mercoledì 26 febbraio 2020

CHIESE E MAFIE: "ADISTA" INTERVISTA AUGUSTO

Chiesa e mafia: 40 anni di fatti e documenti in un libro curato da Augusto Cavadi 

Tratto da: Adista Notizie n° 4 del 01/02/2020

40113 ROMA-ADISTA (Luca Kocci). Il Vangelo e la lupara: il primo, la «buona notizia» di liberazione annunciata da Gesù di Nazareth; la seconda, strumento di morte e simbolo di Cosa nostra. Antitetici per natura, talvolta però, nel corso della secolare storia dei rapporti fra Chiesa cattolica e mafie, anche posti uno accanto all’altra sui tavoli degli «uomini d’onore» che si professano cattolici mentre ordinano o commettono omicidi e sulle scrivanie dei parroci che preferiscono il silenzio alla denuncia.



Il Vangelo e la lupara. Documenti e studi su Chiese e mafie è il titolo del libro curato da Augusto Cavadi (teologo critico e filosofo «di strada», cofondatore della scuola di formazione eticopolitica “Giovanni Falcone”, autore di numerosi saggi:www.augustocavadi.com) che, dopo la prima edizione del 1994 in due volumi andati esauriti e mai più ristampati dalle Edizione Dehoniane, viene ora ripubblicato in una versione più agile e completamente aggiornata dall’editore trapanese Di Girolamo (pp. 236, euro 20; il libro può essere acquistato anche presso Adista: tel. 066868692; email: abbonamenti@ adista.it; sito web: www.adista.it)



«La finalità – si legge nella prefazione – resta la medesima di 25 anni fa: sollecitare tutti i cittadini, in particolare coloro che si dichiarano seguaci del Vangelo di Gesù di Nazareth, a uscire dall’ingenua e pericolosa illusione di poter mantenersi equidistanti tra il sistema di dominio mafioso e la lotta per una legalità democratica effettiva».



Il volume analizza e documenta la complessa storia delle relazioni fra Chiese e mafie, con saggi storici di p. Francesco Michele Stabile (La Chiesa cattolica e la mafia: uno sguardo d’insiemeDa papa Giovanni XXIII all’inizio del Concilio Vaticano II: 1958-1963Dal dopo-Concilio alla fine degli anni Ottanta: 1966-1989) e mons. Cataldo Naro (Dal ventennio fascista al secondo dopoguerra: 1924-1956); documenti ecclesiali (La camorra oggi è una forma di terrorismo: 1991, dei preti della Foranìa di Casal di Principe di don Peppe DianaCredere e resistere a Palermo: 1992, della Chiesa valdese di Palermo; Per una corretta prassi ecclesiale: 1994, del Consiglio pastorale della diocesi di Palermo); interventi pontifici (La mafia è una strada di morte: 2010di papa Benedetto XVILa ‘ndrangheta è adorazione del male e disprezzo del bene comune: 2014 Non si può credere in Dio ed essere mafiosi: 2018, di papa Francesco); contributi vari di Cavadi (Dalla prima alla seconda visita di Giovanni Paolo II in Sicilia: 1981-1993), Delia Parrinello (l’ultima intervista a don Pino Puglisi), mons. Raffaele Nogaro (Don Peppino Diana martire per la giustizia); e un ampio saggio introduttivo di Cavadi che del fenomeno Chiese e mafie offre «una chiave di lettura complessiva», senza grossolane generalizzazioni (“la Chiesa e la mafia sono identificabili”, oppure, si segno opposto, “la Chiesa e la mafia sono due realtà irriducibilmente opposte, come l’acqua santa e il diavolo”), ma con lo sguardo attento, critico e profondo di chi legge e interpreta fatti e documenti da almeno quattro decenni.

