domenica 10 ottobre 2010

Sul libro di I. Sales “I preti e i mafiosi”


“Narcomafie” 2010, 4, p. 61

CHIESA E MAFIA, LA DOPPIA MORALE

“Sono compatibili con la fede cristiana mafia, camorra, ‘ndrangheta e sacra corona unita? Cioè sono compatibili con la religione cattolica alcune delle organizzazioni criminali più feroci del mondo?”. Isaia Sales, noto e apprezzato conoscitore di criminalità organizzate, esordisce così nel suo ultimo, corposo, saggio intitolato “I preti e i mafiosi. Storia dei rapporti tra mafie e Chiesa cattolica”, Baldini Castoldi Dalai, Milano 2010. Prima di rispondere, egli nota che la questione intriga non solo gli osservatori ‘laici’ (”l’opinione pubblica è rimasta scioccata nel vedere che nei covi di Provenzano, di Greco, di Aglieri, di Santapaola, di Alfieri, di Piromalli, venivano rinvenute Bibbie, libri religiosi, immagini di santi e di Madonne, numerosissimi santini, addirittura altari sui quali, anche da latitanti, far celebrare la messa e comunicarsi”) ma anche i più vigili fra gli stessi ‘cattolici’ (come il gesuita p. Bartolomeo Sorge, il quale dichiara di essersi “sempre chiesto perché questo sia potuto accadere: il silenzio della Chiesa sulla mafia. Non si potrà mai capire come mai i promulgatori del Vangelo delle beatitudini non si siano accorti che la cultura mafiosa ne era la negazione. Il silenzio, se ha spiegazioni, non ha giustificazioni”).
Per far luce nell’enigma, l’autore guarda l’intreccio fra mafiosi e preti sia dal punto di vista dei mafiosi (è il tema del primo capitolo dal titolo inequivoco I mafiosi sono religiosi) sia dal punto di vista dei preti (a Mafiosità e complicità di alcuni uomini di Chiesa è dedicato per intero il secondo capitolo). Ricostruito il dato storico ‘oggettivo’, Sales esamina, nel terzo capitolo, alcune Possibili spiegazioni. La minimalista (i mafiosi sono credenti solo in parte e in maniera insincera), la negazionista ( imparentata strettamente con la giustificazionista: la mafia non esiste e, se esiste, non è così cattiva come la si dipinge), l’anticomunista (la mafia è brutta, ma serve per difendersi da un male peggiore che è il socialismo reale) gli risultano inadeguate e non convincenti. Più interessante ai suoi occhi l’idea di una teologia mafiosa, supporto ideologico di una organizzazione criminale che si struttura prendendo a modello la stessa chiesa cattolica (con i suoi dogmi, le sue gerarchie, i suoi tabù, i suoi simboli, i suoi riti…). Asse portante di questa ideologia religiosa mafiosa sarebbe il “familismo amorale”. In ogni ipotesi interpretativa, emerge pesante la responsabilità della Chiesa cattolica nel Meridione: “quale idea ha trasmesso di se stessa e dei suoi insegnamenti se può sembrare ‘normale’ a dei mafiosi ritenersi non figli degeneri, ma suoi figli prediletti?”.

Stabiliti i punti centrali della sua analisi, lo storico campano dedica il quarto capitolo ad un aspetto particolare (non per questo secondario, trascurabile) della dimensione religiosa del fenomeno mafioso: Dissociazione mafiosa e pentimento cattolico. Proprio questa problematica lo induce, nel capitolo quinto, a gettare uno sguardo alla storia della teologia cattolica (segnatamente al sacramento della penitenza: Duri con il peccato, tolleranti con il peccatore. Sant’Alfonso e la confessione) e, nel capitolo immediatamente successivo, alla Storia della Chiesa meridionale. Dopo un settimo capitolo dedicato a La letteratura e i preti (ovviamente limitatamente a scrittori siciliani come Verga, De Roberto, Pirandello, Tomasi di Lampedusa, Camilleri e Sciascia), un ultimo capitolo tematizza una questione di attualità: La mancata scomunica ai mafiosi.
Il volume, come tutti gli studi intelligenti, tenta una conclusione ma senza alcuna pretesa di esaustività: affermando che “la Chiesa non è fuori dalla storia delle mafie” e che esiste “una questione meridionale cattolica”, l’autore pianta un paletto che segna tanto l’approdo della sua accurata ricerca quanto il punto di (ri)partenza delle ricerche che restano ancora da compiere. Come egli stesso si esprime nell’ultima pagina - con la limpidezza del dettato che rende anche questo suo scritto fruibile da un vasto pubblico motivato - “la Chiesa ha avuto, indubbiamente, un ruolo non secondario nell’emergere e consolidarsi dei fenomeni mafiosi, nel non contrastarli, nell’averli alimentati attraverso apporti culturali importanti. La Chiesa, al tempo stesso, ha un ruolo fondamentale per la loro definitiva emarginazione dalla storia futura. Ma c’è tanto ancora da fare”.

Augusto Cavadi

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