giovedì 10 settembre 2020

PIU' CHE REGIONE, MENO CHE NAZIONE


“Gattopardo” (Sicilia)

Agosto 2020

 

Un’isola non abbastanza isola

 

Polizzi Generosa - una cittadina sulle Madonie da cui ci si affaccia su un panorama incantevole – ha dato i natali a un intellettuale poliedrico (docente, poeta, narratore, critico letterario, politologo) vissuto a cavallo fra la fine dell’Ottocento e la metà del Novecento: Giuseppe Antonio Borgese.   La Fondazione a lui intestata ha ripubblicato un suo testo del 1933 destinato a presentare brevemente la Sicilia e i siciliani ai turisti. 

L’incipit è fulminante: “Un’isola non abbastanza isola: in questa contraddizione è contenuto il tema storico della Sicilia, la sua sostanza vitale”. Infatti è sì un’isola, ma “lo stretto di Messina che la separa dal continente nel suo punto più angusto non raggiunge i quattro chilometri” e “anche la separazione dall’Affrica [sic !], ben più vasta, ma non enorme (ottanta miglia)”, è geologicamente recente. Anche storicamente, la Sicilia ha avuto ed ha con il continente africano (pensiamo ai Cartaginesi e poi agli Arabi) e con la penisola italiana (vedi le vicende risorgimentali che portarono all’unificazione nazionale, senza mai riuscire a zittire le aspirazioni indipendentistiche) un rapporto travagliato: un perenne “nec tecum nec sine te vivere possum” (“non riesco a vivere né con te né senza di te”) che sintetizza il “destino umano” di quest’isola mediterranea. 

         Ma la matrice più influente della civiltà siciliana è stata greca. Dionigi il Vecchio, tiranno greco-siculo,  fece di Siracusa – fra il quinto e il quarto secolo avanti Cristo – “la maggiore città d’Europa”. Poi Roma conquistò l’isola che, però, non adottò il latino e mantenne la lingua greca (e in alcuni casi l’arabo) sino a quando, con Federico II e gli Svevi, non inventò il neo-latino: insomma, la Sicilia, essendo diventata “a un tratto neo-latina” “quasi senz’essere stata latina”, è “il luogo unico dove l’italianità fiorisce direttamente dal tronco ellenico”. I siciliani sono figli più di Atene che di Roma. Una conferma viene dall’architettura: “sarebbe esagerato dire che chi vuol vedere la Grecia vada in Sicilia”, ma “la visione della Grecia, se non vi s’aggiunga la Sicilia, è mutila”.  

        Con queste radici, e con questa storia, si capisce perché i siciliani ogni tanto sognano l’autarchia. Ma, per fortuna o per sfortuna, non ci riescono e certe aspirazioni restano velleitarie: “meno che nazione, la Sicilia è più che regione; non un frammento d’Italia, ma sua integrazione e aumento”. L’Italia, insomma, non sarebbe tale senza la Sicilia: solo alcuni connazionali meno evoluti culturalmente possono ostinarsi a dimenticarsene, ricordandosene solo quando decidono di trascorrere le vacanze in zone salubri e accoglienti. O quando intendono raccattare un po’ di consensi elettorali per rafforzare i propri schieramenti partitici. 

 

  Augusto Cavadi

www.augustocavadi.com 

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