sabato 1 agosto 2009

Le porcate di Berlusca e il dibattito nella chiesa siciliana


“Repubblica - Palermo”
31.7.09

VIZI PRIVATI E PUBBLICHE VIRTU’ SECONDO I VESCOVI SICILIANI

Sino a che punto si possono separare i vizi privati dalle virtù pubbliche? La domanda, di per sé interessante, pare sia stata avvertita nella Chiesa cattolica siciliana con particolare insistenza.
Il vescovo di Mazara del Vallo, mons. Domenico Mogavero, che è un esperto di diritto e che è stato ai vertici della Conferenza episcopale italiana, intervistato dall’Ansa sui recenti casi di Berlusconi, non ha usato mezze misure: “il disagio inevitabilmente va montando sempre di più nella Chiesa” e nel Paese si sta determinando “uno sbandamento e una confusione” che esigono un chiarimento da parte del presidente del consiglio, il quale dovrebbe “valutare” se “nel superiore interesse nazionale del Paese” sia opportuno dimettersi. Il vescovo di Piazza Armerina, mons. Michele Pennisi, è altrettanto netto sul piano dei princìpi (”è bene mettere in discussione la pregiudiziale separazione tra etica e politica, sostenuta da chi teorizza che tutte le sperienze della vita umana sono autonome dalla morale”), ma molto più sfumato sul terreno delle contingenze storiche: “In concreto bisogna però chiedersi se la ‘questione morale’ sollevata da improvvisati Catoni non sia usata come clava contro i propri avversari politici e se dietro campagne moralistiche non si nascondano ipocritamente interessi economici e strumentalizzazioni elettorali di basso profilo. L’ipocrisia è l’omaggio che il vizio rende alla virtù″.

Il ragionamento di Pennisi oscilla fra ingenuità ed eccesso di furbizia: come ci si può stupire se gli avversari politici di un leader approfittino dei suoi scivoloni morali per erodergli fette di consenso a proprio favore? Se uno ruba o tradisce sistematicamente la moglie con minorenni, la sua responsabilità impallidisce sino a scomparire solo perché a denunziarne l’incoerenza sono esponenti di altre formazioni politiche? Probabilmente il presule intuisce, senza difficoltà, la debolezza delle proprie argomentazioni e, per rinforzarle, aggiunge considerazioni intese a delegittimare i critici del premier: “Mi chiedo da che pulpito viene la predica, quando coloro che esaltano il libertinaggio morale del singolo individuo e sostengono campagne di legittimazione della soppressione di esseri umani innocenti o in favore della selezione eugenetica degli esseri umani in stato embrionale o dell’eutanasia come progetto di estensione del suicidio assistito, si ergono a difensori della morale altrui: o sono diventati di botto dei bacchettoni o sono rimasti farisei”. Qui il filo del ragionamento si assottiglia sino all’inverosimile: tu ritieni opportuno che una coppia scelga di non portare a termine la gravidanza nel caso di un feto gravemente malformato o che un anziano ammalato di tumore scelga il suicidio assistito? Queste sole idee ti squalificano irrimediabilmente: non meriti contro-argomentazioni razionali ed, anzi, perdi il diritto di scandalizzarti per le azioni immorali degli altri, sia nei campi in cui hai idee opinabili sia in tutti gli altri ambiti etici.
Anche don Salvatore Resca, uno dei più noti e stimati preti della diocesi di Catania, in un’intervista rilasciata all’agenzia di stampa “Adista” trova sorprendenti le dichiarazioni del presule di Piazza Armerina: “Il vescovo deplora l’uso ’strumentale’ della morale per delegittimare i propri avversari politici, legittimando così i comportamenti di Berlusconi, e dimenticando, visto il ruolo che il suo protetto ricopre, le gravi e negative ricadute dei suoi atteggiamenti sulla collettività“. Chiedere ai potenti di turno di emanare leggi rigoriste, moralistiche, repressive e in cambio chiudere un occhio sui loro peccati personali significa capovolgere la logica evangelica, incarnata da un Giovanni Battista o da un Gesù di Nazareth: denunziare a voce alta le magagne dei governanti e contare, per la conversione della gente, non sulla paura delle norme bensì sull’efficacia dell’esempio.
Aver cura della dignità dei fratelli (e delle sorelle !), essere solidali con gli stranieri, rispettare tutte le creature viventi, mantenerfe la sobrietà nell’uso dei beni materiali, praticare la lealtà e riconoscere con onestà le proprie ventuali colpe: sono qualità cristiane che si possono praticare non per paura dei poliziotti, ma perché si sperimenta che esse sole danno sapore ai pochi giorni che ci sono concessi sul pianeta. Pretendere che questo lo capiscano gli “atei devoti” e, soprattutto, che ne traggano le conseguenze pratiche, sarebbe troppo; ma se lo capissero almeno i pastori della chiesa siciliana, sarebbe una ragione per sperare in una Sicilia meno inquinata. Sarebbe un modo per arrivare più facilmente a quella meta da cui monsignor Pennisi rischia, suo malgrado, di allontanare credenti e noncredenti: il rifidanzamento fra convinzioni etiche e prassi politica.

Augusto Cavadi

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