mercoledì 21 marzo 2007

SCUOLA E ANTIMAFIA


Repubblica – Palermo 21.3.07

Augusto Cavadi

A SCUOLA DI POLITICA PER STUDIARE L’ANTIMAFIA

Come informa una recentissima circolare dell’Assessore regionale alla Pubblica Istruzione, scuole (dalle elementari alle secondarie superiori) e università hanno tempo sino al 30 aprile per presentare richiesta di contributi finanziari “per iniziative riguardanti attività integrative, di documentazione, approfondimento, studio e ricerca sul fenomeno della mafia in Sicilia, rivolte sia agli studenti sia ai cittadini del territorio”. Per favorire l’elaborazione, raccomandata dalla stessa circolare, di progetti in rete fra più istituti, due dirigenti scolastici palermitani hanno indetto in questi giorni una riunione di confronto delle esperienze e delle ipotesi di lavoro. E’ stato confortante constatare che una cinquantina, fra presidi e docenti referenti per l’educazione della legalità, hanno accolto l’invito: ma il quadro complessivo emerso dalla discussione non lo è stato altrettanto.

Una prima constatazione ha riguardato il clima di disincanto che si registra, in proposito, nelle varie scuole. Un po’ perché molte iniziative hanno ormai il sapore della ritualità ripetitiva, stanca, abitudinaria, senza scatti di fantasia creativa; un po’ perché le dichiarazioni programmatiche verbali sono spesso contraddette dal linguaggio dei fatti (così che un ragazzino, ad esempio, sin dal primo giorno di scuola sa che i raccomandati vanno nelle sezioni ‘buone’ e gli altri dove resta posto). Si tratta dunque di inventare nuove modalità di coinvolgimento (per esempio attraverso la produzione di audiovisivi o l’utilizzo dei cantautori italiani più sensibili ai temi della denuncia civile e della partecipazione democratica) , a partire da interrogativi emergenti dall’esperienza quotidiana (per esempio attraverso l’incontro con cittadini  - come i ragazzi di “Addiopizzo” – che provano a reagire con gesti concreti che coniugano le idealità alla convenienza). E soprattutto di provare a correggere, nella gestione delle comunità scolastiche, quelle forme di favoritismi clientelari,  inadempienze contrattuali e  complicità conniventi che creano (per responsabilità congiunte di vari adulti:  dirigenti, insegnanti, personale amministrativo ed ausiliare,  genitori) situazioni oggettive di illegalità permanente.

Una seconda constatazione ha riguardato  la necessità di un aggiornamento culturale specifico da parte di quella minoranza critica di educatori che, nonostante tutto, intende tenere accesi i riflettori. E’ stato notato, infatti, che le nuove generazioni hanno un’idea negativa del fenomeno mafioso: e questo è un dato incoraggiante. Se venti o anche dieci anni fa ci si offendeva dandosi del “pentito” o del “Buscetta” o dello “sbirro”, oggi è più frequente che ci si dia del “mafioso” con tono sprezzante. Ma questo dato positivo è in parte inficiato dall’impressione che fra i ragazzi  - esattamente come avviene nel dibattito politico nazionale – il fenomeno mafioso venga considerato un fatto residuale, un relitto del passato. La scuola, che ha avuto il merito di gettare discredito sulla mafia come criminalità armata e sanguinaria, deve adesso attrezzarsi mentalmente e didatticamente per aprire gli occhi degli alunni sulla mafia come sistema di potere affaristico-politico che inquina la competizione elettorale, la libertà d’impresa, la solidarietà fra i cittadini. Ma per dare questa lettura più critica e più ampia, gli insegnanti per primi devono avere la generosità di dedicare tempo ed energie alla loro autoformazione: se le loro conoscenze restano, sostanzialmente, allo stesso livello delle fiction  seguite in tv dai ragazzi, come possono giocare un ruolo davvero propulsivo?

A questo punto, però, si intuisce  - e ciò ha costituito un terzo ambito di discussione – che nessuna didattica antimafia è possibile se non viene inserita in un percorso di alfabetizzazione politica. Per prendere le distanze da chi strangola i bambini o fa saltare in aria i giudici, basta il buon senso supportato da un minimo di senso etico. Ma per prendere le distanze da chi introduce la corruzione sistemica inquinando i meccanismi con cui si decide quali studenti ammettere alle scuole di specializzazione, quali disoccupati assumere nelle aziende pubbliche, a quali imprenditori erogare finanziamenti,  quali medici promuovere al rango di primari, a quali aziende concedere appalti, con quali cooperative stabilire convenzioni…occorre conoscere un minimo il ruolo delle istituzioni. Se lo studente ignora  - come per altro molto spesso i suoi stessi docenti – la Costituzione; se non riesce a seguire un telegiornale perché sigle come Csm o Tar non gli dicono nulla; se non regge un confronto televisivo fra politici perché non ha la minima idea di cosa significhi liberismo o Stato sociale o corporativismo, come può esercitare una cittadinanza attiva? Nel corso dell’incontro palermitano sono stati messi a disposizione dei presenti vari strumenti bibliografici pubblicati negli ultimi anni: nella convinzione che cultura antimafia non può essere un meteorite occasionale, ma la tappa di un percorso curriculare, costante e transdisciplinare, che consenta  - ai docenti insieme ai loro alunni – di elaborare, gradualmente, una cultura politica. Che nella scuola non entri la politica dei partiti è un conto; che non entri la politica come “conflitto delle interpretazioni” di ciò che la società è stata ed è diventata, è un altro conto. La mafia - come sottosistema sociale che accomuna criminali  armati di mitra e criminali armati di capitali illeciti e di tessere partitiche fasulle – non la si riesce neppure a nominare se non si possiedono le parole elementari del diritto, dell’economia e della sociologia.

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