mercoledì 10 agosto 2011

Lorenzo Panepinto: chi era costui?


“Centonove”
5.8.2011

SUL CENTENARIO DI LORENZO PANEPINTO
Nonostante vengano considerati tra i più consistenti movimenti rivoluzionari del XIX secolo, i “Fasci” siciliani restano quasi del tutto ignoti alle nuove generazioni. Ed è già un gran risultato se quel gigantesco tentativo dei contadini di occupare le terre incolte, per sfamare le proprie famiglie e rilanciare l’economia complessiva, non venga identificato con la nascita del fascismo un quarto di secolo dopo.
Il 2011 è una data propizia per ricordarsene: esattamente cento anni fa, infatti, veniva assassinato Lorenzo Panepinto, storico fondatore dei “Fasci” a Santo Stefano Quisquina, ai confini fra le province di Agrigento e di Palermo. La sua città natale, dove egli ha pure tentato l’esperimento di un “socialismo municipale”, lo ha ricordato con una giornata di commemorazioni e di studi, con l’intento di esplorarne la poliedrica personalità. Egli infatti non è stato solo dirigente politico, sindacalista e imprenditore sociale, ma anche insegnante appassionato, pubblicista fecondo, pittore di discreto pennello, poeta sincero, direttore didattico attivo e pedagogista aperto alle correnti europee più progressiste della sua epoca. Nel corso del convegno sono stati presentati anche dei documenti inediti in Italia che uno studioso statunitense ha gentilmente spedito da Tampa (Florida) , la città dove Panepinto è emigrato e ha lavorato per un certo periodo della sua vita.
Ma cosa ha segnato la fine dell’eroico militante, “socialista senza aggettivi”, falciato sull’uscio di casa con due fuciltate? Come nel caso di due colleghi e amici, il corleonese Bernardino Verro e il prizzese Nicola Alongi, la sua capacità di organizzare cooperative di braccianti per gestire in gabella ex-feudi a cui erano, contemporaneamente, interessati anche personaggi o mafiosi o vicini ad ambienti mafiosi. Uno di questi, il giovane campiere Anzalone, verrà indicato come l’assassino, ma il delitto resterà impunito: una testimone verrà sequestrata e eliminata; un capitano dei carabinieri si appellerà a “ragioni d’ufficio” per non testimoniare; un commissario Montalbano si appellerà – per il medesimo scopo – a “motivi di famiglia”. Forse non è stata del tutto ininfluente, sul destino dell’imputato, la condizione di “figlioccio” del ministro Camillo Finocchiaro Aprile…In assenza di verità giudiziaria, ci si deve accontentare della verità storica: secondo lo stesso Bernardino Verro, i mandanti vanno individuati nella “sollevazione della mafia gabellota e clericale contro gli organizzatori delle affittanze collettive”. Ed è un fatto di per sé eloquente che Panepinto non potè intervenire al congresso su “Delinquenza e analfabetismo” (programmato per qualche giorno dopo il suo omicidio ad Agrigento) e che il ministro di Grazia e giustizia Finocchiaro Aprile, nell’inaugurare il congresso, non abbia degnato di un accenno, il recentissimo delitto di un importante dirigente politico siciliano che aveva dedicato e la vita proprio alla lotta contro delinquenza e analfabetismo.
Sul suo periodico “La Plebe”, Panepinto denunciava i “malfattori in guanti gialli”, ministri o deputati “protettori protetti” delle “cosche”, le quali “coltivano la maffia, poiché si servono preferibilmente di essa per raggiungere scopi vergognosi, e per sopprimere qualche persona che riesce loro d’impaccio”: formule che, al di là dell’impatto emotivo immediato, restano di una lucidità analitica purtroppo attualissima. Come sciaguratamente attuale rimane il monito dell’onorevole Alessandro Tasca di Cutò, davanti alla bara del martire avvolta in una bandiera rossa, rivolto ai funzionari governativi: “È tempo di decidersi: o con la maffia padronale o con l’evoluzione economica e civile dei lavoratori siciliani”.

Augusto Cavadi

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