Oltre la (pur necessaria) critica demolitrice
Anche
ad opera di studiosi cattolici si è diffusa la critica all’impostazione
dottrinale e morale tradizionale: il libro di Bruno Mori (recensito in questo
stesso numero di “Viottoli”: https://www.augustocavadi.com/2025/01/dopo-limplosione-del-sistema-cattolico.html) ne
costituisce una recente, e non poco eloquente, testimonianza. Ma, dopo alcuni
decenni di pars destruens, è arrivato il tempo della pars costruens:
di una vera e propria “rifondazione”, di una ri-partenza dalle fondamenta.
In
questa operazione ognuno è chiamato a dare la propria testimonianza. Personalmente
osservo con ammirata attenzione le sperimentazioni di vari compagni e compagne
di strada in direzione di un al di là delle religioni istituzionali,
alla ricerca di un’unione “mistica” (dunque silenziosa, ineffabile) con il
Segreto dell’universo. Ritengo tuttavia che questo orizzonte di ricerca
esperienziale trovi giovamento se accompagnato – direi quasi bilanciato – da un
contrappeso: una prospettiva spirituale al di qua delle religioni
positive. Anche i voli più arditi hanno bisogno di piste di decollo
terra-terra; anche i grattacieli più svettanti reggono solo su solide
fondamenta sotterranee. L’ipotesi che,
sino ad oggi, mi guida in questa ricerca è che le grandi “religioni” tradizionali siano state un apparato per esprimere un
sentimento di “religiosità” più basico, più elementare (spesso venato di tinte
panteistiche); il quale, a sua volta, è uno dei mille modi per manifestare la
tensione al “ben vivere” che ci caratterizza universalmente (almeno in questa
fase evolutiva), come esseri umani , indipendentemente dalle nostre convinzioni
nell’ambito della “religione” (istituzionale) e dalla nostra sensibilità
nell’ambito della “religiosità” (come sentimento più o meno vagamente mistico).
Come
denominare questa dimensione antropologica “laica” che accomuna credenti e
non-credenti in senso confessionale, anzi anche persone che non avvertono
nessuna apertura al “divino”? In attesa di uno più adatto, da tempo condivido
la convenzione linguistica, comune ormai a molti autori, di adottare il termine
“spiritualità”.
Poiché
ovviamente non è questione di etichette, l’impresa più impegnativa è di provare
a esplicitare i contenuti di una simile spiritualità ‘laica’: “esplicitare”
perché non si tratta di inventarli più o meno genialmente a titolo individuale,
ma di rintracciarli, di riconoscerli, di evidenziarli man mano che si ritiene
di incontrarli nelle proprie peregrinazioni sia diacroniche (nel mio caso
attraverso il patrimonio della tradizione occidentale) sia sincroniche (dunque
attraverso l’ascolto cordiale delle sapienze radicate nelle varie aree del
pianeta). Tra i maestri della storia occidentale (la cui voce profetica è stata smorzata,
quando non del tutto assopita) da cui ricavare indicazioni costruttive per i
nostri giorni rientra certamente Erasmo da Rotterdam (1466 – 1536) che - pur essendo un acuto, talora feroce,
critico della cristianità- si è impegnato strenuamente anche per offrire nuove
prospettive di metodo e di merito.
Un’idea
dell’essere umano
I molti
modi di concepire, e vivere, la spiritualità mi sembrano accomunati da una
caratteristica: intendono coltivare le migliori potenzialità dell’essere
umano. Ma quali sono queste potenzialità? Come distinguere le migliori
dalle peggiori e dalle pessime? In ultima analisi, siamo alla domanda che da
Socrate ad Heschel si ripropone puntualmente da una generazione all’altra: chi
è l’uomo (ovviamente inteso come genere umano, non come genere maschile)? Ecco
perché, per valutare una spiritualità -
per misurarne l’efficacia, i limiti e gli eventuali effetti disastrosi- è
decisivo metterne a fuoco la visione antropologica.
