giovedì 6 novembre 2014

L'OMERTA' DI SALVATORE CUFFARO


“Repubblica – Palermo”

4.11.2014



L’omertà di Cuffaro e i valori cristiani



    Il comportamento esemplare di Salvatore Cuffaro come detenuto ha una macchia che gli impedisce di ottenere l’uscita dal carcere per l’affidamento ai servizi sociali: persevera nel rifiuto di collaborare  con i magistrati per consentire l’individuazione delle “talpe” interne agli apparati investigativi e giudiziari. La notizia di cronaca merita qualche riflessione ulteriore non solo per la notorietà pubblica del condannato ma soprattutto per la tipologia simbolica del suo atteggiamento.

    Ridotta all’osso, la questione può essere sintetizzata in una domanda: al di là dell’aspetto legale (penalmente rilevante), dal punto di vista morale fa bene Cuffaro a non denunciare i suoi ex-complici? Né sorprenda l’aggettivo ‘morale’ all’interno di un modus operandi criminale: la mafia è mafia – e non deliqnuenza comune – proprio perché una società improntata a un’etica. Disgustosa, inaccettabile quanto si voglia; ma un’etica.

    Ora, in base alla tavola dei valori mafiosi, il comportamento di Cuffaro è ineccepibile; anzi inevitabile. La fedeltà alle regole, esplicite e implicite, dell’organizzazione criminale  è , in teoria, un principio etico irrinunciabile (dico in teoria perché, in pratica, la storia più che secolare di Cosa nostra ci attesta trasgressioni continue e clamorose): e, tra queste regole, una delle più enfatizzate è l’omertà. Ogni forma di collaborazione con il sistema giudiziario statale viene considerata un tradimento della “fratellanza di sangue”: dunque, potenzialmente, punibile con la pena di morte. Del tutto comprensibile  - il che non significa giustificabile – che Cuffaro (“favoreggiatore” dei mafiosi) abbia paura e preferisca un anno di galera in più rispetto al rischio di gravi ritorsioni.

    Ma Cuffaro è anche, dichiaratamente, cattolico. Ciò non dovrebbe essere un fattore decisivo per dargli coraggio? La fiducia in un Maestro che si è fatto crocifiggere per difendere la causa degli ultimi della storia, delle vittime di ogni forma di prepotenza e di sfruttamento, non dovrebbe sostenerlo nella difficile scelta a cui è chiamato dalla legge degli uomini e dalla sua coscienza di credente? Purtroppo la risposta non è così inequivoca come dovrebbe risultare. Ci sono inchieste, interviste, documenti vari (molti dei quali confluiti nel bel libro della sociologa palermitana Alessandra Dino La mafia devota) che attestano, da parte di preti e personaggi interni al mondo cattolico, una mentalità ben diversa. A parere di tali esponenti della Chiesa cattolica il pentimento soggettivo, nel “foro interiore”, sarebbe necessario e sufficiente: opzionale, o addirittura sconsigliabile, tradurre in gesti pubblici la denunzia degli ex-complici. Quando in determinate contingenze l’arcivescovo  Di Giorgi      chiese a un gruppo di docenti della Facoltà teologica un parere sulla questione, la risposta fu netta: il cattolico è, prima di tutto, un cittadino. Se esce da Cosa nostra deve testimoniare davvero la propria conversione riparando, per quanto possibile, le ferite procurate; restituendo il mal tolto; aiutando lo Stato a perseguire i criminali e a impedire che continuino a seminare paura e morte. Purtroppo quel parere autorevole, confermato dal cardinale dell’epoca, è poco noto persino negli ambienti cattolici e, come dimostra il caso Cuffaro, disatteso da quei pochi che lo conoscono. Non resta che sperare che l’atteggiamento dell’ex-presidente della regione siciliana non venga assunto, nel presente e nel futuro, a modello da altri in situazioni analoghe. Comunque anche questa vicenda conferma quanto sia arduo il percorso di esodo della Sicilia dal sistema di dominio mafioso.



Augusto Cavadi

www.augustocavadi.com

4 commenti:

Maria D'Asaro ha detto...

La tua riflessione è ineccepibile. Ma ... per una volta, voglio provare a fare un'ulteriore considerazione: è possibile che l'ex presidente Cuffaro non denunci non per paura ma soprattutto per evitare a possibili favoreggiatori la sofferenza del carcere che lui sta vivendo?

Orlando Franceschelli ha detto...

Caro Augusto,
la vicenda aveva colpito anche me e questa tua opportuna puntualizzazione ne chiarisce bene tutta la portata etico-politica.
Cari saluti, Orlando.

Ettore ha detto...

Infatti, non denunciando può succedere che a soffrire siano quelli che i favoreggiatori vessano sicuri della loro impunità."Bella idea "quella di non denunciare i compari di bricconate.Ma le mafie non sono composte da "allegri bricconi" che rubano le caramelle ai bambini.In Sicilia dal 1947 ad oggi gli omicidi di mafia risultano quasi 3 mila comprese le stragi prodotte da quelle persone complici dei politici e dei loro servi istituzionali.

Anonimo ha detto...

Vittorio Riera. "Ma Cuffaro è anche, dichiaratamente, cattolico", così scrive il prof. Cavadi riflettendo il pensiero dell'inossidabile personaggio. Ma quale cattolico e cattolico. Certe figure - stavo per scrivere certi figuri e non alludo soltanto a Cuffaro - si servono del cattolicesimo per coprire e santificare le loro, chiamiamole così, magagne, si fanno scudo della croce e poi danno addosso alla povera gente inerme, indifesa, per difetto di cultura, dinanzi ai loro ragionamenti che considerati in sé non fanno una grinza. Altro, dunque, che cattolicesimo. Espressione del diavolo sono. Manifestazione del diabolico. Strumento di progetti luciferini.