere, di ricchezza, di libertà di opinione. Prima di proporre ai siciliani una società di “uguali e partecipi”, sarebbe proprio fuori luogo chiedersi se dentro le parrocchie, i movimenti ecclesiali, le diocesi, si viva davvero l’uguaglianza dei diritti e la libertà di partecipare alle decisioni comunitarie?
* La quarta condizione: rispettare l’autonomia dei laici-credenti. Senza andare lontano, l’esperienza della Primavera di Palermo è stata indebolita fortemente anche dal paternalismo di quei gesuiti che avevano meritoriamente contribuito ad avviarla. Padre Sorge con più tatto, padre Pintacuda con mano più pesante, non hanno ritenuto di doversi limitare a ispirare, a sollecitare, a consigliare: hanno voluto, in troppi casi, mantenere il timone del comando. Hanno così cominciato con il litigare fra loro due e, poi, chi è rimasto più vicino ad Orlando, ha contribuito a sfasciare la Rete. Non abbiamo bisogno di Rasputin, di Eminenze grigie: ma di testimoni del vangelo che si limitino (si limitino?) a ricordare il messaggio rivoluzionario del profeta di Galilea. Egli non è stato un ‘moderato’ né, ancor meno, un equilibrista fra lobby diverse. Ha optato decisamente per chi era impoverito, intimorito, emarginato, sfruttato. Amare tutti, ricchi e poveri, non significa raccomandare ai ricchi di restare ricchi e ai poveri di restare poveri.
Il movimento di cui si parla in queste ore ha scelto come slogan il versetto biblico “Il lupo dormirà accanto all’agnello”. Il lupo rinunzierà a vivere sbranando i deboli della società? Woody Allen ci ha avvertito : “Non sono sicuro che l’agnello riuscirà a chiudere occhio”.

Augusto Cavadi

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