domenica 21 giugno 2015

CONVERSANDO DI FILOSOFIA CON MARIO TROMBINO


“Phronesis”, XII (2014), 21 - 22


CONVERSAZIONE CON MARIO TROMBINO


Tra le professioni vicine alla consulenza filosofica, ma nettamente distinte da essa per finalità e metodi, rientra certamente l’insegnamento della storia della filosofia. Mario Trombino è una delle migliori espressioni dei professori di liceo italiani: preparato ed efficace nella comunicazione, sia verbale in aula che mediante una quantità di manuali in uso nelle scuole. Ci siamo conosciuti quasi mezzo secolo fa, frequentando insieme la facoltà di filosofia a Palermo e la scuola di perfezionamento in scienze morali e sociali a Roma. poi le nostre strade si sono divise perché Mario ha girato molto fra Francia e Italia diventando uno specialista di didattica della filosofia, mentre io sono ritornato in Sicilia dove ho cercato di misurare la validità della filosofia con le problematiche socio-politiche del territorio.

    E’ stato grazie a internet, quando Mario ha fondato e diretto da Bologna il noto sito www.ilgiardinodeipensieri.eu , che abbiamo ripreso i contatti e la collaborazione in varie avventure.  Nell’ultimo decennio ho tentato di spiegargli cosa sia la filosofia-in-pratica, al punto da scrivere per lui un e-book ad hoc (La filosofia ci farà liberi?Un’interpretazione delle pratiche filosofiche, BBN, Fosdinovo 2011) che gli ho dedicato a stampa; ma invano. L’ “amico ritrovato”continua a oscillare fra incompresnione e dissenso nei confronti del mondo delle pratiche filosofiche. La conversazione che segue è solo l’ultimo di questo disperato tentativo di intendersi fra persone che fanno mestieri troppo simili per cogliere le specificità epistemologiche della professione altrui.



***





·      Augusto : Quanti ci occupiamo di filosofia, lo facciamo con interessi differenti e  in differenti ruoli sociali. Anche per via dei manuali scolastici che hai pubblicato negli anni, con vari co-autori e con vari editori, ti ho sempre pensato come un insegnante di storia della filosofia: interessato, dunque, allo studio dei testi della tradizione filosofica e alla didattica. Ti riconosci in questa rappresentazione o la correggeresti?

·      Mario : Mi riconosco per il passato. Quando ho cominciato a insegnare storia e filosofia al Liceo negli anni Settanta vedevo alcuni studenti andare bene, altri male, ma non capivo perché i primi andavano bene e i secondi male, e come dovessi impostare il mio lavoro perché i secondi si comportassero come i primi. Rispondere a queste due domande ha richiesto, con mia sorpresa, studi molto complessi in campi lontani dalla didattica, come la filosofia teoretica, la storia della filosofia, le scienze cognitive e, ovviamente, la pedagogia. Applicare questi studi al mio lavoro di insegnante è quel che ho fatto in questi decenni, molto aiutato da gruppi di ricerca soprattutto francesi, come quello di Michel Tozzi, e italiani. Ora però non insegno più e quindi mi occupo d'altro.



·      Augusto :  D’altro? Puoi raccontarci i tuoi campi attuali d'impegno filosofico?

·      Mario : Io mi sono sempre occupato di filosofia in una dimensione professionale, volta a obiettivi mirati e operativi. Quando ho smesso di insegnare, non era più possibile occuparmi di ricerca in didattica della filosofia, settore che ai miei occhi ha un'importanza altissima, ma credo che siano assai pochi a pensarla come me. In quei mesi Ubaldo Nicola lasciava la direzione della rivista “Diogene”, e sono subentrato io, con una nuova redazione. E' risultato immediatamente chiaro che una rivista che si propone di "Leggere la realtà con gli occhi dei filosofi", come è scritto sulla testata, si muove su un terreno di frontiera diverso da quello della didattica della filosofia, ma è egualmente caratterizzato da obiettivi mirati e operativi. Serve una ricerca filosofica di tipo nuovo, e ci stiamo attrezzando per farla con una veste organizzativa inedita, in dialogo con diversi settori della società civile e della politica. Per varie ragioni, con l'industria in primo luogo.

·      Augusto :  Ma il trimestrale  "Diogene magazine" è, per così dire, il cuore pulsante di una più ampia rete di strumenti editoriali e telematici che, con una associazione di recente fondazione, hai attivato...

