mercoledì 2 febbraio 2022

VALERIO GIGANTE SU ORTENSIO DA SPINETOLI


 Chiesa e religione: una liberazione possibile. Un libro di Ortensio da Spinetoli 

Valerio Gigante 29/01/2022

Tratto da: Adista Notizie n° 4 del 05/02/2022 


40954 ROMA-ADISTA. Inizio con una curiosità: siamo tanto abituati, specie sotto il pontificato di Francesco, a sentir parlare della necessità di riformare la Chiesa che, leggendo il titolo del libro di cui sto per parlare, ho commesso un errore di lettura che nasconde un significativo lapsus. E insieme una rimozione. Il libro è Rifondare la Chiesa. Una follia inevitabile. Si tratta della riedizione, a 35 anni di distanza, di uno dei più importanti libri del teologo cappuccino Ortensio da Spinetoli, edito nel 1986 dalla casa editrice Borla (col titolo Chiesa delle origini, Chiesa del futuro) e ora ristampato (con una prefazione di Augusto Cavadi e un’introduzione di p. Riccardo Pérez Marquez) per i tipi del Pozzo di Giacobbe (che di Ortensio ha già ripubblicato un piccolo “gioiello” datato 1967: Introduzione ai vangeli dell’infanzia, in cui il teologo confuta la pretesa oggettività storica delle narrazioni sulla nascita e i primi anni di vita di Gesù). Ebbene, guardando la copertina di Rifondare la Chiesa (pp. 242, € 17; il volume può essere acquistato presso Adista: 06/6868692, abbonamenti@adista.it, www.adista.it), ho più volte letto “Riformare la Chiesa”. Invece no: era “rifondare”. Il titolo originale del libro di Ortensio è stato opportunamente cambiato per sottolineare la dirompenza dell’analisi e delle proposte del grande teologo scomparso nel 2015, tra gli esponenti più significativi e originali del dibattito teologico post conciliare.

In tutta la sua riflessione teologica ed esegesi biblica, infatti, Ortensio non si è limitato a proporre alcune modifiche di ordine dogmatico, ecclesiologico, pastorale. Lo studio delle fonti, la loro interpretazione in chiave storico-critica, il radicamento nel messaggio evangelico ha condotto Ortensio, per tutto l’arco della sua vita, a proporre una visione non edulcorata o consolatoria della fede, una rappresentazione non addomesticata delle contraddizioni di quella Chiesa che pretendeva di essere interprete unica del messaggio di Gesù, una prospettiva di impegno per una fede adulta e consapevole che passa per il ribaltamento delle logiche mondane e delle ideologie che le supportano.

Ortensio ha pagato un prezzo alto per la radicalità e il rigore della sua indagine, con l’esclusione dell’insegnamento e la progressiva marginalizzazione dal mondo teologico istituzionale e dal suo stesso ordine religioso. Ma ha proseguito senza esitazione a scrivere e a parlare. Anche quando nel 1986 uscì Chiesa delle origini, Chiesa del futuro, il libro non fu affatto bene accolto dall’istituzione ecclesiastica.

Eppure, nel libro, Ortensio cercava di delineare un modello di Chiesa che potesse rispondere alle esigenze di oggi, rimanendo fedele alle radici della fede e della tradizione. Prospettava un ritorno ai valori predicati da Gesù. E riproponeva una serie di scelte che già il Concilio aveva prefigurato, ma che negli anni successivi a quell’assise sono stati vanificati da una gerarchia che non aveva avuto il coraggio di porre mano alla questione della inevitabile “follia” della propria rifondazione.

Ad esempio su una delle questioni centrali della riflessione di Ortensio (che tanto spiacque al recensore di Avvenire, nel 1986): quello della Chiesa di “popolo”. Già la Costituzione conciliare Lumen Gentium aveva tentato di affiancare al monarchismo del papa il principio della “collegialità” a livello centrale (sinodo dei vescovi) e locale (conferenze episcopali, consigli diocesani e parrocchiali); ma soprattutto aveva sottolineato l’importanza dell’ambito comunitario e il ruolo del popolo di Dio. Un’ecclesiologia “di comunione” che si richiamava esplicitamente alla proposta di Gesù, che non aveva previsto alcuna forma di organizzazione del gruppo dei suoi discepoli («né padri, né maestri», Mt 23,7-9; «chi vorrà essere grande sia vostro servo; chi vuol essere primo sarà l’ultimo, servo di tutti», Mc 10,42- 44). Spiega però Ortensio che, già dopo la morte di Gesù, alcuni suoi discepoli sentirono il bisogno o la necessità di raccogliere la “moltitudine” dei credenti intorno a una leadership. Cosicché, verso gli ultimi decenni del I secolo, il Nuovo Testamento registra due ecclesiologie: una popolare e una gerarchico-monarchica. I secoli successivi, con il trionfo della Chiesa costantiniana, hanno finito per occultare il primo modello di Chiesa, a tutto vantaggio del secondo. Ora, secondo l’analisi del teologo cappuccino, la Chiesa popolare – che ha solide radici nelle scritture – va recuperata. «La chiesa cristiana è diventata petrina. Cristo non ha perso il suo posto, ma in primo piano non appare lui bensì coloro che si dicono suoi "rappresentanti". Essi assorbono persino l'attenzione e gli onori dovuti a lui. La Chiesa del futuro dovrà fare la scelta opposta. Pietro dovrà ritornare nell'ombra, riprendere le sue vesti di pescatore e al suo posto deve entrare in scena Cristo, il povero, l’ammalato, l'afflitto, il perseguitato con i quali egli si è identificato, non i potenti e i sovrani della terra.


Valerio Gigante

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