venerdì 12 marzo 2021

SPRAZZI DI LUCE DALLA MITOLOGIA SICILIANA


 “Il  Gattopardo”

Febbraio 2021

 

SPRAZZI DI LUCE DALLA MITOLOGIA SICILIANA

 

Alla conoscenza di una regione del pianeta contribuiscono certamente i racconti mitologici e le leggende popolari della tradizione. Giuseppe Pitré è il più celebre raccoglitore e catalogatore di queste storie istruttive, benché fantastiche. Sfogliando, ad esempio, Streghe Briganti Diavoli e Santi. Racconti e leggende della Sicilia (a cura di Nicoletta Spallitta, Gribaudo, Torino 1995) si apprende il significato di molti dettagli simbolici e, ancor più, ci si fa un’idea delle auto-interpretazioni prevalenti nel popolo siciliano. 

 Perché il Genio di Palermo, raffigurato in varie statue della città come un re placidamente seduto, ha un cane accovacciato ai piedi e un serpente al braccio? Il primo animale rappresenta la fedeltà, il secondo la prudenza. Si potrebbe ipotizzare, allora, una situazione idilliaca in cui alla fedeltà dei cittadini corrisponda la saggezza dei governanti. Ma, a smorzare enfatizzazioni idealizzanti, su ognuna di queste statue campeggia una scritta: Alienos nutrit, se ipsum devorat  (“ Gli stranieri li nutre, se stesso si divora”). Non è facile interpretare, in nessun caso però sembrerebbe un motto di auto-esaltazione. Forse si allude a una città che arricchisce i mercanti stranieri ma non riesce a sfamare i suoi abitanti; oppure  alle “simpatie che trovano i visitatori presso i palermitani” e ai “mali da questi sopportati durante la successione infinita dei dominatori”. In ogni ipotesi, pare certo che Palermo – in ciò cifra emblematica dell’intera isola – sia un luogo dove si vive molto meglio da ospiti di passaggio che da residenti in pianta stabile.

 Una conferma di questa ambivalenza di città bella da visitare, ma pesante da abitare permanentemente, l’ebbi da ragazzo quando mi spiegarono il significato del gesto di Carlo V d’Asburgo in piazza Bologni (sì, proprio con la "i" finale), scolpito con la mano protesa in avanti e il palmo verso il basso. Lo scultore lo aveva voluto immortalare nell’atto di giurare sui privilegi imperiali concessi alla città, ma per la popolazione quel gesto sarebbe stato più appropriato se avesse voluto dire: “A Palermo l’immondizia è mediamente alta così” (o meno crudamente: “Per campare in questa città si spende un sacco di soldi alto così”). 

  Più confortante apprendere che Sicilia fosse il nome di una principessa orientale sbarcatavi in cerca di salvezza dalle mire di un pretendente violento: un nome benaugurante adottato anche perché “si può pronunciare solo aprendo le labbra al sorriso”. L’etimo? Per alcuni “il risultato dell’unione  di due voci antiche: sik, fico, e elia, ulivo”. Un’etimologia improbabile che fa il paio con quest’altra, più divertente: in siciliano gli asini sarebbero chiamati “scecchi” perché importati dagli… “sceicchi” arabi.  

 

Augusto Cavadi

www.augustocavadi.com


(La foto, che da una grotta di Monte Pellegrino consente di osservare anche il nostro appartamento, è di Giro Randazzo)

2 commenti:

gabriella ha detto...

È sempre molto interessante leggerti. Grazie!

lucia boldi ha detto...

Che meraviglia la storia della nostra Sicilia! Poi interpretata con ironia diventa insuperabile!