Nel
caso di Erasmo, egli rivela un’idea realistica del genere umano: che non è capace
solo di pensieri elevati e di azioni nobili, ma neppure riducibile a un immondo
groviglio di errori e cattiverie:
“L’uomo
è predisposto ad un’effettiva ragionevolezza, ratio, in forza del suo ingenium
o intellectus; tuttavia , tende fin dalla nascita piuttosto alla stultitia
, all’immoralità e alla follia, che praticamente si manifesta con ogni genere di
‘barbarie’ – ignoranza, immoralità, superstizione, crudeltà, ingiustizia,
oppressione, guerra, ecc. – Il mero sviluppo intellettuale non può quindi
essere d’aiuto perché, in caso di cattiva inclinazione, viene utilizzato in
modo improprio. L’educazione quindi è un’eruditio orientata a saggezza, sapientia
la quale, quando arriva a comprendere se stessa, diventa philosophia”[1].
Questo
essere ambivalente è segnato dalla vulnerabilità, dalla caducità, dalla
transitorietà:
“Quanto
è breve, fuggevole, fragile la vita dell’uomo, a quanti malanni è esposta, quante
malattie, quante calamità la assalgono di continuo: disgrazie, naufragi,
terremoti, fulmini. Non vi sarebbe quindi alcun bisogno di aumentare i mali con
le guerre; di qui tuttavia nascono più mali che da ogni altra calamità ”[2].
Esso
va dunque accolto con cura sin dai primi anni di vita, stimolato, accompagnato
nel suo processo di “fioritura” (Martha Nussbaum): ed è questo insieme di
strategie trasformative ed auto-trasformative che possiamo denominare
“spiritualità”. Più precisamente, nel caso di Erasmo, di una spiritualità che
definirei volentieri “laica”: egli lavora infatti nell’ottica di una religio
naturalis in cui s’intrecciano – a parità di merito - la sapientia
greca e l’insegnamento cristiano (dei primi secoli)..
Erasmo,
infatti, è uno studioso di letterature
classiche (greco e latino) - che, a suo parere, rappresentano il paradigma
dell’umanesimo – ma è anche un cristiano. Ed è convinto che non vi sia nessuna
opposizione fra la spiritualità naturale, basica, universale e il Vangelo di
Gesù Cristo. Anzi, se il messaggio cristiano viene liberato dalle
superfetazioni dogmatiche, moralistiche e ritualistiche, viene a coincidere con
la coltivazione di ciò che di migliore può esprimere ogni essere umano, in
qualsiasi area del pianeta si trovi a vivere: “Tutto quanto di storico,
cerimoniale e dogmatico c’è nel cristianesimo è puramente e semplicemente
secondario”[3] e può
confliggere con la saggezza condivisa dalla maggior parte dei popoli della
Terra. Ma ciò “ciò che conta è che lo spirito del Vangelo, cioè l’humanitas,
si realizzi durante tutta la vita”[4].
Così
egli cerca una chiave per uscire dall’impasse della Modernità
occidentale sia
“in quei pensatori, poeti e saggi latini e
greci le cui visioni della vita coincidono, a suo avviso, con il significato
più profondo del Vangelo” sia “in quei
padri cristiani che un tempo cercarono deliberatamente di armonizzare il
pensiero antico con il Vangelo nuovo. <<Santo Socrate, prega per noi!
>> esclama questo sacerdote cristiano quasi in visibilio”[5].
In
termini equivalenti, “la vera religione è tutt’uno con quella morale universale
di cui Socrate e Cristo hanno dato il grande esempio. Non solo la magia e il
ritualismo, ma anche la mitologia e il messianismo sono con ciò di fatto
aboliti: la vera imitatio Christi consiste nel perseguimento come
filosofo (philosophus) di quella piena saggezza che è un tutt’uno con
l’amore più alto”[6].
