domenica 23 luglio 2023

LAVORARE STANCA? UNA TERAPIA RICOSTITUENTE DALLA SAGGEZZA 'CLASSICA'

 LAVORARE STANCA, MA POSSIAMO ALLEGGERIRE NOI STESSI E GLI ALTRI





LAVORARE STANCA ? PROVIAMO CON INIEZIONI DI VIRTU'

 

Delle virtù umane principali tramandateci dalla cultura greca, romana e cristiano-medievale non sappiamo più né perché hanno lo strano aggettivo qualificativo di “cardinali” (costituiscono i “cardini” essenziali di una vita ben costruita) né quante sono (quattro) né come si chiamano (prudenza, giustizia, fortezza, temperanza). Se ne abbiamo perduto la nozione, a maggior ragione la pratica!

A rinfrescarci la memoria, soprattutto in vista di una ripresa operativa, ci ha provato il medico e bio-etico Salvino Leone nel suo recentissimo Che fatica! Le virtù nel lavoro quotidiano, Il pozzo di Giacobbe, Trapani 2023, pp. 156, euro 14,00. A suo parere, infatti, una rilettura di queste qualità antropologiche potrebbe ridare senso, e sapore, a ciò che occupa la maggior parte delle nostre giornate: il lavoro. 

La “prudenza” viene opportunamente rinominata la “virtù decisionale” per eccellenza di cui sono “manifestazioni specifiche” la sagacia, la docilità (nel senso etimologico di capacità di imparare da chi ha qualcosa da insegnarci), la lungimiranza, la circospezione, la cautela, la tempestività, la capacità di dare buoni consigli, il buon senso pratico. Vizi opposti sono, per difetto,  la negligenza, l’indiscrezione (o attitudine a violare la privacy altrui) e l’imprudenza (per avventatezza o per sconsideratezza); per eccesso, l’immobilismo, la perfidia, il silenzio colpevole.

La virtù principale tra le “virtù sociali” è ovviamente la “giustizia” con le altre qualità ad essa correlate: la bontà (cui si oppone la cattiveria), l’equità (cui si oppone la disparità), l’imparzialità (cui si oppongono tanto il favoritismo quanto l’egalitarismo, inteso – per dirla con don Lorenzo Milani - come “fare parti uguali tra diseguali”), l’onestà (che è il contrario dell’inganno) e la veracità (cui si oppongono la mendacità, l’ipocrisia, la maldicenza, la calunnia, l’indelicatezza), l’attitudine a correggere (equidistante fra i vizi opposti della condiscendenza e della durezza), il rispetto (che è rifiuto della derisione, dell’ingiuria e del disprezzo), l’affabilità (equidistante dalla scontrosità ma anche dall’affettazione), la gratitudine (che non è, ovviamente, ingratitudine ma neppure adulazione), la generosità (cui si oppongono tanto l’avarizia quanto la dispendiosità o prodigalità), la flessibilità (saggio equilibrio fra rigorismo e lassismo).

La “fortezza” (o, come diremmo oggi, la forza interiore) è la terza virtù cardinale cui fanno corona la pazienza (opposta all’impazienza), la tolleranza (opposta all’intolleranza), il coraggio (che dista certamente da pavidità e da mediocrità, ma anche da temerarietà), la perseveranza (che è contraria all’incostanza come all’ostinazione).

Quarta virtù basilare è la “temperanza” che – limitatamente all’ambito lavorativo – comporta laboriosità (che non è pigrizia ma neppure iperattivismo stakanovista o addirittura workaholism), diligenza (via media tra negligenza e perfezionismo), autocontrollo (contrario della propensione all’ira), umiltà (che, se intesa rettamente, non implica né autodenigrazione né superbia).


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1 commento:

Bruno Vergani ha detto...

La cosa strana e che le virtù non appena si insegnano diventano precetti, e il precettismo non sempre è una buona pedagogia.