venerdì 14 settembre 2018

OLTRE LA SPERANZA E LA DISPERAZIONE: UNA SINTESI DEI 5 INTERVENTI INTRODUTTIVI

Oggi la speranza sembra aver perso molto del suo fascino, perché concepita come attesa passiva o come ingannevole illusione. Appare, perciò, quasi impossibile coltivare speranze di grande respiro, e tutt’al più ci si limita alle piccole speranze quotidiane.
a) Innanzitutto: cosa intendiamo, semanticamente, con la parola “speranza”? “L’attesa – più o meno attiva – di un bene che non è ancora presente ma che con qualche ragionevolezza si ritiene possibile” (Lilia Sebastiani). Questa ipotesi di definizione abbraccia ogni genere di “speranza”: sia essa orientata a beni immanenti (individuali come l’assenza di dolore o collettivi come la realizzazione di una società mondiale senza né padroni né servi) che a beni trascendenti (individuali come l’immortalità dell’anima o collettivi come la “ricapitolazione” di tutta la storia umana e cosmica in Dio).
Augusto Cavadi

Ma cosa dicono in proposito le tradizioni filosofiche e religiose?
b) Per i greci, in genere, la realtà è un tutto divino, una natura intesa come forza generatrice eterna e immutabile, che si manifesta nelle infinite forme di vita che si rinnovano secondo un ordine necessario e razionale. In questa visione, in cui la gioia è inseparabile dal dolore e la vita dalla morte e che ha trovato compiuta espressione nello stoicismo, non c’è evidentemente posto per la speranza. La grande speranza di una liberazione totale e definitiva dal dolore è invece possibile per Platone, che contrappone all’effimero mondo sensibile un mondo spirituale ed eterno, attingibile dalle anime immortali. La prospettiva biblica, al contrario, offre la speranza di un mondo buono qui sulla terra, e con Gesù pare che finalmente stia per avere inizio il regno di Jahvé. La morte di Gesù porta i discepoli a riformulare l’oggetto della speranza che, specialmente per opera di Agostino, diventa la beatitudine nell’aldilà, con la conseguente svalutazione medievale della vita terrena.
Elio Rindone

c) Si può sperare in Nulla? La domanda sembra paradossale, ma solo se si rimane in superficie. Nella tradizione filosofica occidentale si spera sempre in qualcosa e questo qualcosa riguarda il rapporto della singola persona con il trascendente, ovvero con il divino. Dunque, debbo potermi aspettare una qualche forma di salvezza, ovvero di sopravvivenza dell’io. Tale atteggiamento, tuttavia, finisce col produrre insieme alla speranza, cui si attribuisce in genere un valore positivo, anche la disperazione. Si spera perché si è disperato, si dispera perché si è sperato. Il primo atteggiamento, in estrema sintesi, è presente nella vicenda filosofica di Kierkegaard. La disperazione, giunta a consapevolezza, è la molla esistenziale da cui il singolo può compiere il grande balzo verso la fede nel Dio di Abramo. D’altra parte, seguendo l’iter poetico-filosofico di Leopardi, per esempio, si perviene ad una lucida disperazione, come presa d’atto della vanità, dell’insignificanza della “natura matrigna”, proprio perché, da giovani, ci si era naturalmente abbandonati alle speranzose illusioni tipiche di quell’età.
Se ci si distacca dalla trascendenza, invece, è possibile sperare in Nulla, proprio perché tutto è attualmente dato e non c’è nulla da aspettarsi, tanto meno la permanenza illusoria del proprio io. Questa concezione può essere declinata sostanzialmente in due maniere: la prima, tipica di Spinoza, che fa coincidere Dio e Natura, in una visione immanentistica e attualistica che non lascia spazio a speranza e timore se non come passioni egualmente da superare per giungere alla serenità tipica del saggio, che guarda al divino-naturale attraverso le categorie della ragione cartesiana; la seconda che possiamo riscontrare, per esempio, nella filosofia buddista, secondo cui l’essenza di tutti i fenomeni è quella “vacuità”, da cui dipende la loro insostanzialità ed impermanenza, da cui discende uno stile di vita che valorizza al massimo ogni aspetto della vita quotidiana, nel qui ed ora, da viversi per ciò che è e per come è, senza attese messianiche o millenaristiche.
Francesco Dipalo