Una
cristologia sobria
L’angolazione
di Erasmo si comprende meglio se si esplicita la cristologia che vi rientra:
“se Cristo nel platonismo idealistico dei
fiorentini è soprattutto una figura divina, come ad esempio Orfeo, e l’uomo è
glorificato come Deus in terra (…), secondo il religioso moralismo tinto di
realismo di Erasmo, Cristo è piuttosto la norma dell’essere umano o, meglio
ancora, più propriamente: l’uomo normale” [7].
Già
in uno dei suoi primi scritti giovanili, De Contemptu Mundi, è evidente
il registro linguistico “laico” tipico del migliore Rinascimento: “definisce
Gesù il suo «amico più importante», per citarlo esattamente allo stesso modo
con cui cita Virgilio o Cicerone”[8].
Comunque
per tutta la sua esistenza resta convinto che gli slanci mistici o le
proclamazioni eroiche non hanno nessuna attendibilità se non si basano su un
solido fondamento: l’esercizio delle “comuni virtù che la ragione naturale o la
pratica della vita o gli insegnamenti dei filosofi forniscono anche ai pagani”[9].
La
prospettiva di Erasmo non è una sua esclusiva: egli vive in un’epoca in cui “lo
spirituale, che si è imparato a sentire in sé, non si considera più qualcosa di
sovrumano, ma lo si riconosce come tipicamente umano”[10].
Alcuni
tasselli del mosaico
Non
posso sintetizzare in poche pagine quella sorta di mosaico dalle molte tessere
costituito dalla spiritualità laica di Erasmo. Mi limito, quasi
telegraficamente, a elencarne alcune per suscitare il desiderio di continuare –
eventualmente – l’indagine meditativa su di esse.
a)
il primato
dell’esperienza sensoriale. Una
vita spirituale sana è radicata nell’esperienza corporea, nell’apertura alla dimensione fisica e della nostra
soggettività e di ciò che – suo tramite – possiamo incontrare. Sulla base di
questa convinzione, Erasmo accorda all’esperienza diretta della natura
accessibile ai sensi la priorità rispetto allo studio dei testi scritti da
altri osservatori, sia pur illustri, quali possano essere “Aristotele,
Teofrasto, Plinio”[11].
b)
La necessità
dell’esperienza interiore. L’esperienza
di ciò che ci circonda all’esterno, per quanto necessaria, è insufficiente: va
integrata con l’esperienza di ciò che siamo nel nostro intimo (dunque
con una conoscenza intuitiva e approfondita del nostro animo): “Mi racconti i
tumulti che avvengono in Inghilterra. Narrami invece piuttosto quali tumulti
fanno nel tuo intimo l’ira, l’invidia, la libidine, l’ambizione, vizi che è
opportuno siano messi sotto il giogo”[12].
c)
L’amore per la
conoscenza. L’ambito dell’esperienza
personale (sensoriale ed interiore) è potenzialmente estensibile attraverso
l’attività conoscitiva. Una vita spirituale è insufflata di amore per la
conoscenza di tutto ciò che è conoscibile, pur nella consapevolezza dei
limiti costitutivi delle possibilità intellettive umane: “Anche se non si può
mai conoscere appieno il conoscibile, si può comunque arrivare a conoscerlo
meglio, e si deve anche farlo, per essere veramente umani”[13].
d)
Equanimità nel
giudicare. Un amore così puro per la
verità “oggettiva” (sia pur nella misura limitata in cui è perseguibile)
comporta la tendenza all’equanimità dei giudizi. Ma non è facile
assecondarla. Di Erasmo un suo intelligente lettore ha scritto: “la sua energia
creativa non ha il fanatismo estremo, la tenacia ultima, il furore
dell’unilateralità”[14].
e)
I limiti della
razionalità. In una vita spirituale
armonica il desiderio di conoscere non deborda in razionalismo né, ancor
meno, in libidine intellettuale. Per quanto necessaria, “una scienza che non
sia al servizio della virtù può risultare solo dannosa”[15].
