sabato 2 febbraio 2019

GOTT MIT UNS ? GESU' ANNUNZIA UN ALTRO DIO

“Adista”
21.12.2018

GOTT MIT UNS ?

Lc 4, 21-30

   
Tra le tante meraviglie che impreziosiscono i vangeli – a prescindere da valenze teologiche più o meno condivisibili – va annoverata una notevole penetrazione dell’enigma antropologico. Il brano di oggi ne costituisce un’illuminante esemplificazione.
   Quando qualcuno ci suggerisce di mettere in discussione i nostri parametri abituali di lettura e di conduzione della vita, siamo disposti a difenderci con gli argomenti più disparati. Anche i più capziosi.
   Nelle righe immediatamente precedenti alla pericope letta, Gesù aveva invitato a vivere la fedeltà a Dio come servizio ai sofferenti (“poveri”, “prigionieri”, “ciechi” e “oppressi”)
    Prima reazione degli ascoltatori: ma chi ti dà l’autorità per insegnare questa conversione profetica dal culto, dalla liturgia, al servizio, alla diaconia? Non sei forse “il figlio di Giuseppe”, uno di noi ?
    Gesù replica con la constatazione del dato, più volte registratosi nella storia, che “nessun profeta è bene accetto nella sua patria”. E ricorda degli antecedenti biblici: Elìa che soccorre “una vedova a Sarèpta di Sidòne”, non israelita, come non israelita era stato Naamàn, il Siro, lebbroso purificato da Eliseo.
    “All'udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno. Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù”: che cosa ha scatenato questa seconda, più violenta, reazione degli astanti?
    Si possono fare solo ipotesi. Per esempio, che Gesù – richiamando Elia ed Eliseo -  risulti un presuntuoso colossale, un millantatore blasfemo (soprattutto alle orecchie di chi attendeva il ritorno in terra del grande Elìa come messìa definitivo). Solo questo? Forse c’è di più. Egli, infatti, evidenzia ciò che i comportamenti dei profeti citati presuppongono e rivelano: la volontà salvifica universale di Jahvé. Smaschera la tentazione perenne – che in alcuni periodi storici, come il nostro, divampa più prepotentemente – di fare del Padre/Madre comune una proprietà tribale: Dio ridotto a bandiera (“Deus vult”, "Gott mit uns”), a simbolo identitario di una chiesa, una nazione, un’etnia, un partito politico.            
   La logica divina, interpretata da Gesù, è irriducibile a queste strategie di strumentalizzazione ideologica. Il circolo che si attiva, quando non si rispetta tale logica universalistica, è davvero demoniaco: il popolo credente si chiude agli altri, agli stranieri, ai ‘barbari’;  il profeta invita ad allargare gli orizzonti della mente, e del cuore, sino a comprendere gli sfruttati e gli emarginati; i destinatari si rifiutano e restituiscono l’invito al mittente; Dio allora, bypassando i ‘santi’ e i ‘giusti’ (che si auto-comprendono come privilegiati e sbandierano come titolo di merito l’appartenenza al vero Dio), si rivolge direttamente agli sfruttati e agli emarginati,  che non si sognano neppure di vantarsi dell’attenzione particolare di Dio nei loro confronti; ma questo dirottamento – lungi dal convertire gli ‘eletti’ – li inferocisce ulteriormente e li incattivisce ancora di più verso gli ‘infedeli’. 
Se un profeta, come fa Gesù in questa occasione, svela e racconta questa dialettica fra la misericordia divina e la microcardìa umana, non si attira certo approvazione e consenso, ma rabbia e dissenso. Il testo dice che i falsi figli di Dio vogliono gettarlo giù dal monte dove era costruita la città. Gesù, passando in mezzo a loro (con silenziosa, composta, autorevolezza – immaginiamo) , procede oltre, indenne, per la sua strada: a precipitare nel baratro dell’ipocrisia e dell’infedeltà sostanziale (nonostante lo sbandieramento dei simboli religiosi e delle parole d’ordine teologiche) sono proprio i suoi attentatori.
  
Augusto Cavadi
www.augustocavadi.com

1 commento:

Fabrizio Mandreoli ha detto...

Ciao Augusto
letto "Gott mit uns?" oggi: mi è piaciuto.
Un saluto da Giordania,
F.