lunedì 7 settembre 2015

LA RIVISTA "MEZZOCIELO" SU DONNE E FONDAMENTALISMI RELIGIOSI

     DONNE TRA TEOLOGIA DEL CAPITALE E  SIRENE DEL FONDAMENTALISMO



Giunto al XXIII anno di vita,  “Mezzocielo” (“trimestrale di politica cultura ambiente pensato e realizzato da donne”) dedica il numero 148 (Primavera 2015) al rapporto fra il mondo femminile e le religioni, con particolare riferimento  alle problematiche relazioni “Tra Islam estremo e Occidente”. Nell’impossibilità di dar conto della varietà, talora persino un po’ caotica, delle intuizioni e delle opinioni ospitate, provo a offrirne una delle possibili chiavi di lettura.

       Credenti in senso confessionale e non-credenti condividono una impostazione che, nei due millenni di cristianesimo, si è radicata e diffusa in Occidente: esiste il mondo dell’esperienza (quotidiana, etica, scientifica) che ha una propria sensatezza e avrebbe una propria serena evoluzione se non si imbattesse in alcuni macigni (contro cui scontrarsi o da aggirare con diffidenza). Questi macigni sono le grandi religioni istituzionali, in modo particolare le tre religioni del Libro: ebraismo, cristianesimo e islamismo. Esse cadono dal cielo come meteoriti che, precipitando, infrangono la logica umana, costringendo a una opzione radicale: o continuare a pensare, a ragionare, a conoscere oppure compiere il salto accettando dogmi che cozzano contro la ragione (un morto ritorna dall’al di là sulla terra, per riprendere l’esempio di Adriana Palmeri) o contro la morale (uccidere il figlio unico giovanetto avuto in tarda età, come viene comandato ad Abramo, padre di Isacco). 

     Questa concezione della religione, certamente maggioritaria e condivisa – lo ribadisco – tanto da credenti quanto da agnostici e atei,  è l’unica possibile e l’unica praticata? La risposta documentabile, argomentabile, dovrebbe essere netta: no ! Filosofia e teologia hanno messo in crisi questa visione verticale, gerarchica, del rapporto fra umano e religioso, fra natura e pretesa soprannatura. Nell’ultimo secolo si è consumata una rivoluzione in questi campi di cui il cittadino medio  - che frequenti o meno le chiese  - non ha neppure sentore. Neanche gli interventi di questo numero di “Mezzocielo”, ad essere sinceri, danno una risposta netta: ma, per lo meno, offrono spunti per sondarla.

      Un primo spunto è offerto dai contributi ‘storici’ (Rita Calabrese, Anna Scialabba, Silvana Fernandez, Gisella Modica, Shobba, Silvana Fernandez): molti credenti, in particolare molte donne (Hildegarda da Bingen, le “beghine”, Simone Weil, Edith Stein, l’induista Mirabai), hanno conciliato – sia pur pagando o rischiando di pagare prezzi elevati – l’appartenenza religiosa con il senso critico e la dignità morale. Davanti a questi esempi anche recentissimi, come la blogger Amina Sboui, potrebbe scattare una obiezione: non si tratta di eccezioni che confermano la regola? Se ne parla, forse, proprio perché sono state diverse rispetto a ciò che resta canonico, ortodosso?

       Ecco perché trovo istruttive le due voci ‘cattoliche’ (Cettina Militello e Fernanda Del Monte) che offrono un’indicazione per fare un passo avanti: i Testi ‘sacri’ vanno decifrati, decodificati, spiegati esegeticamente e interpretati ermeneuticamente. L’indicazione è corretta, ma  - a mio avviso – insufficiente. Essa è viziata da un ottimismo ingiustificato. Sostiene la Militello che un “discernimento profondo” ci porterebbe a scoprire  un “messaggio, originariamente paritario, che le Scritture veicolano”. Purtroppo questa affermazione è vera solo parzialmente. Correttamente intese, infatti, le Scritture intendono insegnare sia una parità originaria sia una subordinazione originaria della donna al maschio. Non possiamo trattare la Bibbia come gli avvocati trattano i codici, per trarne ciò che conviene e far finta di non vedere ciò che non conviene.

         Ma allora che altro fare? Propongo qui il terzo passo che ha compiuto la teologia contemporanea e che non è stato debitamente focalizzato in questo numero della rivista: passare dalla emancipazione nelle religioni alla emancipazione dalle religioni.  E’ il sogno di John Lennon nella sua splendida Immagine: “no countries, no religions too” . Questo lo sappiamo in molti. Che sia stato anche il sogno di molti profeti biblici, come Amos, lo sappiamo in pochi:"Io odio e abomino le vostre feste, non mi piacciono le vostre solennità. Se mi offrite olocausti e oblazioni, non le gradisco: ai vostri sacrifici di grasse vittime non volgo nemmeno lo sguardo. Lungi da me la voce dei tuoi canti; non voglio sentire i suoni delle tue arpe. Sgorghi invece la equità e la giustizia come torrente perenne" (5,21 - 23; ma vedi anche Salmo 50,7; Isaia 1, 10 - 15).

   Il grandissimo teologo Karl Barth ha tirato le conseguenze di questo ammonimento profetico: dobbiamo liberarci dalla “religione” per fare spazio alla “fede”. La religione è un prodotto diabolico dell’uomo, la fede un dono della grazia divina. E’ una posizione teologica che giustifica molte formule paradossali o apparentemente tali, del genere “La fede è una cosa troppo seria per lasciarla in mano ai preti” o “Dio è più grande della religione”. Personalmente, però, la condivido in un senso abbastanza diverso da Barth.