d) La «suprema speranza» che Nietzsche-Zarathustra annuncia ai suoi discepoli è anche una speranza nuova, nel senso che essa deve prendere il posto delle antiche speranze della tradizione platonico-cristiana. Dopo la morte di Dio e la fine del retro-mondo metafisico, Nietzsche vuole “rifidanzare” l’uomo con la realtà naturale, superando sia il nulla in cui la morte del Dio biblico ha precipitato la coscienza moderna che la vecchia idea di uomo. Eterno ritorno e volto dionisiaco della natura sono l’approdo di questa parte del suo esperimento filosofico.
Ma la sua ‘grande speranza’ è appunto questa: che al posto del nulla e dell’ultimo uomo subentri un superuomo che sappia sostituirsi a Dio nel dire agli altri come devono comportarsi, riaffermando così l’a-sociale «istinto dei ‘signori’ per nascita (vale a dire della solitaria specie predatrice dell’uomo)». (Genealogia della morale). «Che cosa non darei, -si legge nella IV e ultima parte dello Zarathustra- per avere questa sola cosa: questi figli, questo vivaio vivente, questi alberi della mia volontà e della mia suprema speranza».
Questa «nuova bella specie di uomo» (ibidem) deve essere superiore a ogni valore (cristiano, democratico, socialista) di compassione e solidarietà per il gregge dei ‘mal riusciti’ e dei ‘superflui’. E se il suo avvento fa parte innegabilmente della nuova speranza e della «grande politica» annunciate dal quinto vangelo anti-cristiano di Nietzsche, proprio chi è interessato a ‘rifidanzare’ l’uomo con la natura non può sottrarsi a qualche considerazione critica. Più precisamente: non può non riprendere la propria ricerca non di un ritorno a prima di Nietzsche ma di una «via praticabile oltre Nietzsche» (K. Löwith). Nietzsche ha temuto che un giorno sarebbe stato santificato (Ecce Homo). Le dinamiche mercantili e le logiche di bio-potere innegabilmente operanti nelle nostre società non costituiscono la più insidiosa santificazione di fatto della neo-aristocratica «grande politica» nietzscheana? Se pensiamo che questo interrogativo ha un suo fondamento, sembra difficile non concludere che a contrastare questa santificazione sono maggiormente chiamati proprio coloro che, anche grazie a Nietzsche, sentono alle spalle ogni prospettiva teologico-metafisica. E alle sfide del presente (crisi ecologica, biotecnologie, migrazioni) sono impegnati a rispondere con una «fedeltà alla terra» ispirata non all’affermazione di un’autoreferenziale volontà di potenza (da Nietzsche concepita come «essenza» stessa della vita), ma a una plausibile, saggia e solidale ricerca della possibile felicità di ogni essere senziente.
Orlando Franceschelli

e) Le vite filosofiche sono essenziali alle strutture filosofiche, alle visioni del mondo. Abbiamo analizzato diversi momenti delle esistenze di filosofi quali Bruno e Galilei, Severino Boezio, Schopenhauer, Wittgenstein e messo in evidenza le ‘possibilità’ incontrate, nelle situazioni cariche di speranza oppure di-sperate. Abbiamo riscontrato che risulta innegabile che l’esistenza si muova fra le possibilità. La speranza è una figura di tale possibilità, che si instaura in modo spesso creativo. Ma la speranza è comunque una costruzione umana, che assume piuttosto la forma di un contenitore e non di un contenuto. Pertanto è legittimo analizzare, dal punto di vista propriamente filosofico, lo spazio emergente della speranza, piuttosto che la speranza stessa. Per Heidegger è l’angoscia e per Jaspers sono le varie situazioni-limite, ovvero quei determinati eventi della vita che ci appaiono particolarmente drammatici e che rimettono in discussione il nostro atteggiamento fondamentale fino a quel momento. La dimensione patica (il pathos dei sentimenti) dell’esistenza fornisce materiale al filosofo che ha il dovere, più degli altri, di affrontare e analizzare. Proponendo vari ‘esercizi di speranza’ abbiamo infine indicato l’esercizio fondamentale. Cosa emerge quindi dall’analisi del fondamento (Ur-grund) della speranza? Possiamo rintracciare il sentimento prevalente dei nostri tempi, la sperimentazione del nulla.
Salvatore Fricano
Qui tutte le foto e i video che vorrete visionare:
http://vacanze.domandefilosofiche.it/2018/09/2018-lovere/

2 commenti:

Unknown ha detto...

Grazie Augusto per questa efficace e gradita sintesi.

Maria D'Asaro ha detto...

Grazie della condivisione.