sabato 1 ottobre 2016

DON CATALDO NARO (1951 - 2006) : UN VESCOVO ANOMALO


“Adista – Segni nuovi”
8.10.2016

MONS. NARO. VESCOVO PER CASO ?

Quando, nel 2002, don Cataldo Naro (poco più che cinquantenne) venne nominato arcivescovo di Monreale, nella mente di alcuni di noi si concretizzò spontaneamente una considerazione: “Forse l’assenza di metodi democratici nella Chiesa cattolica presenta qualche vantaggio!”. Infatti, se si fosse seguito l’iter dell’elezione dal basso, in uso nei primi secoli, lo storico del cristianesimo nel Meridione italiano sarebbe stato l’ultimo prete a essere candidabile nell’arcidiocesi a più alta densità (e intensità !) mafiosa: la maggioranza statistica  del clero di Corleone o di Partinico avrebbe  - del tutto in linea con il comportamento medio dei laici in occasione di tornate elettorali -  ritenuto opportuno optare per personaggi più ‘equilibrati’, più ‘comprensivi’ nei confronti del malcostume dilagante e, in particolar modo, della mentalità mafiosa.
 Don Naro, invece, pur se di carattere riservato e con un tratto relazionale eccezionalmente mite, aveva concentrato le energie intellettuali nell’analisi dei mali della società, e in particolare della Chiesa, nel Meridione, senza risparmiarsi neanche sul piano dell’operatività organizzativa: già nel 1983 fu tra i fondatori del Centro Studi “Cammarata di San Cataldo, poi membro del consiglio d'amministrazione di «Avvenire» e del comitato scientifico delle Settimane Sociali.
 Da presbitero organizzò convegni e seminari sui “martiri di giustizia” (quali il giudice Rosario Livatino e don Pino Puglisi) e pubblicò vari libri e saggi sull’intricata storia dei rapporti fra esponenti del mondo cattolico e boss mafiosi. Nei quattro anni dell'episcopato fondò a Monreale il Centro Studi “Intreccialagli”,  fu presidente della Commissione episcopale nazionale per la cultura e le comunicazioni sociali e vicepresidente del Comitato preparatorio del IV Convegno ecclesiale di Verona. Con lungimiranza non si chiuse dentro i recinti ecclesiali e nel 2005 avviò un progetto pastorale nel territorio della sua diocesi su "Santità e legalità", per un impegno cristiano di resistenza alla mafia, in collaborazione con il consorzio "Sviluppo e legalità" (che raggruppa alcuni comuni dell'Alto Belice Corleonese) e con l’Osservatorio per lo sviluppo e la legalità “Giuseppe La Franca”.
   Dal punto di vista teologico e spirituale non era certo considerato un “progressista” né, ancor meno, un “rivoluzionario”: per molti versi affine a don Francesco Michele Stabile, uno dei suoi maestri, ha evitato con cura atteggiamenti che potessero, sia pur per equivoco, essere qualificati spavaldi. Ricordo con gratitudine la disponibilità con cui, nel 1992, mi concesse di antologizzare alcuni suoi articoli nei due volumi, curati per le Dehoniane di Bologna, Il vangelo e la lupara. Né meno gradito mi fu l’omaggio autografato di una sua Lettera pastorale qualche tempo dopo una nostra polemica sulle pagine locali di “Repubblica” a proposito dei finanziamenti  regionali alla Facoltà teologica di Sicilia di cui era preside: come a dire, tra noi possiamo anche dissentire ma i veri nemici sono altri.
   E di nemici in senso vero, almeno a lui, non ne mancarono. L’arcivescovo precedente, il famigerato mons. Cassisa (amico di politici mafiosi e lui stesso oggetto di varie indagini giudiziarie), si decise a lasciare a don Naro l’ appartamento presso il Duomo solo dopo l’energico intervento del Vaticano e una manifestazione violenta contro l’automobile dello stesso Naro fu inscenata in un Comune dell’arcidiocesi per protesta contro il trasferimento di un parroco (che Cassisa aveva ritenuto per lungo tempo inamovibile). Queste tensioni straordinarie, in aggiunta ai carichi ordinari di un vescovo che non ha scelto di vivacchiare in attesa di ulteriori scatti di carriera, hanno contribuito al decesso improvviso e prematuro di don Cataldo Naro?  Molti lo abbiamo sospettato. Forse, tra i martiri cristiani, ci sono anche quelli che hanno incontrato i propri carnefici non tra i pagani o tra i mafiosi, ma all’interno stesso dei confini ecclesiali.

