venerdì 24 giugno 2016

RENZI EREDE DI BERLUSCONI SECONDO ELIO RINDONE


RENZI E BERLUSCONI: TROPPE AFFINITA’ ?
Pubblico la terza e ultima parte (vedi su questo stesso blog le prime due) di un articolato ragionamento di Elio Rindone sul pericolo che Renzi  - dopo il regime berlusconiano - rappresenta per la democrazia italiana. Ancora una volta invito i miei quattro lettori, soprattutto quanti NON sono d’accordo, a fornire elementi di giudizio integrativi.


 RENZI E BERLUSCONI: TROPPE AFFINITA’ ?


I nostri due illusionisti hanno ragione quando trattano i cittadini come bambini di dieci anni, e neanche troppo intelligenti, perché milioni di italiani non sono in condizione di distinguere la realtà dalle favole (le statistiche dicono che l'80 per cento della popolazione adulta ha difficoltà a comprendere un articolo di giornale) o, se lo sono, trovano più comodo per superficialità o per presunzione rinunciare alla fatica di informarsi e di riflettere criticamente e, sicuri di avere già capito tutto, scambiano per convinzione propria l'opinione dominante in un certo momento. Tanti elettori, in effetti, prendono per buone, a forza di sentirle ripetere all'infinito, le bugie più inverosimili e apprezzano come un autentico moralizzatore della vita politica chi si scaglia contro la corruzione. In realtà, dichiarare che 'chi sbaglia deve pagare', senza far nulla perché alle parole seguano i fatti, è un'ovvietà come dire che il sole è caldo e l'acqua bagna. Ma, si sa, più un'affermazione è ovvia più risulta persuasiva per chi non è abituato a riflettere.
E uno slogan è tanto più persuasivo quanto più risponde a un'esigenza, avvertita in maniera più o meno consapevole, dalla massa. Basta farla emergere - occultando bisogni, valori, conseguenze di altro genere - perché scatti la molla del consenso. Non si combatte l'evasione ma si promette di ridurre le tasse: e come cittadini tartassati potrebbero resistere al sogno di un fisco più mite? Si persevera nella politica di austerità ma si assicura che si sta cambiando verso al Paese: e come elettori sfiduciati potrebbero rinunciare a quella che appare l'ultima speranza per uscire dalla palude?
Entrambi, inoltre, usano il linguaggio più adatto per comunicare con le masse: quello delle immagini (indimenticabili quelle di Berlusconi con Dudù in braccio e quelle di Renzi col gelato in mano), mentre le parole sono ridotte a pochi slogan o ai 140 caratteri di un tweet. Come il Berlusconi dei tempi d'oro, oggi Renzi è sempre in televisione, come Matteo Salvini, il politico che l'establishment ha interesse ad accreditare come il suo principale oppositore. E, come Berlusconi, ama rivolgersi direttamente agli elettori, saltando la mediazione dei giornalisti, o almeno quella dei pochi che non sono disposti a fare da cassa di risonanza delle sue dichiarazioni. L'abuso del mezzo televisivo da parte dei leader politici, che ai tempi di Berlusconi, capo del governo e proprietario di tre reti private, aveva fatto gridare al conflitto d'interessi, oggi non suscita alcuna reazione nell'opinione pubblica. Eppure nulla è cambiato: Renzi non è proprietario di un impero televisivo ma vuole far approvare una legge che metta la RAI a servizio del governo di turno. Già ora, del resto, può dire ciò che vuole su tutte le reti grazie al servilismo di un apparato informativo che, non a caso, fa scivolare l'Italia, quanto a libertà di stampa, all'ultimo posto, fatta eccezione della Grecia, tra i Paesi dell'Unione europea.

