venerdì 4 marzo 2016

GIANLUCA MARIA CALI' SI RACCONTA IN UN LIBRO DI F. CALANDRA E A. GIORGI


“Centonove”
3.3.2016

CALI’:  “E  IO NON PAGO”

La vicenda di Gianluca Maria Calì  - imprenditore bagherese che si rifiuta di sottostare al racket mafioso accettando di intraprendere, con l’aiuto altalenante dello Stato, una via impegnativa dalla lunghezza imprevedibile – non è, per fortuna, unica. Ma resta, comunque, ancora rara. E anche per questo preziosa. Essa costituisce il nucleo principale del volume di Francesca Calandra e Antonino Giorgi, Io non pago. La stra-ordinaria storia di Gianluca Maria Calì, Ipoc, Milano 2015, pp. 155, euro 15,00. Il racconto – a cui avrebbe giovato qualche inflessione retorica in meno - è preceduto da alcune proposte interpretative (a firma di un politico di professione, di un attore cinematografico e di due    psicologhe) e seguito da tre sezioni distinte.
   Nella prima e nella seconda di rievoca e si sintetizza la lettura dello “psichismo mafioso” secondo   il modello elaborato dagli studiosi della Gruppoanalisi Soggettuale:   il mafioso, come ogni altro individuo, è indecifrabile se non nel contesto relazionale (familiare, ma più ampiamente sociale)  in cui viene concepito, partorito e allevato.  Anche nel loro caso la patologia consiste nell’accettare, più o meno consapevolmente, di rinunziare a una propria identità mentale e psichica: di “essere pensati da un noi che permea totalmente l’io”. E’ solo grazie a questa rinunzia che i mafiosi possono agire  - come i nazisti o gli stalinisti – senza avvertire contraddizione fra la loro morale quotidiana e i crimini commessi nell’esercizio delle proprie funzioni (per così dire) istituzionali. Ed è questo uso “gelido e chirurgico” della violenza che riesce, spesso, a immobilizzare la vittima di mafia, spiazzato dalla percezione di essere bersaglio non di altri esseri umani (con cui si possa, in qualche modo, negoziare) quanto di una macchina anonima, senza volto, inesorabile. Talora, tuttavia, come nel caso di Calì, la vittima riesce a destrutturare le rete, intrecciata di minacce reali e pericoli illusori, in cui  l’organizzazione mafiosa tende ad accalappiarla: specialmente se la rete criminale viene bilanciata da una rete di solidarietà democratica (intessuta da altri cittadini e da pezzi sani dello Stato) che si palesa come alternativa concreta alla prostrazione.  Il soccorso che può arrivare da consulenti filosofici e psicologici, in particolare, dovrebbe concentrarsi su questa direzione: aprire  - alla mente e all’immaginazione della vittima-  ipotesi di liberazione, scenari altri. E tale apertura di alternative sarà più  praticabile via via che alle vittime di oggi si potranno raccontare le storie (confortanti) della ribellione – coronata da successo -  di sempre più numerose vittime di ieri.
     Nella terza, e ultima, sezione del libro sono raccolti alcuni attestati di solidarietà, sinora pervenuti al protagonista principale, che compensano il clima di indifferenza – se non addirittura di diffidenza – che troppo spesso, ancora, il “testimone di giustizia” (da non confondere con il “collaboratore di giustizia”, giornalisticamente denominato “pentito” !) si trova intorno a sé e alla propria famiglia. E ciò nonostante egli non intenda assumere pose da eroe e ribadisca, a ogni occasione, di essere un cittadino normale che sta attraversando una vicenda straordinaria di fatto, statisticamente, ma del tutto ordinaria di diritto, in linea di principio.
    Chiude il volume un breve “inquadramento storico-sociologico” di Cosa Nostra dalla fase di incubazione dell’organizzazione (tra Settecento e Ottocento) ai nostri giorni, passando per le varie fasi (agraria, urbana e – aggiungerebbe Umberto Santino - finanziaria) in cui il filo rosso della continuità si srotola senza perdere la luciferina capacità di trasformazioni e adattamenti.

       Augusto Cavadi
www.augustocavadi.com
   

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