mercoledì 20 agosto 2008

Francesco Palazzo su “Repubblica - Palermo” del 17.8.08


LA REPUBBLICA PALERMO DOMENICA 17 AGOSTO 2008

Pagina XVI

COPPOLE E FICHIDINDIA LA MAFIA PER I TURISTI

FRANCESCO PALAZZO

Passeggiando per Erice, ma accade anche in altri luoghi strategici del turismo siciliano, non ci si fa quasi caso. Tuttavia capita di distogliere lo sguardo dalle bellezze urbanistiche, artistiche e paesaggistiche e di notare che quasi tutti gli esercizi commerciali vendono una miriade di souvenir aventi come soggetto la mafia. Non sappiamo che mercato abbia tale merce, che presa possa avere sul viaggiatore americano, inglese o danese o sugli stessi italiani non siciliani. Difficilmente ci è capitato di vedere negozianti incartare questi ricordi “particolari” della Sicilia. Se ne trovano per tutti i gusti. Le statuette della mafiusa e del mafiusu, con l´immancabile lupara sotto il braccio, sono offerte in tutte le salse, pure dentro le classiche boccette di vetro, quelle che capovolte danno la romantica percezione della neve che scende a fiocchi. Sulle magliette, poi, si possono leggere scritte di tutti i tipi. Si va dal rinomato «non vedo, non sento e non parlo», alla frase «lupara, tecnologia sicula è», passando dagli immancabili «omu di panza sugnu» e «baciamo le mani». La donna sicula, in tale iconografia, è rappresentata con il seno grosso, baffuta, il sedere superdimensionato e il grembiule casalingo. L´uomo in divisa da combattimento con la coppola d´ordinanza. Alle spalle dei soggetti il ficodindia, simbolo eterno della Sicilia che non cambia. Tanto che, negli anni Cinquanta, uno storico fotocronista palermitano, constatando la propensione dei quotidiani a pubblicare foto di omicidi solo se sullo sfondo c´era un ficodindia, se ne portava sempre uno di cartapesta nel bagagliaio dell´auto, tirandolo fuori quando arrivava sulla scena del delitto.

Anni lontani. Vicina rimane l´esigenza di vendere un´Isola fatta di immaginette, dove della mafia non sono fornite chiavi di lettura che possano far capire al turista di cosa si parla, ma soltanto visioni stereotipate. Le quali, più che mettere ironicamente alla berlina i mafiosi e quanti ci vanno appresso, imbalsamano un´istantanea sempre uguale a se stessa: il mafioso è solo chi spara, colui che si esprime in un certo modo vestendo determinati abiti, che si accompagna a una consorte fotocopia, brandendo il fucile a canne mozze da mattina a sera. Insomma, al visitatore si suggerisce che basta guardarsi dal fucile puntato in mezzo agli occhi e poi può andare tranquillo, la mafia non potrà più scorgerla in alcun luogo. Tale raffigurazione è impressa nell´oggettistica più varia. Troviamo il tamburello, il guantone, l´adesivo, l´apribottiglia e via seguendo. Si può ipotizzare che dietro tali proposte di acquisto non ci sia in fondo un vero interesse commerciale, ma proprio una predisposizione culturale degli stessi siciliani o della maggior parte di essi. A chi viene da fuori si vuole comunicare che la mafia non è quella cosa terribilmente seria, complessa, strutturale, non emergenziale che abbiamo imparato a conoscere meglio negli ultimi trent´anni. Ma un fatto di pura folkloristica violenza, che si può proporre negli scaffali tra un vaso di ceramica e una collanina di perle. Mentre argomento mentalmente queste idee, entro in una libreria e vedo l´opuscoletto di Augusto Cavadi (dell´editore trapanese Di Girolamo) “La mafia spiegata ai turisti”, tradotto in sei lingue. Il senso dell´operazione è esattamente l´opposto. Quasi al prezzo di uno solo dei tanti ricordini che dicono niente sulla criminalità organizzata siciliana, si danno poche ma fondate informazioni sulla mafia e sull´antimafia. Souvenir inutili o un piccolo utile libretto. Due modi profondamente diversi per ricordarsi dell´Isola quando si tornerà a casa. I primi continueranno ad alimentare l´ignoranza, il secondo contribuirà a far capire un po´ di più la Sicilia e i siciliani.

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