venerdì 29 marzo 2019

DONNE INVISIBILI ALL'OMBRA DI UOMINI CELEBRI

DONNE ALL’OMBRA DI UOMINI CELEBRI

Ci sono libri che leggi per cortesia nei confronti dell’autore che te ne ha fatto omaggio e , in genere, ti lasciano indenni da emozioni (gradevoli o sgradevoli). Donne  in penombra. Storie semiserie di donne poco importanti (Kimerik, Patti 2019, pp. 97, euro 13,00), di Mariceta Gandolfo,  non rientra in questa categoria. L’ho iniziato a sfogliare per una sorta di dovere professionale, in vista di una presentazione pubblica; ma, sin dalle prime pagine, mi ha coinvolto a più livelli.
Intanto, già dal punto di vista letterario-stilistico, l’idea che nove donne della storia occidentale (da Penelope e Santippe sino alla moglie del tenente Colombo e all’eterna fidanzata del commissario Montalbano) si confessino secondo i registri linguistici degli autori che, originariamente, ne hanno parlato (da Omero a Camilleri) mi è sembrata davvero intrigante. Così, ad esempio, Santippe è inserita in un finto dialogo platonico e donna Stella Malvica Corbera, principessa di Salina, si esprime come se fosse ancora dentro Il Gattopardodi Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Davvero un godimento estetico per chi, tra una e-mail e un post su facebook,  ama ancora frequentare i libri
Ma questo agile libretto non fa solo divertire: fa anche riflettere su un dato storico-sociologico oggettivo. A chi come me è impegnato all’interno del movimento nazionale “Maschile plurale” non può sfuggire il filo rosso che collega le nove protagoniste: sono tutte figure femminili vissute all’ombra dei partner maschili, ora come silenziosi supporti ora come fastidiosi contraltari. Figure, insomma, che nel bene e nel male vivono comunque di luce riflessa. E’ già di per sé un dato eloquente che sarebbe a occhio e croce impossibile trovare nove casi di maschi che debbano la notorietà ad altrettante donne celebri!
Ma vediamo qualche tematica emergente.
Quando si riflette sul rapporto di coppia c’è la tendenza a vedere  imprevedibili svolte schizofreniche lungo placidi percorsi abitudinari. Mi riferisco alla consuetudine, davanti a violenze clamorose nei confronti di donne e a veri e propri femminicidi, di supporre che i maschi protagonisti di questi delitti siano soggetti “normali” che, in preda a raptus improvvisi, consumano gesti del tutto inspiegabili. Ma è davvero così? O, di solito, c’è invece una coerente, invisibile,  continuità fra il prima e il dopo?  Il gesto estremo non è, forse, l’epifenomeno di un ménage coniugale che, già da sempre, si era basato sulla disparità dei ruoli e soprattutto di diritti e di dignità? 
Mariceta Gandolfo è molto attenta a sottolineare in tutte le storie che racconta questa iniquità di fondo: Penelope accetta di mantenersi casta in attesa di un Ulisse perdonabile per le avventure erotico-sentimentali (“un uomo non può stare lontano da casa per venti anni, mantenendosi casto e fedele al ricordo della sposa perduta”); Santippe accetta di sbarcare il lunario per sé e i figlioletti chiedendo “un pugno di lenticchie” alla vicina e girovagando “per i campi a cercare erbe selvatiche per fare un po’ di zuppa”; Gemma Donati attende invano per tutta la vita almeno un sonetto da quel marito che dedica versi immortali a una Beatrice “incontrata in tutto tre o quattro volte (la prima a nove anni e quindi poco conta)”; la principessa Stelluccia  considera la “profonda ingiustizia” di constatare che il marito, coetaneo, “era considerato un uomo nel pieno vigore e da tutti gli veniva riconosciuto il diritto di amare ancora”, laddove “a lei non si riconosceva altra gioia che quella di vedere le figlie accasate e di poter stringere presto un nipotino fra le braccia”; l’anonima signora Maigret da anni rassegnata “ad aspettare davanti a una pietanza che le aveva richiesto ore di fatica e che si raffreddava e induriva nel piatto, finché una telefonata tardiva non le annunciava che per quel giorno era meglio che pranzasse da sola, il commissario era impegnato e non sapeva nemmeno se sarebbe tornato a cena”; Miss Moneypenny vive per mesi in attesa di rivedere, sia pure per un’ora soltanto, il suo idolo James Bond e di ascoltare “la sua ultima missione, con quello stile tutto suo, ironico e disincantato, con cui descriveva i pericoli più eclatanti, i paesaggi più incantevoli, le donne più seducenti, con l’aria di non prendere nulla troppo sul serio e, nello stesso tempo, colorandoli di un fascino irresistibile”; Livia Burlando, l’eterna “fidanzata” del Salvo Montalbano, a volte avverte “la tentazione fortissima di piantare questo commissario, ormai cinquantenne e amareggiato, che non mi pensa mai, si dimentica di telefonarmi e addirittura ha cominciato a tradirmi”.
Forse la rappresentazione della vita di coppia in qualche passaggio è un po’ più amara della realtà: veramente, ad esempio, tutti gli uomini, come suppone lo sceneggiatore del tenente Colombo, vorrebbero avere una moglie con cui fare l’amore “un giorno a settimana” e che “per gli altri sei giorni” svanisca, anzi non esista proprio? 
Ma, quale che sia la diagnosi, l’autrice suggerisce una sua terapia (mettendola sulle labbra di un’avvocatessa matrimonialista rampante che assiste una risvegliata Bella Addormentata nelle pratiche di divorzio da un Principe Azzurro invecchiato, “con le borse sotto gli occhi, i capelli incanutiti e diradati, lo stomaco dilatato, lo sguardo che tradisce lo scorrere del tempo e la perdita degli ideali e delle illusioni giovanili”): “Innanzitutto tenere gli occhi ben aperti e non lasciarci condizionare da tutti i falsi miti dell’amore eterno e del matrimonio perfetto, come unica condizione di benessere e felicità per noi donne. E soprattutto educare le nuove generazioni”.

Augusto Cavadi

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