I VESCOVI ITALIANI E IL BUCO NELL’ACQUA… SANTA
27.4.2020
Anche la CEI (Conferenza episcopale italiana), come papa Francesco cui è molto in sintonia, oscilla fra posizioni non sempre dello stesso timbro. Così, nonostante i progressi dai tempi di Benedetto XVI e del cardinal Ruini (in cui si riteneva ovvio interferire con le politiche governative mediante contatti diretti), un comunicato in reazione alla conferenza stampa del presidente Conte sulla fase 2 della strategia anti covid-19, lascia per lo meno perplessi.
Come si legge sul sito ufficiale della CEI, “alla Presidenza del Consiglio e al Comitato tecnico-scientifico si richiama il dovere di distinguere tra la loro responsabilità – dare indicazioni precise di carattere sanitario – e quella della Chiesa, chiamata a organizzare la vita della comunità cristiana, nel rispetto delle misure disposte, ma nella pienezza della propria autonomia. I Vescovi italiani non possono accettare di vedere compromesso l’esercizio della libertà di culto. Dovrebbe essere chiaro a tutti che l’impegno al servizio verso i poveri, così significativo in questa emergenza, nasce da una fede che deve potersi nutrire alle sue sorgenti, in particolare la vita sacramentale”.
Formulata così, la protesta appare ineccepibile: lo Stato fissa le regole, la Chiesa cattolica le rispetta e – all’interno dei paletti fissati – fa ciò che ritiene più giusto.
Se scrostiamo la superficie, il quadro non risulta però così evidente. In una logica democratica, la Chiesa cattolica non deve pretendere né più né meno di qualsiasi altra organizzazione religiosa, culturale, politica, sindacale, sportiva. Il decreto del governo italiano ha forse consentito assemblee, cortei, convegni, manifestazioni sportive – insomma occasioni di assembramento per decine o centinaia o migliaia di persone? Se sì, i vescovi italiani hanno ragione da vendere. Ma chi ha ascoltato la conferenza stampa di Conte e letto i quotidiani del giorno dopo sa che non è così. Perché, allora, dovrebbe essere consentito ai cattolici ciò che è vietato agli induisti, ai membri di un sindacato o ai tifosi di una squadra di calcio?
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6 commenti:
Riporto da ora in poi i commenti di AREA CATTOLICA PRATICANTE (!) in sintonia - per me un po' sorprendente - con le mie opinioni sulla Nota dei vescovi italiani.
Comincio con Giorgio Trizzino, medico stimato molto prima (e più!) che parlamentare.
Frequentare le Chiese e partecipare alle funzioni religiose è un rischio che in questo momento non possiamo far correre alla popolazione anziana.
Ero certo che Salvini avrebbe utilizzato anche questo argomento per continuare nella sua campagna di odio e rancore nei confronti del Governo.
Ma non mi aspettavo che anche la CEI prendesse posizione con tale tempestività. Strano che il documento fosse già pronto e pubblicato quando il decreto del Presidente del Consiglio non era ancora firmato.
Lo vogliamo comprendere che qui non si sta scherzando!
Troppi soggetti anziani sono morti perché non siamo riusciti a difendere la loro vita.
Finché non avremo certezza di poter contenere e contrastare efficacemente una eventuale ripresa dei contagi dobbiamo mantenere la massima prudenza perché il principio che deve guidarci è la tutela della salute di tutti e soprattutto dei più fragili.
A volte non fare la comunione o andare in Chiesa può essere necessario e sono certo che anche Papa Francesco è d’accordo.
Da Salvo Porrovecchio, medico ospedaliero (ricevuto via FB):
Se i vescovi la mettono sul piano dei diritti civili allora dovrebbero essere in grado di garantire anche la sicurezza dei cittadini che vanno a messa, per esempio disinfettando regolarmente la chiesa e gli arredi prima della messa, fornendo dispositivi di protezione a tutti i fedeli che entrano in chiesa, garantendo la distanza di sicurezza, il servizio d'ordine, possibilmente fornendo servizi come prendere la temperatura o magari fare i tamponi ai fedeli che lo richiedono ecc.
La realtà delle nostre comunità parrocchiali e di base sarebbe in grado di garantire tutto questo?
Intervista odierna del vescovo di Pinerolo:
Il vescovo di Pinerolo:
“Serve prudenza. Io per quel virus ho rischiato di morire”
“Ai vescovi suggerisco prudenza. Non sapete fino in fondo cosa sia questa malattia.
Non è finita ancora, non forzate la mano”. Don Derio Olivero, 59 anni, vescovo di
Pinerolo, a fine marzo è risultato positivo al test per coronavirus. È stato gravissimo.
Intubato e tracheostomizzato, ha rischiato di morire. Ora è guarito, seppure sia
convalescente in ospedale. A Repubblica racconta la sua esperienza, spesso
interrompendosi per piangere.
Come commenta lo scontro fra vescovi e governo?
