lunedì 22 febbraio 2021

BEPPE PAVAN SU "ESSERE MASCHI LIBERA/MENTE. LA GABBIA DEL PATRIARCATO" DI AUGUSTO CAVADI

 

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n° 1 – 2021                                                                                                       ISSN  1720-4577

 

 

 Augusto Cavadi, L’arte di essere maschi – libera/mente. La gabbia del                                          patriarcato, Di Girolamo ed., Trapani 2020 

 

Evangelizzare: la parola è emersa inopinatamente qualche sera fa, durante l’incontro online tra noi Uomini in Cammino di Pinerolo e il Gruppo Uomini di Palermo. La tesi di chi l’ha pronunciata corrispondeva a quanto scrive Cavadi a pagina 111, citando Stefano Ciccone: “Ci collochiamo consapevolmente in quella minoranza di esseri umani che prima di assumersi il compito di cambiare il mondo preferiscono tentare di cambiare se stessi (...)”. E corrisponde perfettamente alla mia esperienza personale, che altrettanto consapevolmente metto in parole dicendo che questo cambiamento del maschile impegnerà tutta la vita di ciascuno e tutta la vita dell’umanità. E’ un “cammino”, appunto, che ci dona benessere e felicità mentre camminiamo, non quando saremo arrivati... dove?

Questo libro di Augusto, piccolo di formato ma denso di contenuti – analisi, riflessioni e proposte – a mio avviso si inscrive esattamente nella pratica “evangelizzatrice” che negli anni ha seminato in molti uomini il desiderio di dar vita a nuovi gruppi di autocoscienza maschile, perché non basta che cambi io, per migliorare il mondo: deve cambiare tutto il genere maschile, tutta la parte maschile dell’umanità. La strada non è che una: questo cambiamento avverrà a mano a mano che un uomo, poi un altro, poi un altro... si metteranno in cammino di cambiamento di sé. Non ci sono scorciatoie, palingenesi miracolose di massa... Ecco perché il cammino durerà tutta la vita dell’umanità. Perché l’aggressività maschile, agita in mille forme di violenza, viene da lontano ed è dura a finire. Cavadi dedica i capitoli dal 4 al 7 all’analisi delle sue diverse radici.

Le radici biologiche, innanzitutto: non solo la genitalità intrusiva del maschio, ma “più in generale, la sua struttura anatomica (...) non sono estranee alla divisione arcaica dei compiti, attestata dalle ricerche antropologiche, fra le donne – allevatrici di prole e coltivatrici della terra – e gli uomini, cacciatori e guerrieri” (p 27). Ma questa differenza biologica tra i due sessi, che consegna al maschio un vantaggio in forza bruta, attesta invece un vantaggio della donna sull’uomo: gravidanza, parto e allattamento sono una asimmetria tra i due sessi che “può risolversi – per vie inconsce – in una ragione in più di astio nei confronti del mondo femminile, di volontà di rivalsa” (p 35). Come possiamo uscirne bene? Smettendo di confrontarci con le donne in termini di competizione e di conflitto, ma scegliendo di riconoscere e nominare questa irriducibile differenza: solo così possiamo dare senso alla vita di uomini e donne. Perché “anche sotto le gerarchie maschili il nucleo matricentrico della società umana rimane” (p 38): riconoscerlo ci aiuta a superare con riconoscenza l’insicurezza e il risentimento che ha sempre generato nei maschi, e ci può avviare sui sentieri del possibile nuovo itinerario che è la trama del capitolo 8.

Le altre radici della violenza maschile contro le donne, analizzate da Cavadi, sono socio-economiche (cap 5),giuridico-culturali (cap 6) simbolico-religiose (cap 7). La tesi di fondo, che condivido con convinzione, è che “le credenze, le convinzioni, i dogmi, i riti incidono nell’immaginario collettivo dei credenti quanto dei non-credenti e degli agnostici” (p 63).

Il carattere e lo spirito “evangelizzatore” del libro lo colgo in pieno nel capitolo 8, nel quale Augusto traccia le linee di un possibile itinerario per il cambiamento maschile, raccogliendo e spargendo i semi buoni delle esperienze che si stanno consolidando da qualche decina d’anni. E’ l’invito ad abbandonare la dipendenza dai modelli stereotipati di virilità maschilista predominante, alla ricerca del “nostro modo personale di interpretare la maschilità”, scegliendo, nel confronto con uomini e donne, “quali siano i comportamenti che ci sembrano più convincenti e più corretti” (p 83). Ecco il senso del titolo del libro: liberarci dalla gabbia del patriarcato e imparare l’arte di essere maschi liberamente, non cloni stereotipati funzionali a logiche di dominio che non ci appartengono.

Il gruppo, disponibile alla sinergia operativa, si rivela sostegno decisivo e prezioso per questo cammino personale di libertà: “E’ necessario l’apporto di altre persone con cui confrontarsi, scambiarsi le esperienze, le critiche vicendevoli, i suggerimenti, gli incoraggiamenti” (p 92).

I frutti dell’autocoscienza maschile, praticata sia individualmente che collettivamente, vanno registrati osservando il comportamento effettivo quotidiano di chi la intraprende” (p 96). La consapevolezza acquisita si manifesta necessariamente nell’adozione di modi attenti di stare nelle relazioni con il corpo e con le parole: battute pesanti e barzellette sessiste sono armi tremende, che fatichiamo a deporre. E’ una questione di giustizia sociale, che ci chiede anche di “ridare valore al lavoro domestico e di cura (...) importante per la crescita personale – di uomini e di donne -, perché (...) cresciamo in autonomia e (...) rafforziamo l’empatia e il sentimento di solidarietà” (p 100).