Augusto Cavadi
www.augustocavadi.com

4 commenti:

Salvatore Macaluso ha detto...

Caro Augusto, letto con interesse il tuo blog su Cataldo Naro che ho conosciuto personalmente tanto come docente quanto come vescovo; mi sento però di mettere alcuni puntini su certe tue i, se mi permetti. Fermo restando che giammai metterò in dubbio l'alto valore dello storico Naro, né le sue capacità di analisi e profondità di pensiero che lo hanno elevato ad uno dei massimi studiosi dell'interazione tra mentalità mafiosa e chiesa, tra criminalità mafiosa e religiosità popolare, tuttavia questo non fa necessariamente un buon vescovo. Con lui mi sono scontrato per avere criticato una lettera pastorale finendo sotto processo come ai tempi dell'Inquisizione. Salvo che il vescovo Naro non ebbe mai il coraggio o forse la voglia di sentire personalmente le mie ragioni, ma incaricando i suoi asserviti di indagare, interrogando, anche stavolta, non me personalmente, ma i miei amici. Ti ricordo che Cassisa è stato scagionato da tutte le accuse anche le più infamanti e ti faccio presente che dopo la nomina prima di mons. Vigo, aveva già lasciato il palazzo arcivescovile per trasferirsi in un'ala del museo diocesano che lui aveva creato. Non tenendo conto dell'età, né dello stato di salute del vecchio presule, vennero smossi mari e monti, giocando sul peso culturale e le amicizie in Vaticano per buttarlo fuori da Monreale. È stato osteggiato, ma mai aggredito da diverse comunità parrocchiali perché senza ascoltare nessuno spostava sacerdoti invisi al suo entourage, per metterci gli amici e gli amici degli amici. Non ha mai voluto accogliere una delegazione di laici della diocesi per affrontare problematiche e cercare soluzioni. "Qui comando io..." ci fece dire dal suo segretario, quello sì inamovibile visto che lo è stato di Pio Vigo, lo è stato di Naro e poi di mons. Di Cristina ed ora lo è di Pennisi. Ha accorpato parrocchie storiche, annichilendo comunità parrocchiali che di fatto non esistono più e condannato all'oblio e alla morte spirituale sacerdoti che pure avevano operato bene. Da studioso della chiesa monrealese ho la presunzione di affermare che è stato il peggiore tra i vescovi del terzo millennio di questa chiesa. E un'ultima nota: nessuno lo ha avvelenato, come vorrebbe una fola cittadina...il Padre Eterno ha avuto pietà per una volta di questa chiesa. Con affetto e stima. Salvatore Macaluso.

Pino Martinez ha detto...

Augusto, ho avuto modo di conoscere l'Arcivescovo Cataldo Naro che con tutta umiltà, senza appuntamento, per strada, e senza mostrare l'arroganza del potere mi fece parlare con lui senza che ci conoscessimo. Ha avuto a cuore i problemi della gente che in quel periodo perdevano il lavoro. Nominò ufficialmente un arciprete di un paese della diocesi quale suo rappresentante negli incontri con i Sindaci del territorio seguendo passo lo sviluppo delle trattative. Devo dirti che alcuni di noi, compreso io, siamo stati inseriti come LSU nelle Ripartizioni comunali sino ad essere accompagnati alla pensione. Non ho visto l'amico dei potenti, ho visto l'amico della povera gente che non conosceva, ma che andava seguita perchè aveva bisogno di ritrovare quella dignità che ci viene da Dio. Il lavoro dà dignità e rende l'uomo libero, libero di non accettere le proposte delle sirene mafiose.

Alina P. ha detto...

Augusto caro, buongiorno.
Ho letto il commento di tale Salvatore MACALUSO nei confronti di Cataldo Naro a proposito del tuo articolo al vescovo di Monreale.
Per te sarà tutto chiaro, ma io che non conosco nessuno tranne te, non c'è dubbio che mi fido assolutamente del tuo ritratto e di quello che ho sentito in giro di Naro, ma perché questo astio pervicace del tale MACALUSO?

