martedì 15 gennaio 2013

L’utopia di Danilo Dolci


“Repubblica – Palermo”
13.1.2013

L’UTOPIA DI DANILO DOLCI

Chi insegna, a scuola o all’università, assiste di anno in anno alla scomparsa dalla memoria collettiva di nomi e volti che ci erano una volta familiari. Danilo Dolci è una di queste figure che, lentamente ma inesorabilmente, ha completato la traiettoria dell’inabissamento nel mare dell’oblìo. Anche i suoi compagni e collaboratori avanzano negli anni e ci vanno lasciando. Per fortuna uno di loro - dei più consapevoli e attivi, dei più coerenti – ci ha voluto regalare la prima sintesi completa del pensiero e della vita di Dolci. E’ uscito così, proprio nel quindicesimo anniversario della morte, a firma di Giuseppe Cipolla, il documentato, gradevolissimo, Danilo Dolci e l’utopia possibile. Nella prima parte ci viene presentato “Lo scrittore e il promotore della società civile” (con riferimento a iniziative clamorose quali lo sciopero “alla rovescia” del 1956 e a libri fondamentali come Inchiesta a Palermo); nella seconda parte, poi, “Il filosofo, l’educatore e il poeta” (con una specie di dizionario delle “parole-chiave” del pensiero di Dolci). Come si evince dalla struttura del saggio, l’autore ha provato a darne un’immagine a tutto tondo, pur sapendo che tagliare alcuni aspetti avrebbe facilitato l’incasellamento del sociologo triestino in categorie più maneggevoli. L’originalità del volume - una lettura ormai obbligata per chi in futuro voglia interessarsi di Danilo Dolci – sta proprio nell’audacia con cui, pur tenendo nel debito conto i risultati degli specialisti da varie angolazioni (gli studi bio-bibliografici di G. Barone, psico-pedagoci di A. Mangano, letterari di G. Fontanelli e così via), ha provato a comporre un mosaico complessivo per evidenziare - come scrive lo stesso autore – “non solo l’unitarietà e la coerenza che hanno gli scritti di Dolci, ma anche l’attualità del suo messaggio negli anni che stiamo vivendo, che per certi aspetti non solo confermano le critiche di Dolci, ma anche evidenziano i segni positivi di quella ‘svolta epocale’ che egli si augurava”.
La monografia di Cipolla sarebbe stata ancor più meritoria se, nella ricca bibliografia (eventualmente sfrondata dai testi di carattere generale che non risultano necessari), fossero stati inclusi anche scritti ‘minori’ (come saggi, articoli, prefazioni a libri altrui etc.). E, soprattutto, se nelle duecento e più pagine ci fosse traccia di qualche rilievo critico nei confronti del protagonista: è come se l’ammirazione devota del discepolo avesse impedito di vedere i limiti, inevitabili in ogni mortale, del maestro. Senza tali difetti, però, non si spiegherebbe un dato storico inoppugnabile: che Danilo Dolci attirava moltissimo e moltissimi (da tutto il mondo) e altrettanti finivano con l’abbandonarlo. Qualcuno per intraprendere sentieri più comodi e remunerativi; ma molti altri per dedicarsi ad iniziative sociali benemerite, senza dover pagare il prezzo troppo gravoso di una fedeltà personale più consona a consorterie medievali che a comunità democratiche. Destino tipico delle personalità grandi, ma non tanto da rispettare il pluralismo delle opinioni e la dinamica della partecipazione egualitaria: da non voler fagocitare gli altri, soddisfatti di aiutare ciascuno ad essere sé stesso.
Evocare le imperfezioni di chi ci ha pionieristicamente preceduto non significa ammirarli di meno, ma ammirarli meglio e soprattutto più fecondamente: infatti, alla luce della verità storica, essi possono illuminarci ancor oggi indicandoci sia le strade su cui perseverare sia gli errori da evitare. D’altronde, questi stessi precursori - a loro volta – si erano allontanati, per esigenza di autonomia critica, da personaggi che in un primo tempo gli avevano aperto nuovi orizzonti: come Dolci stesso, dopo un anno e mezzo di vita nella comunità di accoglienza per orfani di guerra fondata da don Zeno Saltini, si era allontanato da Nomadelfia, avvertita “come un nido caldo che rischiava di compiacersi di sé”. Da Trieste a Milano, da Milano a Nomadelfia, da Nomadelfia a Trappeto e a Partinico: e qui muore nel 1997, dopo aver affrontato battaglie e processi, non senza risultati concreti come la diga sullo Jato. Si è trattato di un utopista? Certamente. Ha scritto: “Se l’uomo non immagina, si spegne”. Ma l’utopia, anzicché strapparlo alle strade terrestri, lo ha aiutato a percorrerle con tenacia sino alla fine. Noi, invece, rischiamo di addormentarci per eccesso di realismo.

Augusto Cavadi

INCIPIT del volume:
G. Cipolla, Danilo Dolci e l’utopia possibile, Sciascia, Caltanissetta – Roma 2012, pp. 218, euro 18.

Danilo Dolci nasce a Sesana (Trieste) nel 1924, ma si trasferisce presto a Milano. Prossimo alla laurea in Architettura, colto da una sorta di conversione, entra dapprima nella comunità di Nomadelfia, ma nel 1952 la Sicilia occidentale diventa il suo terreno operativo, con i centri direzionali collocati a Trappeto e a Partinico, dove fonda il Borgo di Dio e poi il Centro Studi e Iniziative per la Piena Occupazione. Memorabili le sue azioni per il riscatto dalla miserai di tanta parte della popolazione siciliana attravesro la consapevole partecipazione popolare e la collaborazione di uomini, sindacati e partiti più sensibili alle impellenti istanze sociali. Partecipazione dal basso e metodo nonviolento caratterizzano le lotte promosse da Dolci, che sono rimaste memorabili e che allora ebbero il sostegno dell’opinione pubblica, non solo nazionale, e della più impegnata intellettualità. Ma Dolci è anche uno scrittore e un pensatore di notevole spessore. Le sue più importanti opere vennero diffuse in quasi tutti i paesi del mondo. Numerosi poi i riconoscimenti e i premi ricevuti. Tra questi segnaliamo: il Premio Lenin per la Pace nel 1958; il Premio Socrate di Stoccolma “per l’attività in favore della pace e nel settore dell’educazione”, nel 1970;in Danimarca, nel 1971, il premio Sonning “per il suo contributo alla civilizzazione europea”; in India, nel 1989, il premio Gandhi.Parecchi i premi letterari, tra cui il premio Viareggio per Inchiesta a Palermo nel 1958, e per la sua produzione poetica nel 1977 e nel 1983. Riceve infine tre lauree honoris causa in Pedagogia: nel 1968 dalle Università di Berna e di Roma, e nel 1966 dall’Università di Bologna. Dolci muore a Partinico il 30 dicembre 1997.

1 commento:

Maria D'Asaro ha detto...

Ottima recensione! Vorrei averla scritta io ... Buona giornata.