    Prima di tutto perché intendo la “fede” non come un dono esclusivamente divino, ma prima ancora come un’apertura costitutiva dell’animo umano verso l’ulteriorità, la novità, il futuro, l’infinito. E’ qualcosa di molto simile a ciò che Egle Palazzolo chiama “il senso alto della religione”, restando affezionata al vocabolo “religione” che può creare equivoci. E’ dunque quella fiducia originaria che dà senso alla ricerca in tutte le sue forme (scientifiche, poetiche, filosofiche, teologiche…): per intenderci è il medesimo senso in cui Adriana Palmeri può intitolare il suo pezzo Credo nella scienza, con una espressione che certamente non appartiene al registro linguistico di nessuna scienza !

    In secondo luogo, pur condividendo la diffidenza di Barth verso ogni religione, sono convinto che essa è un prodotto che l’essere umano non  finirà mai di produrre. Il XX secolo è in questo senso tragicamente istruttivo: illuminismo e storicismo avevano affondato il cristianesimo ed ecco che fascismo, nazismo e socialismo sovietico lo hanno rimpiazzato con la proclamazione di classi sociali o interi popoli eletti, libri sacri, , caste gerarchiche, liturgie, processioni, santi carismatici, ortodossie, tribunali d’inquisizione, eretici… Caduti i totalitarismi, ci si sarebbe aspettato il trionfo incontrastato della secolarizzazione: invece il capitalismo liberista  ha proclamato i suoi dogmi (denaro, potere, successo) e inventato i suoi riti (dai campionati di calcio senza interruzioni sino alle domeniche nei grandi magazzini dal mattino al tramonto); ha tentato di esportarli in Oriente e in Medio-oriente col risultato di suscitare movimenti politici di resistenza al capitalismo occidentale che utilizzano l’islamismo come arma identitaria e di mobilitazione delle masse. Se la dimensione religiosa, con tutte le sue ambiguità, è costitutiva della natura umana (ricordate Il Piccolo principe? Il faut des rites…), più che tentarne l’impossibile eliminazione, è preferibile vigilare criticamente per la sua continua purificazione, razionalizzazione, umanizzazione. Personalmente trovo nella filosofia l’attrezzatura per discernere in ogni proposta religiosa ciò che promuove la vera “fede” (nelle facoltà umane, nella solidarietà sociale, nel futuro del pianeta…) da ciò che la soffoca e la mortifica. Una filosofia senza dimensione religiosa rischia di restare un’avventura individuale, astratta, soggettiva; ma una esperienza religiosa senza critica filosofica rischia di scadere nella superstizione, nel fondamentalismo e nell’integralismo.

                                                                                                                                                         Augusto Cavadi                                                                                       www.augustocavadi.com



        

PS: A mio parere la formula “Credo nella scienza” usata da Adriana Palmeri sintetizza una doppia valenza.

     Da una parte vi vedrei una valenza critica: ci mette in guardia dall’intendere in maniera letterale, materialistica, le metafore della fede (come l’affermazione che “Gesù è risorto”): se con questo annunzio si volesse affermare che un uomo, vissuto per più di trent’anni nell’ambito della sfera mondana, sia morto e dopo tre giorni sia ritornato, biologicamente, a battere le strade della terra, sarebbe un annunzio contro la ragione  (e, in quanto tale, inaccettabile). Se, invece, come ritiene la maggior parte dei teologi contemporanei, “Gesù è risorto” significa che egli è davvero morto, è davvero scomparso dall’orizzonte empirico, per entrare in una dimensione assolutamente altra (di cui non sappiamo nulla) nella quale entrano i morti di tutta la storia, allora questo “annunzio” non può essere né dimostrato né confutato dalla ricerca scientifica. Appartiene al meta-empirico, al meta-scientifico: chi ritiene che esiste solo la dimensione spazio-temporale (su cui regna, sovrana, la scienza) sospenderà il giudizio; chi ha ragioni per sospettare che la sfera mondana non è l’intera realtà, potrà osare “credere” che la pienezza della vita  - almeno per gli uomini e le donne che l’hanno spesa con generosità – è oltre la vita biologica sul pianeta.

           Vedrei nel titolo di Adriana (“Credo nella scienza”) anche una seconda valenza positiva, propositiva: con Kant, con Jaspers, vi vedrei un atto di “fede razionale” nella ricerca scientifica, di “fede filosofica” nei poteri esplorativi della ragione umana, di “fiducia fondata antropologicamente” nella leggibilità dell’universo. Come ogni fede, anche la fede nella scienza corre il rischio di lasciarsi intrappolare da una religione (la scienza sa diventare anch’essa una trappola religiosa con i suoi dogmi, i suoi riti, le sue gerarchie…); ma, proprio come ogni fede autentica, è in sé una ricchezza irrinunciabile. Senza fede nella scienza non ci sarebbe tanto impegno, tanta passione, tanto slancio nel cercare di capire come è fatto l’universo in cui siamo immersi e che cosa possiamo, concretamente, fare per renderlo meno ostile alla nostra sopravvivenza.   

1 commento:

Anonimo ha detto...

Ottima critica dei fondamentalismi religiosi.
Ciao, Elio