·      Mario : Occupandomi di didattica della filosofia ho dovuto studiare analiticamente i generi letterari che sono stati utilizzati dai filosofi per la comunicazione filosofica. Sono tanti, molte decine, alcuni ripetuti nei secoli, altri raramente utilizzati. Ciascuno ha caratteri definiti, precisi;  consente alcune cose e ne esclude altre (e questo senza eccezioni), tanto che non pochi filosofi hanno sentito il bisogno di ripetere le stesse teorie in più di un genere letterario avendo di mira obiettivi diversi. Oggi se ne usano relativamente pochi rispetto al passato, perché la filosofia accademica ha omologato pochi modelli, ma ne stanno nascendo di nuovi per via della "nuova oralità" resa possibile dai media elettronici e soprattutto per l'enorme espansione delle immagini come linguaggio della filosofia. Nella rete di strumenti a cui accenni stiamo sperimentando queste forme nuove della comunicazione filosofica, senza abbandonare la ricchezza enorme dei generi letterari tradizionali.
Ma tutto questo ha a che fare, appunto, con la comunicazione filosofica. Noi ci stiamo occupando anche di ricerca (di base e applicata), che è cosa diversa, fermo restando che, avendo la mente una struttura linguistica, i due piani della ricerca e della comunicazione comunque si intersecano in più punti, e questo costituisce un problema ancora oggi aperto sia per chi studia la comunicazione sia per la messa a punto dei metodi di ricerca.



·      Augusto :  La vostra attenzione alla "comunicazione filosofica" fonda, e spiega, dunque, il sito web ( www.diogenemagazine.com), le edizioni cartacee e in e-book di testi di seria divulgazione filosofica, le serate pubbliche in cui proiettate riproduzioni di quadri celebri e li commentate dal punto di vista della storia delle idee e così via. In che modo si concretiza, invece, la seconda direttiva di marcia cui accenni (intendo "una ricerca filosofica di tipo nuovo, con una veste organizzativa inedita, in dialogo con diversi settori della società civile e della politica")? 

·      Mario : Questa seconda "direttiva di marcia", come dici bene, dipende dal fatto che non troviamo nella ricerca filosofica accademica quel che ci serve. Ti prego di non considerare questa una critica, ma solo una constatazione. Il tipo di problemi che ci poniamo, evidentemente, sono diversi da quelli che si pongono i professori universitari. Non possiamo certo "dettare l'agenda" ad altri, così ci siamo proposti, attraverso l'Associazione “Diogene Multimedia”, di avviare al nostro interno alcune ricerche.
Tieni presente che trattiamo la filosofia come qualsiasi altra disciplina scientifica, collegandoci in modo diretto alla tradizione della filosofia scientifica del Seicento e non tenendo conto della separazione tra le vie di ricerca della filosofia e della scienza venuta dopo. Questo rende impossibile fare ricerca filosofica a livello individuale, perché nessuno di noi possiede la competenza di base necessaria. Abbiamo quindi deciso di costituire, intorno a progetti specifici di ricerca (puoi vedere i primi progetti nel sito dell'associazione, www.diogenemultimedia.com), alcuni gruppi di ricerca che lavoreranno sotto la guida di uno di noi. Non so se otterremo risultati, è una via inedita per la ricerca filosofica, a mia notizia, i cui modelli sono presi da un lontano passato. Non è infatti un modello inedito in assoluto, lo è per il nostro tempo (a mia notizia, almeno).