-       Il Vangelo e la lupara dovrebbero essere incompatibili, l’uno la negazione dell’altro. Eppure scrivi che «la stragrande maggioranza dei mafiosi si professa cattolica, tiene molto a sposarsi secondo il rito cattolico, a battezzare e cresimare i figli, a lasciare il mondo con un solenne funerale in chiesa…».Quali sono le ragioni di questo volersi dire, e soprattutto volere apparire, cattolici?
·      Se adottiamo come sinonimi il messaggio evangelico e la professione cattolica non sciogliamo la contraddizione. Il mio punto di vista è che l’appartenenza a Cosa nostra (come a qualsiasi altra organizzazione criminale in Occidente) è incompatibile con il vangelo, ma non con quella versione edulcorata, burocratizzata, del vangelo che è diventata nei secoli la pratica cattolica. Con il linguaggio di Karl Barth, ma anche di teologi cattolici dei nostri giorni come Alberto Maggi, si potrebbe dire che la mafia è incompatibile con la fede ma compatibilissima con la religione. Quando un mafioso dice di essere cattolico, spesso non mente: nessuno, al catechismo o nelle omelie domenicali, gli ha spiegato che il guscio delle tradizioni, dei riti, delle norme non è il gheriglio della sequela di Gesù, predicatore povero e compassionevole verso i disgraziati. Come la maggior parte dei cattolici (almeno in Italia) è sinceramente convinto che accettare dei dogmi, per quanto astrusi, e frequentare abitualmente le liturgie, per quanto noiose, sia l’essenziale; mentre cercare nel silenzio la comunione col Mistero e servire gli impoveriti della storia sia un optional per chi avverte vocazioni straordinarie.
-       Forse all’aspetto propriamente teologico si accompagna un problema ecclesiologico: il cattolico medio, dunque anche il mafioso, vede che l’atteggiamento più diffuso tra vescovi e preti non è stato, e non è, di rifiuto netto e clamoroso delle organizzazioni mafiose… 
·      Come la maggior parte degli italiani, anche meridionali, i cattolici non sono né con la mafia né contro la mafia. Sono – o per meglio dire: si illudono di essere – neutrali. C’è un valenza militare, terroristica, della mafia che suscita facilmente ripugnanza e condanna. Ma sappiamo che la mafia è anche, e soprattutto, un soggetto politico e economico: da questo punto di vista il mondo cattolico è molto meno allergico. Secondo i periodi storici ritiene che essa non sia il male assoluto e che anzi possa servire da argine a mali peggiori: per esempio da diga contro il comunismo, durante la guerra fredda del XX secolo, o contro le nuove etiche ritenute permissive e eversive dei costumi tradizionali, oggi. Se un partito, o un intero schieramento politico, promette di difendere “Dio, Patria, Famiglia”, pur di fargli vincere le elezioni gli si perdonano tante pecche: a cominciare dai rapporti ambigui con la criminalità organizzata. Lo si è visto per un cinquantennio con la Democrazia Cristiana, poi per un ventennio con il berlusconismo e già i segnali ci sono tutti perché si rinunzi ad esigere dalla Lega di Salvini  un atteggiamento di netto rifiuto delle connivenze mafiose.  
-        E’ vero, ma non ti sembra che dal cardinal Ruffini a papa Bergoglio sia comunque cambiato qualcosa a livello strutturale?
·      In un certo senso è cambiato tutto, in un altro senso non è cambiato nulla. Certo, che i papi (da Giovanni Paolo II a Francesco, passando per lo stesso Benedetto XV) urlino la propria condanna della logica mafiosa e delle sue organizzazioni è una vera e propria rivoluzione. Ma affinché queste dichiarazioni solenni si traducano in atteggiamenti pratici, scelte pastorali, gesti concreti nei quartieri difficili delle città e nei piccoli comuni di provincia sarebbe necessario un grande movimento di rinnovamento culturale e etico di cui, onestamente, non vedo tracce. Già la curia romana, anche in esponenti di primo piano, prova a bloccare ogni minimo tentativo del papa di andare alla sostanza spirituale delle questioni: come si può sperare che questi tentativi si moltiplichino con successo nelle “periferie del mondo” dove il contrasto non è fra Chiesa e mafia in astratto, ma fra preti e laici impegnati nel territorio, da un lato, e mafiosi e para-mafiosi radicati nello stesso territorio, dall’altra?
-       Sei dunque piuttosto pessimista sul futuro immediato in questo ambito
·      Direi che, dal punto di vista puramente umano, non prevedo svolte significative nei prossimi decenni. Ma la storia insegna che talvolta l’improbabile accade. A proposito del nostro tema, l’improbabile sarebbe lo zampillare dal basso della piramide ecclesiale – direi meglio: dalla sua base – di una primavera mistica talmente autentica da abbracciare anche l’impegno politico. Solo questa rinascita spirituale profonda potrebbe dare a tanti battezzati, laici e preti, il coraggio di rischiare il martirio. Polo Borsellino, Rosario Livatino, Giuseppe Puglisi, Giuseppe Diana – mi limito ai nomi di alcuni cattolici notoriamente praticanti – hanno dato l’esempio: ma senza una vita di studio, di riflessione, di serietà professionale e pastorale, di rigore etico…non avrebbero certo resistito sino alla morte, e alla morte in croce. Qui a Palermo, invece di sperimentare modalità di imitazione creativa dell’esistenza di presbiteri come don Puglisi, si sono portate in giro per le parrocchie le sue reliquie: non c’è da essere tentati dallo scoraggiamento?
-       Perché, secondo te, la connivenza fra pezzi di clero e laicato cattolico, da un lato, e frange consistenti di cosche mafiose, dall’altro, ha funzionato e continua a funzionare?

·      .Semplificando direi perché la mafia chiede favori alla Chiesa e la Chiesa favori alla mafia. La mafia ha bisogno della Chiesa per darsi un apparato simbolico-ideologico di cui è priva e per darsi un prestigio sociale che potrebbe scemare. Ciò non mi scandalizza: è il mestiere del mafioso rubare ciò che gli serve, strumentalizzare parassitariamente le ricchezze non solo economiche ma anche culturali che gli servono. A scandalizzarmi è la tiepidezza con cui la Chiesa – diciamo adesso, per fortuna, alcuni pezzi di Chiesa – non reagisce e non si ribella. Ho già notato, prima,  come la Chiesa chieda alla mafia e agli amici dei mafiosi schierati nelle istituzioni un sostegno per difendere il “gregge” dai nemici ideologici, veri o presunti. Se poi, oltre a difendere i “valori non negoziabili” cari al cardinal Ruini, il sistema politico-mafioso garantisce privilegi fiscali, sovvenzioni, canali clientelari di assunzione nelle strutture statali, meglio ancora ! A livello più quotidiano, mi risulta che ancor oggi ci sono preti che ricorrono ai boss per farsi restituire la cassetta delle elemosine o i gioielli della Madonna trafugati. Insomma, forse più per ignoranza che per malafede, ancora troppi cattolici vedono nelle cosche mafiose una garanzia di “ordine” che lo Stato in alcuni casi non vuole offrire perché democratico e in altri casi non sa offrire perché disorganizzato.      

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