BUONA GIORNATA E GRAZIE SEMPRE PER IL FATTO DI PENSARE AD ALTA VOCE....

Alina P.

Cosimo Scordato ha detto...

Per quello che può essere utile, vorrei offrire qualche elemento che, al di là di ogni polemica o partito preso, può orientare meglio la discussione, facendo crescere l’indice della dialogicità ed, eventualmente, della correzione fraterna.
La prima considerazione riguarda la valutazione nei confronti di un vescovo; prima di avventurarsi in essa, mi sembra opportuno che condividiamo i criteri con cui elaborala; al fine di ridimensionare considerazioni di carattere soggettivo e individuale, vorrei ricordare il profilo che il Concilio Vaticano II prospetta circa l’identità del vescovo.
In primo luogo, viene richiamato il legame con la sua chiesa locale; credo che per questo aspetto don Cataldo abbia cercato di coltivarlo in maniera pertinente; da un lato, si è collegato alla storia della sua Chiesa mettendo a fuoco anche i suoi diversi nodi problematici: dalla mafia alla illegalità, da una certa situazione di stallo a una certa dispersione della vita comunitaria; dall’altro lato, facendo riferimento alla ricchezza spirituale della sua Chiesa, ha rilanciato alcune figure di santità, che sono maturate nel suo seno.
In secondo luogo, riprendiamo i tre aspetti qualificanti del ministero episcopale: la dimensione sacerdotale, profetica e regale.
Per l’aspetto sacerdotale, Naro ha riservato grande attenzione alla vita liturgica e alla coniugazione tra cammino di santità e testimonianza nel territorio; per l’aspetto profetico, egli ha offerto un servizio qualificato alla parola di Dio, coniugandola con le esigenze della contemporaneità, e quindi accettando le sfide culturali del nostro tempo; per l’aspetto regale, ovvero per la dimensione di guida della Chiesa, va riconosciuto che buona parte delle sue scelte erano volte a un rinnovamento delle parrocchie; il che ha implicato anche cambiamenti e spostamenti di persone. Questo ultimo aspetto è stato quello che ha richiesto maggiore coraggio; di fronte al fatto che in alcune situazioni parrocchiali si tendeva a mantenere lo status quo col rischio di appiattimento con l’inamovibilità di alcune persone, le sue decisioni potevano prestare il fianco a critiche e resistenze. Sono convinto, però, che dette decisioni sono state frutto, oltre che del discernimento personale, anche delle consultazioni che certamente hanno impegnato i consigli presbiterale e pastorale; in ogni caso, non ho motivo di pensare che egli potesse ricercare interessi personali in questi cambiamenti e non piuttosto un volto rinnovato della sua Chiesa.
Con questo non voglio affermare che don Cataldo fosse perfetto e che non fosse esposto anche a ‘reattività’, che possono avere impressionato male qualche persona come Macaluso; per correttezza avremmo bisogno di potere ascoltare il punto di vista di don Naro che ormai, ci auguriamo, potrebbe fare anche qualche sorrisetto dal cielo.
Ciò non toglie che per Macaluso un incontro personale col ‘suo’ vescovo avrebbe consentito ogni chiarificazione.
Ma mentre comprendo l’amarezza di Macaluso, ridimensionandola non nascondo l’amaro in bocca che ha provocato in me la sua ultima considerazione; egli, reagendo al fatto che la morte improvvisa e prematura di don Naro da qualcuno è stata addebitata a qualche persona ad intra della comunità, ha preferito addebitarla a … Dio stesso, come se in questo modo Dio volesse liberare la Chiesa di Monreale dal suo vescovo! Ma simile attribuzione, frutto certamente di una scomposta e virulenta vis polemica, rischia di sconfinare in qualcosa che sa di blasfemo; per noi Naro è stato una grazia di Dio alla nostra Chiesa; il suo ministero episcopale, non senza i limiti della fragilità della condizione umana ma con la creatività dei doni dello Spirito, ha dato un contributo notevole e incisivo alla storia della nostre Chiese; esse in lui continuano a riconoscere non solo un conoscitore attento del passato, ma anche uno sguardo attento e lucido interessato a un presente più bello della Sposa di Cristo; per valutazioni ancora più complessive e articolate, lasciamo tempo alla storia, ci ricorderebbe lui stesso.