“Repubblica – Palermo”
21.2.2015
IL VESCOVO IN STILE FRANCESCO CHE SERVE ALLA CITTA’
Come attende la comunità
palermitana la nomina del nuovo arcivescovo, ormai atteso da qualche anno dopo
che il cardinale Romeo ha già raggiunto i limiti d’età previsti dal diritto
canonico? Che il mondo ‘laico’ non si ponga neppure la questione è comprensibile.
In agenda ci sono questioni ben più urgenti e che toccano la quotidianità
(anche se, nel bene e nel male, il condizionamento del pastore della chiesa
cattolica sulla vita civile non è stato mai trascurabile, da Ruffini a
Pappalardo). Meno comprensibile è l’atteggiamento del mondo cattolico che
dovrebbe avere qualche motivo di attenzione in più.
Questa ad esempio la convinzione della comunità che si
riunisce nella chiesa di San Francesco Saverio all’Albergheria intorno alla
personalità carismatica di don Cosimo Scordato. Essa ha infatti reso noto un
documento, ripreso da vari organi di stampa nazionali, su come immagina la
figura del vescovo che - non più
eletto dalla base come avveniva per i primi secoli del cristianesimo – viene
nominato dalla Curia romana. In sintesi si possono richiamare quattro o cinque
punti qualificanti.
Innanzitutto questa comunità
cattolica attende un vescovo che sia “uomo tra gli esseri umani, sulla linea
del vangelo di Gesù”, in grado di “gioire e soffrire con gli altri, tenendo
lontano mire di carriera, liberando il ministero da ogni espressione di
dominio, di arroganza, di superiorità, di giudizio e condanna”.
Secondariamente, ma come
stretta conseguenza logica, dovrebbe caratterizzarsi “per l’atteggiamento di
ricerca; disposto ad ascoltare i problemi e le difficoltà della sua gente,
senza pretesa di essere detentore della verità” e, perciò, desideroso di
“riscoprirla continuamente dalla parola di Dio, dall’accoglienza delle persone
con i loro drammi e interrogativi, dalla ricerca della persona contemporanea”.
Dunque uno che “non pretenda di risolvere i problemi, ma ne cerchi la soluzione
in maniera comunitaria, sollecitando le istituzioni e offrendo la disponibiltà
della sua Chiesa”.
Tra i tanti problemi di una
città, un vescovo non dovrebbe avere dubbi sulle priorità: promuovere “la
diaconia della Chiesa nel servizio soprattutto ai disperati della città (senza
casa, disoccupati, emigranti, giovani disorientati…), aprendo le porte del
palazzo, dei monasteri e orienando i beni ecclesiastici a servizio dei poveri”.
Per esser credibile su questo terzo punto, egli dovrebbe finalmente rendere
“pubblico il bilancio della Chiesa e l’elenco del patrimonio della diocesi”.
In quarto luogo ci si
aspetterebbe che un vescovo desse per primo, personalmente, l’esempio: vivendo
più spesso fuori che dentro la sua residenza principesca, “superando formalismi
e legalismi”, quasi “vescovo di strada”, impegnato a favorire “il dialogo e
l’incontro con le altre esperienze religiose (ecumenismo), ma anche il dialogo
tra credenti e non credenti in vista della realizzazione del bene comune”.
Solo a queste condizioni un
vescovo può esercitare anche il ruolo di episcopos
(ispettore), vigilando affinché certe ingiustizie non abbiano spazio
all’interno della comunità affidatagli: “ingiustizie contro i bambini
(pedofilia e offese ai diritti dell’infanzia), contro le donne (violenze e
disparità), contro i diversi emarginati della comunità”.
Si tratta di desideri
utopici in senso negativo? Forse. Ma, se guardiamo indietro, già nel Nuovo Testamento si afferma che
“l’episcopo sia irreprensibile, sposato una sola volta, sobrio, prudente,
dignitoso, ospitale, capace d’insegnare, non dedito al vino, non violento ma
benevolo, non litigioso, non attaccato al denaro, sappia dirigere bene la
propria famiglia” (Prima lettera a
Timoteo, 3, 2 – 4). E , se guardiamo all’oggi, vediamo che il “vescovo di Roma” non solo si sforza di
rispettare l’identikit biblico, ma
pochi giorni fa – dopo anni di inesplicabile silenzio di Giovanni Paolo II e di
Benedetto XV - ha avviato il processo di beatificazione di un altro vescovo,
Oscar Romero, che ha cercato di prendere talmente sul serio la sua missione da
cadere sotto il fuoco dei sicari fascisti in Salvador. Dunque, qualche volta, l’improbabile
accade.
Augusto Cavadi
3 commenti:
Molto bello, come sempre sono i tuoi articoli. Grazie.
Ho seguito passo passo, al san Saverio, l'elaborazione di questo documento. Sono contenta che tu ne abbia fatto un editoriale.
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