f)
La solitudine
dell’anticonformismo. Chi intraprende
il sentiero dell’autenticità spirituale dev’essere disposto alla solitudine
dell’anticonformismo. Chi persegue la ricerca del vero e del bene non può
aspettarsi l’applauso, dal momento che “le sue opinioni ed i suoi gusti
divergono nel modo più radicale da quelli della folla. E’ logico che questo
modo diverso di vivere e di pensare gli procacci l’odio di tutti; poiché tra
gli uomini non si fa nulla che non sia pieno di follia”[16].
g)
Solidarietà
universale. Solitudine non è sinonimo
di isolamento, tanto meno di indifferente insensibilità nei confronti di ciò
che avviene agli altri esseri senzienti. Non c’è spiritualità dove manca la
costante coscienza del dolore che innerva la storia e il conseguente sentimento
di solidarietà universale: “Quasi buddhista-pessimista, sa scrivere della
sofferenza alla quale sono soggetti i figli degli uomini. Ma il comune bisogno
risveglia la consapevolezza della loro interdipendenza e la necessità di una
comunità fisica, morale e culturale”[17]. Erasmo
ama ricordare una potente espressione di Plinio nella sua Storia naturale:
“E’ un dio colui che aiuta gli uomini”[18].
h)
L’arte di
comunicare con chiarezza. Se avverto
il legame congenito, radicale, con i miei simili, sarò incline ad acquisire la
capacità di comunicare in maniera chiara, efficace e gradevole le mie
intuizioni, sia a voce che per iscritto: “Chi vive puro fa una gran cosa, e
seppure non soltanto per sé, al massimo per i pochi che lo circondano. Quanto
più ampiamente si irradia la sua virtù come una torcia accesa, così la
conoscenza si diffonde con il suo carattere puro. Quando una persona può
affidare alle lettere i pensieri più belli della sua mente ed è al tempo stesso
sia colta che eloquente, la sua influenza benefica si espande ovunque e
raggiunge non solo l’ambiente circostante e i suoi contemporanei, ma anche gli
estranei, la sua discendenza e coloro che abitano agli estremi confini della
terra”[19].
i)
Mantenere la
mitezza dei toni. La lodevole
intenzione di comunicare ad altri i frutti della propria contemplazione va
concretizzata con toni persuasivamente miti. Di Lutero, ad esempio,
Erasmo condivideva molte critiche alla Chiesa, ma aggiungeva: “Coloro che sono
favorevoli a Lutero preferirebbero che scrivesse in modo più civile e moderato”[20].
j)
Non accettare
l’inaccettabile. La persona immatura
smette presto di scandalizzarsi dei mali del mondo e vi si rassegna come
fossero inevitabili: “Ci siamo a tal
punto abituati alle guerre, al brigantaggio, ai tumulti civili, alle faziosità,
ai saccheggi, alle pestilenze, alle carestie, alla fame che quasi non consideriamo
più tutte queste cose come dei mali”[21].
k)
Sobrietà nei
costumi e nei consumi. Lo sviluppo
armonico delle proprie potenzialità costruttive – che è poi un altro modo di
definire una spiritualità matura – non può non implicare predilezione spontanea
verso la sobrietà nei costumi e nei consumi. Chi è ricco dentro di
ricchezza reale non ha nessuna coazione a cercare fuori di sé ricchezze
illusorie o, comunque, parziali. Egli “cerca di costruire un mondo e una
filosofia di vita secondo la norma classica dell’humanitas, che si
sarebbe finalmente realizzata nella pacifica Età dell’Oro, quando gli uomini
(…) non avrebbero appunto più usato
proprio l’oro” [22].
l)
Libertà dalla
sete di potere e di fama. La
sovrabbondanza spirituale, che libera dall’ansia dell’accumulo di beni
materiali, dona altresì la libertà dalla sete di potere e di onori: “Oh,
irragionevole ragione degli uomini che, pur potendo vivere ininterrottamente
felici, a causa della loro ambizione, si mettono in testa una continua
infelicità! E ciò mentre dall’honestas scaturisce la vera voluptas,
che rende già possibile un’esistenza armoniosa sulla terra”[23].
m) La pari dignità fra i generi. Dalla “piena dipendenza” dalla “educazione
pesantemente sessuofobica e maschilista tipica degli ambienti conventuali in
cui era cresciuto” lo libera, sia pur parzialmente, la frequentazione della
società extra-ecclesiale: ebbe parole di gratitudine verso “Tommaso Moro, di
cui aveva conosciuto la famiglia di tutte femmine, per di più intellettuali,
per avergli fatto cambiare opinione sulle donne”[24].
