venerdì 12 agosto 2011

PAOLO GIACCONE, L’UOMO CHE DISSE NO ALLA MAFIA


“Repubblica – Palermo”
12.8.2011

PAOLO GIACCONE, L’UOMO CHE RUPPE LA REGOLA DELLA COMPLICITA’

Se l’11 agosto del 1982 non l’avessero crivellato di colpi al Policlinico universitario che adesso è a lui intestato, probabilmente Paolo Giaccone sarebbe uno stimato pensionato di 82 anni. La sua colpa? Essere stato un cittadino talmente ‘normale’ da risultare, in questa terra difficile, un pericoloso eversore delle leggi non scritte del dominio mafioso. Come medico legale, infatti, viene incaricato di periziare un’impronta che avrebbe incastrato gli assassini - per conto di Totò Riina - di tre mafiosi e di un ignaro passante bagherese. Un premuroso avvocato penalista (che sarà per questo condannato) gli consiglia di non essere troppo preciso nella perizia dattiloscopica: ma Giaccone è un professionista serio e un cittadino onesto. L’uomo dell’impronta è condannato all’ergastolo; lui a morte.
La magistratura ha individuato, processato e condannato (anche grazie ad alcuni collaboratori di giustizia) esecutori e mandanti dell’omicidio. Ieri, per la ventinovesima volta, familiari e amici lo ricorderanno nel luogo del martirio civile, laico (ma non per questo meno sacrosanto). Si può far qualcosa per rendere l’anniversario meno rituale e più significativo? Più che qualcosa. Per esempio si può cominciare a dire, a dirsi, nell’intimo della propria coscienza ma anche nell’aperto del dibattito pubblico, chi sono i responsabili radicali (al di qua dei killer, al di qua della Commissione di Cosa nostra) di quella morte: i medici siciliani che per anni, per decenni, per più di un secolo, hanno obbedito ai diktat della mafia senza battere ciglio. Quando si crea una prassi che diventa cultura, modus vivendi ac operandi, si preparano le condizioni ‘oggettive’ perché l’eventuale eccezione diventi un trasgressore, un testardo da punire.
E’ ovvio che il ragionamento non vale esclusivamente per una categoria professionale (anche se il mondo della sanità, da Guttadauro a Cuffaro, passando per Miceli e Aiello e tanti altri nomi, pare sia singolarmente a rischio di mafiosità): lo stesso si può dire - lo stesso ho detto in tante altre occasioni - per i preti che hanno condannato a morte Puglisi e per gli imprenditori che hanno esposto al macello Libero Grassi. Ancora una volta Palermo, produttore del virus, sta fabbricando l’antivirus. Chi vuole davvero onorare Giaccone - il dottore che amava suonare il piano, scrivere poesie e allevare uccellini – può fare una cosa molto concreta: sottoscrivere il “Manifesto” e la “Dichiarazione di impegno” che (insieme a Libero Futuro e Addiopizzo) il “Comitato dei PROFESSIONISTI LIBERI Paolo Giaccone”, propone da qualche mese, su impulso, fra gli altri, dell’instancabile Enrico Colajanni (www. professionistiliberi.org). L’elenco dei sottoscrittori sarà reso pubblico: perciò chi aderirà metterà non solo la firma, ma la faccia, la responsabilità civica, il coraggio politico. Non è un’operazione del tutto esente da rischi personali, ma ciò che vale ha sempre un prezzo. E’ preferibile contribuire, col proprio minuscolo ma insostituibile tassello, a una lotta di liberazione popolare oppure (come ho appreso, strabiliato, direttamente dagli interessati) arrivare a togliere le targhe professionali dai portoni di casa per sottrarsi alle richieste di pizzo a domicilio, persino se si è avvocati? Mentre l’amministrazione comunale, con la tempestività pachidermica cui ci ha ormai assuefatto al di là di ogni ragionevole satira, lascia ancora chiuso il Parco d’Orleans intestato (un anno fa!) al commissario Ninni Cassarà, la borghesia palermitana ha la possibilità di traghettare dal suo equilibrismo paramafioso a posizioni più nette: a segnare una delle svolte storiche cui, per fortuna, la storia recente della nostra isola ci sta abituando. Non ci sono d’altronde vie alternative: sino a quando a dire ‘no’ saranno pochi eroi borghesi, la mattanza potrà continuare.

[Molto più difficilmente ciò si verificherà se in minoranza saranno i professionisti che non aderiranno all’appello. Potranno certo spiegarci i motivi del loro eventuale rifiuto (e chi discuterà apertamente sarà più stimabile di chi aderirà per conformismo e quieto vivere), ma in mancanza di spiegazioni sarà difficile continuare a stimarli e a richiederne le prestazioni]*.

Augusto Cavadi

* L’ultimo capoverso, forse opportunamente, è stato tagliato dalla redazione di “Repubblica”.

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