lunedì 23 gennaio 2012

Cosa pensare delle agitazioni di questi giorni in Sicilia?


Nota preliminare: come sanno i miei “ventiquattro lettori”, non sono solito usare il blog per esprimere valutazioni di attualità, prima che esse vengano ospitate dalle testate con cui collaboro. Il movimento “Forza d’urto” (di cui una componente consistente è costituita dai “Forconi”) esige però delle valutazioni tempestive che possano orientare il giudizio, e soprattutto l’operato, di quei cittadini disposti ad ascoltare non soltanto le ragioni (sacrosante) della ‘pancia’ ma anche quelle (non disprezzabili) della “ragione”.
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“FORZA D’URTO” ? BENISSIMO. MA SENZA SBAGLIARE BERSAGLIO

Che pensare della paralisi di un’intera regione da parte di un fronte così ampio e articolato di lavoratori? Non trovo niente di invidiabile in quanti manifestano, senza tentennamenti, opposte, equivalenti, certezze: né nel solito perbenismo dei moderati (“Non è giusto infrangere la legge in maniera così plateale”) né nell’altrettanto solito compiacimento dei rivoluzionari in servizio permanente (“L’importante è fare scoppiare le contraddizioni di un sistema irreparabilmente malato”). La via dell’analisi è tortuosa, passa attraverso più dubbi di quanto non se ne incontrino in giro.
Un primo punto su cui provare a fare chiarezza riguarda il metodo di lotta. Da una parte è vero che la sordità del ceto politico è ormai così grave che solo con azioni eclatanti si riesce a penetrarla: il diritto di parola è frustrato dall’assenza del corrispettivo diritto di essere ascoltati. Ma è altrettanto vero che non si può neppure sostituire il confronto politico – nel Parlamento e nel Paese – con una sorta di rissa da saloon in cui alla fine prevalgano i più violenti. Nel corso dei gloriosi “Fasci” di fine Ottocento, i contadini occupavano le terre e fronteggiavano le armi dell’esercito regolare, ma infrangevano la legalità ai danni dei latifondisti sfruttatori, non dei conterranei già in pesanti difficoltà.
Il vero nodo problematico è allora, più che il metodo, il fine di questo movimento: dove vuole arrivare? E, prima ancora, sa da dove parte? Gli slogan, gli striscioni, le dichiarazioni volanti, le bandiere e gli stendardi danno la spiacevole impressione che, per l’ennesima volta, si voglia attribuire al Nemico esterno l’intera responsabilità dei mali interni. Che si assista alla riedizione del logoro sicilianismo “piagnone”. Gli interessi delle compagnie petrolifere, una globalizzazione affidata al mercato dall’incompetenza e dalla corruzione dei governi nazionali degli ultimi decenni, un mercato – sua volta - ossessivamente concentrato sul profitto a tutti i costi (insomma quell’insieme di fattori che causano il paradosso di benzina venduta, nei distributori siciliani, a prezzi più alti della media italiana; di pomodorini di Pachino nei supermercati palermitani solo dopo essere andati e tornati da Napoli o da Firenze; di tonni e pesci spada importati, in confezioni surgelate, dallo stesso Giappone a cui vendiamo tonni e pesci spada di migliore qualità…) sono dati oggettivi e vanno, al più presto, scardinati. Così come va incrementata la repressione di frodi internazionali consistenti nell’importazione in Sicilia di alimenti – come l’olio – che poi vengono rivenduti, a prezzi maggiorati, come prodotti tipici siciliani. Ma non solo le uniche cause del malessere siciliano.
In questi decenni quanti, tra i dimostranti, hanno supportato elettoralmente una politica regionale dissennata proprio nei settori oggi interessati? L’assessorato all’Agricoltura è stata una delle “minne” a cui privati e di cooperative hanno attinto finanziamenti fasulli, rimborsi drogati, contributi europei indebiti: abbiamo dimenticato con quali soldi molti imprenditori nostrani hanno acquistato “fuoristrada” che non hanno mai battuto una “trazzera” di campagna? Abbiamo dimenticato che il dottor Filippo Basile è stato assassinato per ordine di un impiegato dell’assessorato all’Agricoltura perché si rifiutava di favorire illegalmente un concittadino di Salvatore Cuffaro, all’epoca assessore al ramo e - come sempre - più ‘morbido’ nell’accogliere le richieste di favore? Ho in memoria una serie di nomi di funzionari dell’assessorato che – in vari periodi – mi hanno confidato di aver preferito il pensionamento anticipato all’avanzamento di grado perché “le pressioni dei politici e i tentativi di corruzione degli operatori del settore sono davvero insopportabili”. Senza contare quante centinaia di migliaia di euro vengono distribuite ogni mese a uomini e donne che risultano braccianti in quiescenza e che, nella loro vita, non hanno mai toccato una zappa.
Questi flash , del tutto inadeguati, aprono la questione decisiva: dove vuole arrivare la protesta? Si vuole la mera replica capovolta del leghismo settentrionale (quando gli allevatori della Brianza pretendevano che lo Stato pagasse le multe per le loro infrazioni)? Come non credo in nessuna Padania, così non credo in nessuna Trinacria: la Sicilia è una mela spaccata a metà e una delle due parti è marcia. Vogliamo che, sotto l’ennesimo ricatto della piazza, il governo nazionale scucia qualche elemosina o il risanamento – radicale – di un sistema che, sul momento, accontenta clienti e corrotti, ma alla lunga si risolve in un boomerang per tutti, onesti compresi? “Forza d’urto” e “Forconi” (tra i quali militano amici che stimo) lo dicano forte: i primi nemici da abbattere sono gli intermediari parassitari che, con metodi più o meno illegali, riescono a far costare 2 euro al kilo le arance o l’uva che al produttore vengono pagate a metà della metà. Con il risultato, paradossale, che centinaia di migliaia di famiglie siciliane non possono permettersi ogni giorno il lusso di acquistare la frutta, neppure per i bambini. Siamo ai nuovi Vespri siciliani? Neppure per sogno. Da infilzare non ci sono Angioini stranieri, ma cosche mafiose nostrane che fanno regolarmente fuggire dall’isola gli imprenditori che vorrebbero impiantare industrie di trasformazione dei prodotti ittici e agricoli (a partire dalle tonnellate di agrumi che vengono distrutte per tenere artificialmente alti i prezzi) . Più ampiamente, da abbattere è la mentalità in cui la politica viene ridotta a mera negoziazione di interessi individuali o, al massimo, corporativi, preoccupandosi – per restare in tema – del destino della stalla di tutti solo man mano che si esaurisce il foraggio di ognuno.

Augusto Cavadi

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