Infatti nell’Erasmo della maturità si intravedono segnali anticipatori anche su questo elemento dell’evoluzione
spirituale: “vuole coinvolgere la donna nello sviluppo generale. La sua
educazione umanistica è necessaria: per lo sviluppo della sua personalità, per
renderla compagna di vita di suo marito anche dal punto di vista intellettuale,
e allo scopo dell’educazione dei figli”[25].
n)
I diritti dei
minori. Alla scarsa considerazione
della dignità della donna si accompagnava al tempo di Erasmo altrettanta
misconoscenza dei diritti dell’infanzia sin dai primissimi giorni di
vita. Su questa lacuna egli è più attento, più esplicito: “I bambini poveri
hanno gli stessi diritti dei ricchi ad una buona educazione: ogni essere umano,
in quanto tale, ha il diritto di acquisire i più alti attestati di nobiltà
attraverso il «vero studio». Una buona istruzione è infinitamente più
importante dell’avere importanti antenati ed una vera erudizione è il blasone
più nobile che si possa immaginare”[26].
o)
Rispetto per
gli altri animali. Rispetto per le donne, per i minori: ma anche per gli
animali non-umani. Erasmo non perde occasione per ribadire la “condanna del tanto brutale
quanto crudele sport della caccia, che fa degenerare i cacciatori stessi «ad un livello più basso degli animali selvatici»[27].
p)
Senso della
paternità/maternità.Un profilo
spirituale apparirebbe deficitario se mancasse di qualsiasi senso di
paternità/maternità. Erasmo è convinto che la biologia può supportare
questa valenza, ma che sia decisiva l’attitudine pedagogica: la vera, completa,
genitorialità è da attribuire a chi è
animato dal sincero desiderio di favorire la crescita integrale delle nuove
generazioni. A suo avviso “la paternità (…) non si fonda sulla capacità di
concepire, che è comune agli uomini e agli animali, ma sulla capacità di
educare i giovani razionalmente e moralmente”: “è addirittura l’educatore il
vero padre del bambino, poiché in un vero spirito di unione la comunanza
spirituale ha la precedenza sulla parentela di sangue”[28] .
q)
Orizzonti
cosmopolitici. La spiritualità a
trecentosessanta gradi è caratterizzata da una sorta di benefico strabismo: un
occhio al qui, all’ambito familiare e locale; un altro al là, all’orizzonte
planetario dell’umanità. Anche da questo punto di vista, ha offerto un modello
esemplare: “Non mai fisso in un paese, ma sentendosi ovunque in patria, primo
cosmopolita ed europeo convinto, Erasmo non riconosceva superiorità alcuna di
una nazione sulle altre; aveva addestrato il suo cuore a valutare ciascun
popolo soltanto secondo i suoi spiriti più nobili e perfetti, tanto che tutti
gli apparivano poi del pari degni di amore. Si propose come scopo
dell’esistenza un tentativo sublime: convocare gli uomini di buona volontà di
ogni paese, di ogni razza, di ogni classe, in una grande lega delle menti più
colte e migliori. (…) Questo desiderio degli uomini dello spirito di allearsi
nello spirito, dei linguaggi di fondersi in un superlinguaggio, delle nazioni
di pacificarsi in una supernazione, questo trionfo della ragione, fu anche
trionfo di Erasmo, segnò l’ora sacra, ma breve e fugace, della sua vittoria nel
mondo” [29].