·      Augusto :  Forse qualcosa del genere è stata tentata dal Circolo di Vienna, per le problematiche logiche ed epistemologiche, e dalla Scuola di Francoforte per quanto riguarda le tematiche socio-politiche. Comunque sia, queste tue risposte mi aiutano a capire meglio ciò che avvicina e ciò che differenzia la tua prospettiva 'professionale' da noi filosofi-in-pratica di "Phronesis". Tutti quanti siamo convinti della valenza sociale, pubblica, della ricerca filosofica e, conseguentemente, di riattualizzare il gesto socratico (almeno secondo il racconto di Cicerone) di riportare la filosofia dal cielo alla terra e di farle frequentare le vie, le piazze e i mercati degli umani. Se non vedo male, però, tu ritieni (in sostanziale continuità con la vocazione didattica che ha contraddistinto la tua vita sino al pensionamento dalla scuola pubblica) che si tratta di diffondere  - divulgare in senso alto e nobile - una filosofia prodotta nei laboratori degli esperti in filosofia; laddove noi (che grosso modo possiamo riconoscerci nell'angolazione di  Gerd Achenbach) riteniamo necessaria ma non sufficiente l'elaborazione filosofica interna al mondo dei filosofi e scommettiamo sulla possiibilità di con-filosofare insieme ai non-filosofi di professione. Schematizzando brutalmente, tu pensi che il filosofo debba condividere un 'filosofato', mentre noi corriamo il rischio di condividere un 'filosofare'. All'inizio di una tua conversazione pubblica con non-addetti-ai-lavori sai già di cosa parlerai, di come tratterai l'argomento e quali tesi conclusive vuoi offrire al senso critico degli uditori; in quanto filosofi-consulenti, invece, all'inizio di una conversazione (a due o in piccole comunità di ricerca) non sappiamo di cosa parleremo e, se per caso lo abbiamo concordato preventivamente, non sappiamo in ogni caso né come si svolgerà il dialogo né a quali conclusioni approderà. Se mi obietti che il tuo atteggiamento è più fedele del nostro al (probabile) Socrate storico, sarei propenso a darti ragione: leggendo i dialoghi platonici, almeno, si ha l'impressione che egli sapesse benissimo dove condurre l'interlocutore e che ve lo conducesse proprio facendo finta di non saperlo. Anche se mi obietti che la nostra antropologia è un po' troppo ottimista  - al punto da supporre che l'industrialotto varesino o il pescatore trapanese siano dei potenziali filosofi capaci di apportare un proprio reale contributo all'indagine esplorativa di ciò che è - sarò propenso a darti ragione. Tuttavia....Ma mi fermo. Non vorrei dare l'impressione che si tratta di fare graduatorie fra la tua e la nostra filosofia della filosofia. Mi basterebbe una tua conferma che ho colto appropriatamente ciò che ci unisce (e che può giustificare collaborazioni e sinergie operative) e ciò che ci differenzia (e che può giustificare la stima per il carisma dell'altro).

·      Mario : Provo a mettere in fila i fatti. Mi sono occupato di ricerca in didattica della filosofia per rispondere alle esigenze professionali tipiche di un insegnante, e ho scoperto - con sorpresa, sottolineo ancora - che per ottenere risultati didattici era necessario scomodare discipline complicatissime e teoriche in qualche caso estremamente lontane da una dimensione pratica. La consulenza filosofica segue ovviamente altre vie, perché non ha di mira l'insegnamento; ma non è detto che non si possano studiare sinergie. E' una questione che si può affrontare con analisi di dettaglio. Poi mi sono occupato di ricerca filosofica, e di applicazione della ricerca all'analisi di questioni di "lettura della realtà". Il punto è che la prospettiva professionale in cui opero non può fare a meno di teorie, perché son queste che consentono di "leggere la realtà". Se ho capito bene, invece la consulenza filosofica fa a meno di teorie. Dunque il punto d'incontro tra la tua e la mia prospettiva professionale per la filosofia potrebbe forse essere sui metodi. Solo che anche questi discendono, nel mio lavoro, da teorie.  Ma la verità è che io non so con esattezza se per la consulenza filosofica la filosofia sia una scienza. Io non ho mai mosso un passo, se non per errore (e gli errori vanno messi nel conto e individuati, se si riesce, per correggerli), al di fuori di questa prospettiva. Una scienza di cui peraltro sappiamo con certezza assai poco, in modo non dissimile dalle altre scienze riguardo ai loro principi base. Ed è questo il fondamentale motivo per cui si fa ricerca.  

