domenica 22 marzo 2015

L'ANTIMAFIA E' TUTTA SOSPETTA ?


“Repubblica – Palermo”
21.3.2015

COME RICONOSCERE L’ANTIMAFIA AUTENTICA

Giovanni Fiandaca ha opportunamente avviato la riflessione sul doloroso frangente del fronte antimafia: spaccato per accuse contrapposte e, per giunta, in alcuni casi fondate. Del suo articolato ragionamento vorrei estrarre un passaggio e approfondirlo: con quali criteri possiamo distinguere l’antimafia autentica dal suo alias strumentale? Diciamolo subito: non è un test agevole. Ma irrinunciabile. L’esercito in  guerra contro il sistema di dominio mafioso non può permettersi doppiogiochisti  tra le proprie fila, soprattutto se occupano posti di rilievo.
Mi pare che, per un esame approssimativamente attendibile,  si possa provare a formulare tre domande. La prima: questo personaggio, o questo insieme di personaggi, sta guadagnando in termini finanziari dal suo impegno antimafia? Negli ultimi quarant’anni ho conosciuto centinaia di cittadini che hanno attivato associazioni, centri studi, movimenti, riviste, coordinamenti, centri sociali…non solo senza ricavare profitti ma investendo denaro di tasca propria. Questo non significa che le organizzazioni antimafia che ricevono fior di quattrini dalla Regione siano senz’altro inquinate: tuttavia la gratuità dell’impegno è un indicatore di cui tener conto.
Si potrebbe obiettare che individui e collettivi siano mossi  - quando non da cupidigia finanziaria – da desiderio di carriera. E’ uno dei sospetti formulati da Leonardo Sciascia nella famigerata polemica contro i “professionisti dell’antimafia”.  Una disamina onesta dei dati statistici conferma, da una parte, che in alcuni casi dichiararsi antimafiosi agevola il successo nella propria professione; ma che in molti più casi o non comporta vantaggi o comporta seri svantaggi. Ai magistrati, agli assistenti sociali, agli insegnanti, ai preti… che si sono schierati con decisione contro i mafiosi, di solito ciò non ha comportato privilegi. Se mai sorrisetti di compatimento, quando non aperta diffidenza. Ritengo un indizio di autenticità dell’impegno antimafioso di un funzionario  pubbblico constatare (senza aspettare necessariamente che venga assassinato dalle cosche criminali) che, proprio in conseguenza del suo impegno, viene scavalcato nell’assegnazione degli incarichi di responsabilità da colleghi più ‘moderati’, più ‘prudenti’.  Talora persino ricorrendo a modifiche della normativa vigente pur di bloccarlo.  Anche qui vorrei essere chiaro: ciò non significa, automaticamente, che chi fa carriera combattendo la mafia sia un opportunista. Significa solo che chi continua a fare antimafia, nonostante gli svantaggi in termini di  carriera professionale (e persino mettendo a repentaglio la stessa vita), offre un elemento di autenticità non trascurabile.
Ma – e siamo a un terzo criterio di discernimento – se non per fame di denaro e di carriera, non ci si potrebbe collocare fra gli antimafiosi per fame di notorietà, di successo massmediale?  E’ questa una tentazione ben radicata, e ben diffusa, fra i militanti dell’antimafia. La visibilità nella carta stampata o in televisione appare troppo spesso la passione segreta, ma divorante, di minoranze consistenti . Va precisato che si tratta comunque di minoranze numeriche e che solo per imperdonabile e qualunquistica ingenerosità si può semplificare il quadro ed affermare che in Sicilia ci si schiera contro la mafia per strappare quello straccio di notorietà che non si è stati capaci di raggiungere in altri campi e con altri mezzi. A piccole dosi, questa pulsione esibizionistica  è un vizietto più ridicolo che pernicioso. Grave diventa quando provoca spaccature fra un’organizzazione e l’altra solo per un’intervista in più o per un servizio televisivo in meno. Ancora più seria si fa la situazione quando l’esponente antimafia investe il patrimonio di visibilità pubblica candidandosi nelle fila di un partito politico.  E’ lecito affermare che passare dall’impegno antimafia (nella professione o a titolo di volontariato) all’impegno politico-istituzionale sia un chiaro sintomo di inautenticità? Ovviamente, no. Specie quando la decisione di candidarsi non è esclusivamente individuale ma nasce come risultato di una sinergia più ampia, come risposta all’invito di una fetta rilevante del movimento antimafia. Solo chi ha lo sguardo impuro proietta, in chiunque si renda disponibile alla politica attiva, volontà di dominio. Se però questo stesso esponente del movimento antimafia non si limita a dichiararsi disponibile, ma briga per candidarsi; una volta eletto non si mostra né capace di espletare il nuovo compito né di studiare per rendersene degno; non si limita a un periodo determinato della sua vita, ma si abbarbica alla poltrona  violando le norme statutarie del proprio partito o aggirandole saltellando da una lista all’altra… Ecco altrettanti indizi di una strategia che, per parafrasare don Lorenzo Milani, si serve dell’antimafia anzicché servirla.

Augusto Cavadi
                                                     


2 commenti:

Unknown ha detto...

Grazie, Augusto, per questo ulteriore contributo a questa più che spinosa questione che è la mafia e l'autenticità di quanti si battono sul fronte dell'antimafia. Per nostra fortuna, abbiamo esempi luminosi di un'antimafia autentica. Penserei al "Centro Impastato" e al suo Presidente, che da decenni ormai si batte con coerenza e costanza contro la mafia senza guardare in faccia nessuno e senza cedere, per quel che mi consta, a lusinghe, 'avanzamenti di carriera' e spazi di notorietà.

Maria D'Asaro ha detto...

Ottima disamina. Penso di "rilanciarla" nel mio blog. Grazie.