r)
Saper
perdonare. La personalità
spiritualmente risolta non è immune dalle ferite nella battaglia della vita
individuale e collettiva. Eviterà, per quanto può, di ferire e, se ferito egli
stesso, non mostrerà preclusione alcuna al perdono: “Che perniciosa follia
è quella di diventare più malvagi vendicarsi della malvagità altrui ? (...) Con
la vendetta invece lo stesso male che cerchi di allontanare si rivolge contro di
te e non senza un cattivo frutto” [30].
s)
Gentilezza
affabile. Suggello e distintivo di
una spiritualità laica matura è quella “particolare attitudine mentale” per la
quale l’umanista Giovanni Pontano coniò il termine facetudo: “una
gentilezza solare, una gioia affabile che rilassa ed ha bisogno di tanto in
tanto di rilassamento e si caratterizza per un sorriso”[31].
Augusto
Cavadi
“Viottoli”,
2024, 2
[1] B. de Ligt, Erasmo
nonviolento. La voce dell’Umanesimo in un’Europa dilaniata dalle guerre, a
cura di R. Altieri, Centro Gandhi Edizioni, Pisa 2023 (ed. or. 1936), p. 252.
Non ci s’inganni sul significato del termine philosophia nel vocabolario
erasmiano: per lui si tratta di una pratica trasformativa della vita (transformatio
vitae) più che d’un esercizio meramente cerebrale (ratio).
[2] Erasmo da
Rotterdam, L’educazione del principe cristiano in Idem, La formazione
cristiana dell’uomo, a cura di E. Orlandini Traverso, Rusconi, Milano 1989,
p. 424.
[3] B. de Ligt, Erasmo,
cit. pp. 309 – 310.
[4] Ivi, p. 310.
[5] Ivi, p. 90.
[6] Ivi, p. 264.
[7] Ivi, p. 269.
[8] Ivi, pp. 215 – 216.
[9] E. Orlandini Traverso, Introduzione a Erasmo
da Rotterdam, La formazione, cit., p. 11.
[10] B. de Ligt, Erasmo, cit., p. 199.
[11] Ivi, pp. 314 – 315. “E qui” – chiosa l’autore della
monografia - “si potrebbe stabilire un
certo legame tra Erasmo e Leonardo da Vinci” (p. 315).
[12] Erasmo da Rotterdam, Enchiridion militis
christiani, a cura di R. Di Nardo, Japadre, l’Aquila 1973, p. 187, cit. in G. Monaca, La spiritualità secolare
di Erasmo, Mimesis, Milano – Udine 2019, p. 43.
[13] [13] B. de Ligt,
Erasmo, cit., p. 222.
[14] S. Zweig, Erasmo da Rotterdam, Rusconi, Milano
1994, p. 54.
[15] E. Orlandini Traverso, Introduzione, cit., p.
32.
[16] Erasmo da Rotterdam, Elogio della follia, a
cura di N. Petruzzellis, Mursia, Milano 1993, p. 57.
[17] B. de Ligt, Erasmo, cit. p. 269.
[18] Erasmo da
Rotterdam, Elogio, cit., p. 36.
[19] B. de Ligt, Erasmo, cit., p. 223.
[20] Ivi, p. 316.
[21] Erasmo da
Rotterdam, Sull’opportunità di muovere guerra ai Turchi, cit. in R.
Altieri, Erasmo, cit., p. 62.
[22] B. de Ligt, Erasmo, cit., p. 214.
[23] Ivi, p. 215.
[24] G. Monaca, La spiritualità, cit., p. 20.
[25] B. de Ligt, Erasmo, cit., p. 253.
[26] Ivi, p. 254.
[27] Ivi, p. 314.
[28] Ivi, p. 251.
[29] S. Zweig, Erasmo, cit., pp. 10 – 12.
[30] Erasmo da Rotterdam, Manuale del soldato cristiano
in Idem, La formazione, cit., p. 303.
[31] B. de Ligt, Erasmo, cit., p. 115.