·      Augusto :  Non so bene cosa tu intendi per 'teoria'. Dalle tue parole mi sembra che si possano ricavare due accezioni semantiche principali. Nella prima accezione direi che lo usi come sinonimo di statuto epistemologico dell'attività filosofica: se è così, quasi tutti i libri di filosofi-consulenti dedicano almeno una parte a spiegare lo statuto epistemologico della consulenza filosofica. In una seconda accezione direi che lo usi, più etimologicamente, alla greca: come sinonimo di conoscenza della realtà, disvelamento dell'essere, sguardo contemplativo. Se è così, ti do atto che nel mondo della consulenza filosofica si registra in proposito il più ampio pluralismo: per alcuni la filosofia è una forma di conoscenza (assimilabile alla fisica o alla biologia o alla sociologia) mentre  per altri non conosce ma riflette criticamente sulle varie forme di conoscenza (una sorta di epistemologia delle varie discipline scientifiche). Queste differenze ci riguardano in quanto filosofi, non in quanto filosofi-consulenti. In questa veste, infatti, non dobbiamo diffondere la nostra filosofia, ma aiutare i nostri consultanti ad elaborare meglio la loro filosofia: che un consultante potrà intendere come disciplina scientifiica, un altro come epistemologia delle discipline scientifiche acceditate, altri ancora – ed è prevedibile che saranno la stragrande maggioranza dei nostri interlocutori, solitamente cittadini che non sono laureati in filosofia - intenderanno la filosofia come "visione-del-mondo" e grappolo di criteri etici. A tutti questi interlocutori non dobbiamo insegnare la 'vera' teoria (che per ogni consulente sarebbe, inevitabilmente, la propria), bensì a sottoporre a verifica dialettica la loro: a rivedere criticamente ciò che pensano dell'uomo e della natura, della storia e dell'etica, della religione e della politica… Se per te questo complesso di idee, più o meno organicamente strutturato e dai risvolti pratici ineliminabili, è teoria, allora anche la consulenza filosofica (e le altre pratiche filosofiche che rientrano nella filosofia-in-pratica) trattano di teorie. Se, invece, per te la weltanschauung non è teoria, allora la consulenza filosofica non si preoccupa di teorie, o per essere più precisi non se ne preoccupa sempre e necessariamente. A me, ad esempio, è capitato di discutere di epistemologia delle scienze umane con un consultante che di mestiere fa l'antropologo e voleva discutere sulla ipotesi che esista una natura umana universale ed è capitato di discutere di epistemologia delle psicoterapie con un gruppetto di psicoterapeuti che volevano discutere su cosa si possa intendere per 'cura' in senso clinico; ma, come accennavo, si tratta di casi francamente eccezionali. Di solito bussano ai nostri studi di consulenza filosofica delle persone che vogliono confrontarsi sul senso dell'onestà o della malattia, della fedeltà o dell'invecchiamento: pur non citando quasi mai Platone o Kant, Kierkegaard o Gadamer, la frequentazione con i loro testi ci supporta notevolmente nel supportare, a nostra volta, la formazione delle idee (o, se preferisci, delle teorie) da parte dei nostri interlocutori. Noi filosofi di professione ci mettiamo a servizio dei nostri ospiti non distribuendo dottrine, tesi, consigli, bensì favorendo in loro  - mediante la conversazione -   la precisione linguistica, la coerenza logica nell'elaborazione di ogni convinzione, la compatibilità reciproca delle convinzioni all'interno della stessa mente, la non-contraddittorietà di principio fra l'insieme delle proprie convinzioni mentali e lo stile di vita quotidiano. Con una formula (approssimativa come tutte le sintesi) potremmo dire che in quanto filosofi teoretici e in quanto storici della filosofia ognuno di noi di "Phronesis" fa la sua strada (e può incontrarsi benissimo con percorsi come il tuo); ma, in quanto filosofi-in-pratica, siamo accomunati dall'attenzione alla valenza esistenziale e politica di tutte le teorie (dalle più raffinate e articolate alle più naif). Se un muratore con la terza elementare ha desiderio di vivere con saggezza la sua attività sindacale, siamo disponibilissimi al dialogo; se un professore ordinario di filosofia analitica di Oxford ha desiderio di uno scambio accademico sull'interpretazione del secondo Wittgestein, ma abbiamo modo di sospettare che l'esito dello scambio non inciderà minimamente sulla sua sfera esperienziale, in quanto consulenti filosofici non avremo nessun interesse ad accettare. Se è uno studioso erudito e brillante, accetteremo: ma in quanto storici della filosofia o in quanto aspiranti teoreti.