Infine, Augusto rileva che questa pratica di autocoscienza personale in piccoli gruppi di maschi è, sì, essenziale, ma limitata sociologicamente. I numeri sono ancora sempre piccoli, anche se in costante lenta ascesa... “Da qui l’impegno – secondo le forze e i carismi di ciascuno – di farsi promotori di un’azione pedagogica e politica a più ampio raggio possibile, attivando occasioni di informazione e di formazione nelle scuole, negli uffici, nelle fabbriche, nelle associazioni laiche e religiose, nei sindacati, nei partiti...” (p 101). E’ l’essenza dell’evangelizzazione: parola che mi piace molto da quando ho maturato, grazie alle donne del femminismo e nella ricerca comunitaria, la convinzione che la buona notiziaannunciata da Gesù è che la felicità è possibile se uomini e donne riconoscono la matrice matriarcale della vita e scelgono di stare in tutte le loro relazioni con amore, cura e rispetto reciproco. Per noi maschi si tratta di abbandonare, consapevolmente e definitivamente, la cultura e le pratiche di stampo patriarcale, con tutto ciò che questo significa e che continueremo a indagare fino all’ultimo dei nostri giorni. La felicità sta nel cammino quotidiano, non al suo termine, che non vedremo.

Il capitolo 9 rilancia e risponde ad alcune obiezioni che sempre ci vengono rivolte:

·    La violenza non ha sesso – o, meglio, ha tutti i sessi... ma “nel caso della violenza maschile contro le femmine (...) ci troviamo probabilmente alla radice di tutte le manifestazioni: alla madre di tutte le violenze” (p 109).

·    Il maschilismo patriarcale è ormai superato. “L’esperienza diretta di molti e molte di noi attesta che (...) permane una visione delle cose assai poco progredita” (p 112).

·    Il separatismo perpetua la lotta tra i sessi. In realtà il movimento femminista e i gruppi di autocoscienza maschile sono nati dalla constatazione dell’esistenza di questa lotta tra i sessi che, visto il numero di vittime, viene spesso chiamata “guerra”; e - scrive Augusto – entrambi questi movimenti “lavorano per il proprio tramonto, per diventare superflui: per una società talmente equa da non aver bisogno di essi” (p 116).

·    La liberazione delle donne è un problema delle donne. Certo che no: è anche un problema degli uomini, perchè “la mentalità patriarcale è una grande gabbia da cui le donne devono liberarsi non meno degli uomini”. Serve un’azione sinergica e convergente di uomini e donne (p 117).

La Postfazione di Francesco Seminara – animatore del gruppo di Palermo, che non a caso si chiama “Noi uomini di Palermo contro la violenza sulle donne” – fa luce su tre grandi vantaggi che possono venire agli uomini dalla consapevole e convinta destrutturazione degli stereotipi di genere:

1.      Scoprire la propria dimensione sentimentale, abbandonando gli atteggiamenti predatori e scoprendo il bello della tenerezza, dell’intimità nelle relazioni, tra maschi e con le donne.

2.      Praticare professioni tradizionalmente vietate, “che comportino dedizione e cura nei confronti degli altri sia in ambito lavorativo che amicale (..) educatore, maestro d’infanzia, infermiere...” (p 126). Sono professioni poco attraenti anche perché poco retribuite a causa del pregiudizio patriarcale che affida all’uomo il dovere di mantenere la famiglia.

3.      Riacquistare la parità genitoriale in caso di separazione: “se il maschio si impegnasse seriamente in un ripensamento del proprio ruolo, dedicando – durante gli anni di convivenza dei coniugi – alla cura dei figli un’attenzione e un tempo pari a quanto abitualmente vi dedica la madre. I giudici potrebbero, con maggiore facilità, decidere per l’affido condiviso (...) disinnescando così un conflitto in cui spesso le vittime sono i soggetti più deboli, i figli” (p 128).

 

Il volumetto è completato da alcuni allegati, tra i quali desidero evidenziare il quarto: “I pregiudizi nelle frasi di noi giudici”. Si tratta di un articolo – scritto per un quotidiano di grande tiratura - a firma di Paola Di Nicola, magistrata a Roma, che ha raccolto in un suo pesante (simbolicamente e istituzionalmente) archivio i pregiudizi a carico delle donne che si possono leggere in alcune sentenze di “giudici del Nord e del Sud, uomini e donne, giovani e anziani”. Li elenco soltanto: “Le donne sono bugiarde – Le donne causano la violenza – Le donne esagerano – Le donne sono vittimiste – Le donne acconsentono”.

Commenta Paola Di Nicola: “Qui non c’è logica giuridica, ma un’inconsapevole condivisione degli stereotipi assorbiti dal contesto sociale e culturale in cui tutti si riconoscono. (...) Solo nei reati di violenza maschile la vittima non è creduta. (...) La ragione è che la struttura della violenza e la sua normalità sono talmente dentro di noi che non riusciamo a leggerla e reggerla, nemmeno se facciamo i giudici” (p 146).

Scrivere e divulgare, come fa Augusto Cavadi con indubbia maestria, le proprie riflessioni maturate e approfondite in gruppo e facendo tesoro di scritti altrui... anche questo si inscrive nelle pratiche di evangelizzazione, della diffusione della bellissima notizia agli uomini di tutto il mondo: la felicità è possibile! Mettiamoci tutti in cammino alla sua ricerca!

Beppe Pavan

 

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