“Credo non sia il momento di essere imprudenti, ma collaborativi. Il comunicato mi
sembra abbia un pò troppo il tono dell'autonomia. Non è questo il tempo di mostrare i
denti bensì di collaborare”.
Si può vivere senza l’Eucaristia?
“Abbiamo rinunciato al triduo pasquale. Perché non provare a pazientare? Credo che
questa epidemia possa essere un kairós, un'occasione da cogliere anche nel modo di
fare pastorale. Molti vescovi si sono industriati per far pregare le persone nelle case.
Molti sono tornati a pregare come non facevano prima. Perché non insistere sulla
necessità di reimparare la fede nelle case? Altrimenti rischiamo di tornare a celebrare
le messe lasciando però che poi la vita di tutti i giorni sia vuota. La messa può anche
essere una parentesi in un vuoto quotidiano”.
Non di sole messe vive il fedele.
“Di fronte a tragedie come queste si vince insieme. Chi mostra i denti ribadisce i
propri diritti e pare che vinca, ma collaborerà alla sconfitta”.
Come è stata la sua malattia?
“Durissima. Devo ringraziare i medici dell'ospedale di Pinerolo, un’eccellenza in
Italia. A un certo punto ero certo che sarei morto. Anche i medici me l’hanno
confermato. Prima della malattia se mi avessero chiesto cosa pensassi della morte
avrei risposto che avevo molta paura. E, invece, in quei momenti in cui davvero ero
vicino alla morte ero in pace, tranquillo”.
Cosa provava?
“Sentivo che c'era una forza che mi teneva vivo. Non avevo la forza di muovermi, ma
sentivo una presenza che mi teneva su. Quando mi sono svegliato ho visto che
centinaia di persone si sono raccolte per pregare per me”.
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Che sensazioni provava esattamente?
“Come se tutto stesse evaporando, tutte le cose, tutti i ruoli, tutto. Sa cosa restava? La
fiducia in Dio e le relazioni costruite. Ecco io ero fatto solo di queste due cose. Erano
due cose salde, erano me”.
Era in pace?
“Posso confidarle questo: c’è stata una mezza giornata in cui ho avuto un’esperienza
bellissima. Sentivo una presenza quasi fisica, quasi fosse lì da toccarsi. È una cosa
indicibile che non avevo mai provato e che mi ha cambiato la vita. Piango e mi
emoziono ancora adesso. Se mi si richiedesse se sia disposto a tornare alla sofferenza
di queste settimane per riprovare l'esperienza di quella presenza direi di sì. Adesso
torno più entusiasta della vita. Questa malattia colpisce il respiro. Nella Bibbia
respiro significa spirito, vita. Lo spirito che viene dato. Ogni respiro è un regalo da
gustare, viene da Dio”.
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Intervista a cura di Paolo Rodari pubblicata su “la Repubblica” il 27.04.2020
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Dal vescovo francese Gaillot:
Prima l’umano
Jacques Gaillot, vescovo di Partenia
Durante un pranzo il mio vicino tavolo, che è prete, mi informa di aver ricevuto una petizione per la firma: “Si chiede di anticipare l’apertura dei luoghi di culto. Che ne pensi?”.
Questo tipo di richiesta mi provoca un moto di fastidio. Non sopporto che la Chiesa pensi a lei, si preoccupi di lei. L’emergenza è altrove. Sarebbe il colmo se i luoghi di culto potessero aprire prima di bar e ristoranti!
Non è il culto ad essere la cosa principale. Né la pratica religiosa. Ciò che interessa di più all’uomo di Nazareth non è la religione, è un mondo più umano, più solidale, più giusto.
La sua felicità è vederci felici tutti, iniziando dagli ultimi. È venuto per liberare gli oppressi. La sua missione è liberare, non restaurare.
Essere cristiani significa avere la passione dell’uomo.
Oggi con la pandemia tante persone sono disoccupate, tante famiglie non possono più pagare l’affitto, tante persone e i loro figli conoscono la fame, tante persone conoscono la malattia e la solitudine...
Il bel rischio della Chiesa è quello di stare al loro fianco. Senza esitare. Senza aspettare. La Chiesa non è mai se stessa senza i poveri.
Il mio vicino aspetta la mia risposta: “Io sicuramente non firmerò una richiesta del genere. L’importante non è ripartire come prima. L’importante è andare verso i feriti della vita. Prima l’umano”.
Sono d'accordo!
Siamo anni-luce dal vero messaggio evangelico e dalla vita esemplare dei primi cristiani. Molti vescovi non capiscono che Dio non s'incontra in immense chiese rilucenti di ori e abbellite da statue e fregi di marmi pregiati(di questo hanno bisogno uomini che si vogliono sentire potenti)ne si fa racchiudere in un piccolo spazio dorato di un ostensorio. Dio si manifesta nel creato e nell'uomo che dobbimo rispettare.
Nino De Blasi
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