·      Mario : Non esiste, a mia notizia, nessun filosofo del passato che abbia percorso la vostra strada. E' già accaduto che filosofi del passato si siano sentiti porre questioni come quelle che i vostri "consultanti" pongono, ma hanno risposto proponendo le loro teorie, o quelle della scuola a cui appartenevano. Seneca ed Epitteto hanno usato le dottrine e i metodi stoici, Cartesio ha usato le sue teorie e proposto il suo metodo, e così han fatto tutti quelli di cui ho notizia storica quando si siano trovati in una situazione simile alla vostra.
Tra le tante immagini di Socrate, forse una è simile alla vostra, ma con differenze notevoli (Socrate non accetterebbe la dimensione professionale, rifiuterebbe il denaro e userebbe comunque metodi propri e codificati, come l'ironia, ad esempio). La versione "popolare" della scuola cinica potrebbe essere stata simile alla vostra pratica, ma ne abbiamo notizie storiche troppo esili per saperlo. E per la pratica che descrivi, altre tradizioni non filosofiche possono essere richiamate (e questa è una caratteristica di varie altre filosofie nate nel secondo Novecento).
Per usare una distinzione proposta da Hadot, la filosofia come pratica di vita non è mai esistita senza una filosofia come discorso teorico, cioè senza un corpo di dottrine individuali o di scuola e di metodi codificati.

      La consulenza filosofica, se capisco bene, non ha né il primo né i secondi, quindi dal mio punto di vista va considerata una filosofia di tipo radicalmente nuovo. Al contrario di quel che sembra, ne nascono raramente, perché la maggior parte dei filosofi opera sul solco dei precedenti e propone variazioni, spesso solo di dettaglio. Le granti teorie sono relativamente poche, i metodi un po' di più, ma se si screma dalle differenze storico-linguistiche, per ciascuno dei problemi esaminati dai filosofi le soluzioni proposte sono a volte talmente poche da poter stare entro classificazioni davvero brevi (abbiamo studiato questo aspetto della storia della filosofia in una analisi del 2006).
Per chi si occupa di didattica della filosofia credo di poter dire che la consulenza filosofica, non riprendendo alcun filosofo del passato, se non per un aggancio generico con la tradizione da cui riprende il nome, va studiata con le stesse procedure e gli stessi criteri con cui si studiano, e si insegnano, le altre tradizioni radicalmente nuove.
Per chi si propone, come noi con la rivista “Diogene Magazine” e l'Associazione, di "leggere la realtà con gli occhi dei filosofi", la consulenza filosofica è una delle tante scuole che hanno fatto la storia della filosofia da cui trarre gli elementi per leggere la realtà. Tieni infatti presente che noi siamo molto lontani dal voler aiutare i nostri lettori a formarsi una propria filosofia, termine che in questo contesto interpreteremmo come sinonimo di "propria opinione ben motivata" o "propria scelta di vita". L'obiettivo è diverso: è proporre teorie e metodi filosofici (del passato o del presente non importa) come chiavi di interpretazione della realtà.

