martedì 2 luglio 2013

A cinquant'anni dal Manifesto valdese su cristiani e stragi mafiose


“Riforma” 
5.7.2013

METASTASI DIFFUSE

   C’era una volta un tempo in cui la mafia faceva esplodere le bombe contro nemici dentro e fuori Cosa nostra. Quel tempo estesosi per decenni, dagli anni Sessanta agli anni Novanta del secolo scorso, adesso pare concluso. Per due ragioni: una buona e l’altra meno buona. La ragione consolante è che la struttura militare di Cosa nostra è in difficoltà come non mai nel secolo e mezzo della  sua storia: quasi tutti i capi di due, o tre, generazioni successive stanno marcendo in carcere. La ragione meno confortante è che la mafia residua non ha molti motivi per cercare lo scontro aperto con le istituzioni: si è infiltrata abbastanza dentro i gangli che contano. Tra i suoi adepti politici e banchieri, avvocati e medici, imprenditori e professori: e, quando non le bastano, può contattarli e contrattare da pari a pari.
    Una delle prime esplosioni mafiose avvenne nel 1963 a Ciaculli, quartiere periferico di Palermo: sette morti fra le forze dell’ordine. Il pastore Pietro Valdo Panascia fa stampare e affiggere un Manifesto (“Iniziativa per il rispetto della vita umana”) per le vie della città  in cui  si appella, a nome della chiesa valdese, “a quanti hanno la responsabilità della vita civile e religiosa del nostro popolo, onde siano prese delle opportune iniziative per prevenire ogni forma di delitto, adoperandosi con ogni mezzo alla formazione di una più elevata coscienza morale e cristiana, richiamando tutti ad un più alto senso di sacro rispetto della vita e alla osservanza della Legge di Dio che ordina di non uccidere”. L’appello cade nel vuoto. Come viene raccontato nel prezioso Vivere il vangelo in minoranza. Breve storia dei Valdesi a Palermo (Il pozzo di Giacobbe, Trapani 2005) di Renato Salvaggio, lo raccoglie solo, dalla lontana Roma, la Segreteria di Stato vaticana che scrive all’arcivescovo di Palermo per segnalare l’iniziativa della comunità valdese e per suggerire “un’azione positiva e sistematica per dissociare la mentalità della così detta ‘mafia’ da quella religiosa”, ma il cardinale Ernesto Ruffini risponde quasi piccato: “Mi sorprende alquanto che si possa supporre che la mentalità della così detta mafia sia associata a quella religiosa”. Il modo in cui la chiesa cattolica si dedica all’educazione morale dei cittadini  “non è eccezionale, come l’intervento del Pastore Pier Valdo Panascia, ma continuo”. Il presule morirà troppo presto per poter misurare per intero gli effetti positivi dell’azione pastorale dei suoi preti: la serie di politici e amministratori sedicenti cattolici di indubbia complicità criminale si snoderà per decenni (da Lima e Ciancimino sino a Cuffaro, tutt’ora in galera per favoreggiamento dei più pericolosi boss mafiosi in circolazione sino a qualche anno fa ).
    Il 5 luglio, a celebrare il cinquantesimo anniversario del “Manifesto” valdese, si terrà un convegno pomeridiano presso il Centro diaconale valdese di Palermo  (uno dei frutti più eloquenti e duraturi dell’impegno pastorale, non certo episodico, di Panascia) con la partecipazione, fra gli altri, del Moderatore della Tavola Eugenio Bernardini. Una partecipazione significativa intanto per le chiese siciliane che rischiano di assuefarsi al dominio mafioso come ci si abitua alla pioggia invernale e all’afa estiva: un fenomeno così complesso e così capace di trasformazioni camaleontiche esige un’attenzione, un’analisi e una progettualità strategica sempre rinnovate. La tentazione di non studiare, di non confrontarsi con altre realtà extra-ecclesiali impegnate sul fronte antimafioso, è forte: ma significherebbe abdicare a una responsabilità storica ineludibile. Essere lievito evangelico in un contesto sociale segnato dalla viltà dell’equidistanza fra mafia e Stato democratico significa uscire dal limbo e prendere, pubblicamente, posizione.
    La partecipazione del Moderatore è, poi, significativa per ricordare a tutte le chiese italiane che la mafia è sì radicata nel Meridione, ma non ad esso circoscritta. Come tutti i tumori, ha prodotto le sue metastasi. Dal Piemonte alla riviera romagnola, dalla Lombardia alla riviera ligure, persino fra i cantieri edili degli Abruzzi eretti per ricostruire città note per la laboriosità e la correttezza etica dei suoi abitanti, le cosche mafiose meridionali  - in combutta con le nuove mafie importate dall’Est e dall’Africa – sono riuscite a tessere relazioni affaristiche,  accordi elettorali, strategie intimidatorie. Contrastare questo cancro della convivenza democratica è certamente un dovere civile, ma per chi osa dirsi seguace del vangelo di Gesù è anche risposta a una vocazione e testimonianza di una fede incarnata nelle strade dell’umanità.

Augusto Cavadi

3 commenti:

Maria D'Asaro ha detto...

Ottime riflessioni. Grazie.
Maria D'Asaro

Ciccio Sciotto ha detto...

Bellissimo l'articolo su "Riforma" !

Giovanni Panascia ha detto...

Caro Augusto,
sull'ultimo numero del settimanale "Riforma"
è contenuto in prima pagina il tuo splendido articolo.
Ti ringrazio e te ne sono profondamente grato.
Ti abbraccio,
Giovanni Panascia