venerdì 9 aprile 2021

GIOVANNI XX, 19 - 31: QUALCHE CONSIDERAZIONE SUL VANGELO DI DOMENICA 11 APRILE 2021

 



“Adista- Notizie”

13.3.2021

 

IMITARE, NON ADORARE

Commento ‘laico’ (“Fuoritempio”)

Al vangelo della II domenica di pasqua (anno B)

11 aprile 2021

 

TESTO: Gv 20, 19-31

 

 

Pagina molto intensa, ma insidiosa. Meglio: insidiosa perché intensa, affascinante. Dopo aver letto i primi tre vangeli sinottici – così definiti per la struttura simile che li accomuna – dove la figura di Gesù è presentata nei suoi tratti più umani, qua il mistero sembra svelarsi in piena luce: Gesù non è solo un consacrato (“Cristo”) o un inviato (“Figlio di Dio”), ma “Signore e Dio” stesso. E’ spontaneo supporre che questo testo sia l’anello mancante nella lenta evoluzione fra la cristologia dei primi decenni e le formule dogmatiche dei grandi concili del IV secolo (Nicea e Costantinopoli). 

Se qualcuno fra i cristiani odierni ritiene che questo processo sia stato un dispiegamento dell’implicito, la fioritura di un seme, dev’essere libero di crederlo e di annunziarlo: dalla sua parte c’è una lunga storia di  proclami ‘ortodossi’. Ma – alla luce dell’esegesi biblica degli ultimi cento anni – la stessa libertà dev’essere riconosciuta ai credenti di tutte le chiese cristiane che leggono con legittimo sospetto questa metamorfosi cristologica. Essi, infatti, sanno che,  se già nei decenni (70 – 90) in cui sono stati redatti i primi tre vangeli ‘canonici’ era stata avviata una mitizzazione della figura del Maestro crocifisso intorno al 30, ancor più negli anni della redazione del vangelo di Giovanni (90 – 110) il ricordo del Gesù storico si era sbiadito ed era stato vieppiù sostituito dal Gesù della fede comunitaria.  

Comunque – seconda, non meno rilevante, considerazione – la confessione di fede attribuita a Tommaso dall’anonimo redattore del vangelo di scuola giovannea non aveva nessuna valenza esclusiva ed escludente: Gesù è il “mio” Dio, il “nostro” Dio. In tutte le grandi tradizioni religiose i guru, i maestri, le guide spirituali possono essere per i discepoli le icone del Divino, le immagini visibili del Dio invisibile: ma nessun discepolo sano di mente, sostenendo questo, intende svalorizzare altre guide spirituali, negando che possano essere “Dio” per altri discepoli. Il linguaggio dell’amore non è il linguaggio delle definizioni scientifiche o filosofiche. I passaggi neo-testamentari in cui si nomina Cristo , ci ricorda Paul Knitter nel suo illuminante Nessun altro nome ?, sono simili alle proclamazioni di un marito innamorato della moglie (“Sei la donna più bella del mondo…sei l’unica donna per me”): egli sarebbe il primo a cadere dalle nuvole se gli si chiedesse di “giurare che nel mondo non vi sono assolutamente altre donne belle come sua moglie, o che non vi sia nessun’altra donna che egli potrebbe eventualmente amare e sposare”. 

   Per secoli – e fino ai nostri giorni in molte chiese cristiane – si ritiene che ciò che si pensa di Gesù sia decisivo, discriminante, dimenticando l’avvertenza che Matteo 7,21 mette sulle sue labbra:  «Non chiunque mi dice: “Signore, Signore”, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli ». Un’avvertenza a cui diciotto secoli dopo farà eco una preghiera di Kierkegaard: «Signore Gesù Cristo ! Tu non venisti al mondo per essere servito e quindi neppure ammirato o adorato in quel senso. Tu stesso eri la Via e la Vita, ed hai chiesto solamente ‘imitatori’». Ma sappiamo bene che ammirare o adorare è molto più comodo, rassicurante, soporifero che imitare un lottatore per l’avvento del Regno. Guardiani dell’ortodossia se ne trovano a bizzeffe; un po’ meno numerosi testimoni dell’ortoprassi. 

 

Augusto Cavadi

www.augustocavadi.com

1 commento:

Unknown ha detto...

Discorso difficile. Confuso. Vi scorgo una grande cautela circa l'accettazione pacifica dell'interpretazione “canonica”dei testi evangelici, vista come inficiata da un imbroglio secolare. In tutto l'insieme mi smbra di poter rilevare soltanto una mancanza di fede. Ho cercato fra le righe dove si vuol andare a parare. Non vedo perché questo passo del vangelo di Giovanni debba essere l'anello mancante fra i primi decenni di cristianesimo e le formulazioni dogmatiche de secoli seguenti. Gesù oltre ad essere via e vita è anche verità. La verità di Gesù e su Gesù, bisogna conoscerla. La conosciamo soltanto perché ci è stata definita, altrimenti Gesù sarebbe uno sconosciuto. Conoscerlo è lo scopo delle formule dogmatiche dei vari concili. Quindi tutto è in linea. Non ci sono anelli mancanti. E' prettamente ideologica la distinzione fra il Gesù storico e il Gesù della fede comunitaria. Esiste solo il Gesù storico, definito dalla Chiesa perché la fede in Lui sia fondata su basi solide e quindi storiche. Non ci accontentiamo di miti o di favole. Siamo liberi di credere o no. Qui è tutta la nostra libertà. Nell'ultima parte del discorso si parla di imitazione e adorazione. E si fa distinzione fra le due cose, ritenendo l'adorazione la più facile e comoda. Non c'è distinzione. Gesù ci dice che il Padre vuol essere adorato in spirito e verità. Vuol dire che noi lo adoriamo se viviamo veramente la sua parola, vale a dire imitando il Figlio. La forma di adorazione cui si allude (faticosa e per niente comoda), è imitare Gesù nella preghiera silenziosa al Padre.