·      Augusto :  Oh, carissimo! Ti posso dare un bacio in fronte? Le tue parole sono preziose al di là di qualsiasi prezzo immaginabile! Come attento osservatore di fenomeni storici - in particolare di storia delle idee - stai convalidando autorevolmente ciò che il nostro movimento ha sempre sostenuto: "non esiste nessun filosofo del passato che abbia percorso la vostra strada". Non sono così ingenuo da non capire che, sulle tue labbra, questa originalità inedita sia un titolo di demerito; ma, alle mie orecchie, risuona come un complimento. Anzi, accentuerei la tua notazione: non solo non siamo nessuna "scuola del passato", ma non siamo neppure una "scuola". Hai molta più ragione, insomma, di quanto immagini: non siamo persone che vogliono dare pareri, consigli, ricette. Da Seneca e da Epitteto, dai Cinici (più o meno 'popolari'), da Cartesio e dallo stesso Socrate ci separa un abisso: abbiamo, in quanto filosofi, "un corpo di dottrine" e spesso dei "metodi codificati"; ma in quanto filosofi consulenti ci teniamo questo patrimonio come dietro-pensiero e vi attingiamo solo per quanto strettamente  necessario nello stimolare e nel supportare il pensiero dei nostri ospiti. 
   Hadot ha ragione da vendere sul piano storico (tanto è vero che la chiesa cattolica ha potuto mutuare dalle scuole ellenistiche la combinazione di dottrine ben delimitate con esercizi spirituali pratici): ed è proprio per questo che gli studi di Hadot ci illuminano su ciò che non siamo, su ciò che non vogliamo diventare. Siamo un fenomeno talmente nuovo, talmente incomparabile, talmente rivoluzionario che voi storici della tradizione filosofica occidentale dovrete scegliere: o esercitare la pazienza di leggere ciò che spieghiamo di noi stessi (a cominciare dal libro di filosofia più istruttivo del 2013, 
Ascetica da tavolo. Pensare dopo la svolta pratica, che Davide Miccione ha pubblicato con l'Ipoc di Milano) o rassegnarvi a non capirci nulla. Questa volta il giochetto del neo non funziona: non siamo neo-stoici né neo-epicurei, non siamo neppure achenbachiani se non nella misura in cui ci siamo riconosciuti nel suo modo di far esplodere il potenziale esistenziale e politico di ogni dottrina veramente filosofica, di ogni metodo veramente filosofico e soprattutto di ogni vita veramente fiosofica.
   Solo due precisazioni. Tu scrivi: "la consulenza filosofica, dal mio punto di vista, va considerata una filosofia di tipo radicalmente nuovo". Perfetto! Non siamo una nuova filosofia (ognuno di noi è più o meno neo-qualche cosa e anche vetero-qualcos'altra: tra di noi marxisti e platonici, tomisti e hegeliani...), ma un nuovo modo di fare la filosofia di sempre.
    In questa novità rientra la professionalizzazione dell'esercizio filosofico (con tariffe di onorario incluse): perché, almeno in questo, non ci ci hai riconosciuto un'ascendenza storica illustre come i sofisti? Io me lo sento rinfacciare spesso: siete in tutto nuovi, ma quanto a sete di denaro siete vecchi di almeno duemila e cinquecento anni...Voglio sperare che il tuo silenzio su questa nostra (presunta) valenza neo-sofistica sia dovuta all'acutezza del tuo sguardo di storico. I sofisti si facevano pagare non per fare filosofia con i clienti, ma per insegnarla (come la totalità degli insegnanti, privati e pubblici, liceali e universitari, da allora a oggi); noi ci facciamo pagare il tempo che dedichiamo a con-filosofare con i nostri ospiti (e che dunque sottraiamo ad altre attività remunerative, come lavare le scale ai grandi magazzini o scrivere romanzi di successo). E' ovvio che la filosofia non ha prezzo come non ce l'ha la musica o la liturgia; ma è altrettanto ovvio che se una persona sceglie di dedicare la vita alla filosofia, alla musica o alla liturgia, chiunque decida di usufruire del suo carisma debba sostenerlo nelle spese necessarie a sopravvivere dignitosamente. A differenza degli psicoterapeuti (soprattutto gli psicanalisti) per i quali il pagamento di onorario fa parte ineliminabile della pratica professionale, noi filosofi-in-pratica svolgiamo molte attività e accettiamo molti colloqui o gratuitamente o con compensi simbolici. Chi di noi potrà contare su ricche eredità familiari, come Benedetto Croce, o su generosi contributi di ammiratori, come David Hume, potrà dedicare alcune ore della giornata a con-filosofare con avventori senza chiedere nessuna forma di risarcimento per il tempo sottrattto ad attività remunerate.

·      Mario : Sì, non vedo possibile il richiamo tra la sofistica antica e la consulenza filosofica dei nostri tempi. I Sofisti si facevano sì pagare, ma erano dei professori, non dei consulenti. Concordo del tutto con quello che scrivi su questo punto. Ed è proprio perché non ritrovo nella storia della filosofia modelli per la pratica filosofica così come l'hai descritta che parlo di novità radicale. Se l'originalità sia una nota di merito o di demerito, lo capiremo col tempo. Io al momento sospenderei il giudizio, perché è presto per dirlo. La consulenza filosofica è a me poco nota, quindi non mi permetterei comunque di dare giudizi, ma in ogni caso è un fenomeno sociale nuovo, esteso, che non ha ancora avuto il tempo di produrre esiti chiari agli occhi di un osservatore esterno come me.
Dal modo però in cui tu la presenti, e dalla lettura dei testi che tu richiami, a me non pare che si possa dire che si tratta di "un nuovo modo di fare la filosofia di sempre". La filosofia di sempre smonta ed elabora teorie, e usa metodi che codifica, voi non lo fate.
Vi siete messi su una strada davvero nuova, avete varcato delle colonne d'Ercole, lasciandovi alle spalle il vecchio mondo, al quale peraltro io appartengo con i miei due campi di studi.
Lasciami però dire due parole sulla filosofia come professione e quindi al rapporto tra la filosofia e il denaro. La nozione di professione non in tutti i casi è direttamente legata ad uno specifico sapere: la professione-docente è la stessa per un professori di matematica, di filosofia, di italiano, e così via. Al variare dei saperi, la professione non cambia, quindi il rapporto non è diretto. Parallelamente, è possibile dire che per ciascuna area della conoscenza umana sono possibili un certo numero di professioni, che legano quel sapere a qualcos'altro. Perché ci sia una professione, peraltro, la presenza di un sapere è condizione necessaria ma non sufficiente. Occorrono due altre cose: una esigenza individuale o sociale a cui la professione risponde, e un flusso di denaro che ripaga il lavoro del professionista. Ora, nel campo della filosofia è indubbiamente una professione quella del professore di filosofia, e lo è altrettanto quella del giornalista e dell'editore (sono le figure professionali che ho ricoperto nella mia vita). E' invece molto dubbio che la ricerca filosofica dia luogo ad una professione. Ho fatto molta ricerca filosofica nella mia vita, in campi ben definiti, ma non ho risposto ad alcuna esigenza sociale e, per conseguenza, il mio lavoro non è mai stato ripagato. Vorrei essere chiaro: l'esigenza sociale a cui la ricerca filosofica può (forse: quando si fa ricerca non si può mai essere sicuri di arrivare al risultato) rispondere io ritengo che dovrebbe esserci, ma se davvero ci fosse i risultati che ho ottenuto avrebbero dovuto trovare chi li ripagava in denaro. Non l'hanno trovato. Sì, i professori universitari e i ricercatori sono stipendiati dallo Stato per fare ricerca filosofica, ma io diffido di professioni che trovano chi ripaga il lavoro dei professionisti solo nella mano pubblica.
Se applichi questo ragionamento alla consulenza filosofica, state varcando le colonne d'Ercole anche in questa direzione, perché tutte le professioni (davvero nessuna esclusa) hanno un corpo di teorie e di metodi codificati su cui si basano, mentre la vostra no. Eppure la consulenza filosofica è indubbiamente una professione perché risponde ad una esigenza sociale e infatti tu parli di "consultanti", cioè persone che ripagano in denaro il lavoro del consulente. Che poi il consulente possa lavorare gratis, questo è irrilevante: un libero profesisonista o un artigiano possono non farsi pagare, ma restano comunque  professionisti. E' loro scelta, non della persona che si rivolge per avere il loro lavoro a suo vantaggio.

·      Augusto: Grazie del tempo che mi hai riservato. Gratuitamente. A proposito: neanch’io, a ben pensarci, sarò pagato per questa intervista.

2 commenti:

Bruno Vergani ha detto...

Domanda. Pensiero e Teoria quanto coincidono?
Motivo della domanda: osservo in me sia pensiero che (bene o male) si pone accadendo e fluttuando in presa diretta; sia pensiero sistematico che implementa teorie, come pure ideali, e correlati oggetti (reali e irreali). In questo reale, ma talvolta anche supposto, Oggetto prodotto (o appreso) alberga - a differenza del processo di pensiero che fluttua asistematico in presa diretta - la categoria del predetto (o Teoria), tale predetto se supposto e irreale è un bel problema per tutti, specialmente quando l'Oggetto si incista profondo in noi: "L'ombra dell'Oggetto è caduta sull'Io” (Freud, Lutto e melanconia).

Pietro Spalla ha detto...

La forma di filosofia in pratica di cui ho esperienza è quella delle cenette filosofiche rispetto alle quali posso dire che:
- non è che non ci si alleni a guardare il mondo con gli occhi di un filosofo (sempre diverso di volta in volta): lo facciamo attraverso la lettura di un testo filosofico e poi il confronto tra cenacolanti non filosofi sotto lo sguardo non invadente di Augusto. Però sottoponiamo a critica le idee del filosofo-vittima di turno, le confutiamo o approviamo e le confrontiamo con le nostre idee e filosofie di vita, che escono dal confronto più consapevoli e motivate e, in casi non rari, arricchite e a volte modificate.
- il lavoro di Augusto è insostituibile e gratuito, anzi anche lui partecipa. come gli altri, al costo della cenetta.