Da tempo, ormai, tanto il servizio pubblico televisivo che la cosiddetta libera stampa sono quasi per intero alle dipendenze del potere politico ed economico, e il fenomeno, a causa della lunga assuefazione, non provoca più indignazione. L'opinione pubblica, infatti, nel ventennio berlusconiano è stata abituata a un degrado lento ma costante, e ormai non reagisce più: come la rana di un noto esperimento che, se gettata nell'acqua bollente, salta subito fuori, mentre, se si riscalda a poco a poco l'acqua della pentola, non tenta di saltar fuori se non quando è troppo tardi. In effetti, il disegno, attuato con perseveranza e rispondente a un ampio ventaglio d'interessi, di anestetizzare gli elettori pare proprio che sia giunto a compimento, dato che si riesce a far credere che Renzi - un premier che obbedisce agli ordini della troika, che è apprezzato dalla Confindustria ma non dai sindacati, e che dal Times, di proprietà di Rupert Murdoch, è accostato a Tony Blair ed elogiato come salvatore dell'Italia, in contrapposizione ad Alexis Tsipras, accusato di danneggiare la Grecia con le sue politiche distruttive - sia uno statista e il leader di una moderna sinistra. Solo i mezzi di comunicazione sono capaci oggi di simili miracoli!
Il problema dell'indipendenza dei media, è ovvio, riguarda non solo l'Italia ma tutti i Paesi industrializzati ed è altrettanto ovvio che su di essa si gioca la qualità democratica di un sistema politico. Infatti, se la democrazia presuppone che i governanti siano scelti dai cittadini, questi devono essere informati per essere in condizione di scegliere davvero, perché altrimenti le libere elezioni si riducono a una pura formalità. Quanto più, quindi, l'informazione si trasforma in propaganda e manipolazione, tanto più si riduce lo spazio della democrazia.
Come scriveva anni fa il grande linguista Chomsky, "il postulato democratico è che i media sono indipendenti e hanno il compito di scoprire e di riferire la verità, non già di presentare il mondo come i potenti desiderano che venga percepito [. ma questo presupposto] è in netto contrasto con la realtà" (N. Chomsky-E. Herman, La fabbrica del consenso, Milano 1998, p 9). Forse è il caso, allora, di mettere in discussione una delle certezze più comuni: cioè che l'Italia, come altri Stati europei, sia oggi una vera democrazia. Riguardo al comunismo, per esempio, è ormai opinione corrente che occorre distinguere l'ideale comunista dal comunismo reale. Parimenti, è scontato che la storia dei secoli cristiani non possa essere identificata tout court con l'ideale evangelico. È ragionevole, quindi, chiedersi quanto le democrazie realmente esistenti siano distanti dall'ideale democratico.
Non bastano, in effetti, le elezioni a suffragio universale per concedere a uno Stato la patente democratica. Come scrive un famoso politologo americano, infatti, è necessario garantire anche "diritti, libertà e opportunità di effettiva partecipazione; uguaglianza di voto; la capacità di acquisire una sufficiente conoscenza delle scelte politiche e delle loro conseguenze; i mezzi attraverso cui il corpus dei cittadini possa mantenere un adeguato controllo sull'agenda delle decisioni e delle politiche del governo" (Robert A. Dahl, Quanto è democratica la Costituzione americana?, Laterza 2003, p 95).

L'essenza della democrazia, in sostanza, è la seguente: il potere politico non si trasmette per via ereditaria né si conquista con la forza ma dipende dal voto degli elettori, che scelgono tra differenti alternative, controllano gli eletti ed eventualmente li sanzionano alle elezioni successive. Per scegliere tra le diverse proposte politiche, però, è evidente che i cittadini devono conoscerle, comprenderle e valutare adeguatamente quale di esse risponda meglio alle esigenze della società. Se ciò non accade, se l'informazione è manipolata e gli elettori non sono messi in grado di controllare i loro rappresentanti, i regimi democratici si distinguono da quelli dittatoriali solo perché non occorrono le armi per cacciare i governanti. Non è poca cosa, ma certo si resta molto lontani dall'ideale democratico che fa del popolo il vero sovrano. Ideale così difficile da realizzare da far dire a Gustavo Zagrebelsky: "Intendiamoci su un punto: la democrazia è la versione moderna del pensiero utopico. Non ne conosciamo alcuna realizzazione integrale" ("Pilati d'Italia, Giù la maschera", Repubblica.it, 31/8/1995). Certo, è possibile approssimarsi di più o di meno all'ideale, ed è possibile anche fare passi indietro, perché la democrazia è un sistema fragile, tanto che, pur rispettando formalmente le sue regole, è possibile svuotarla dall'interno. Forse, ignorando gli allarmi lanciati da personalità come Zagrebelsky e Rodotà sul pericolo di dare troppo potere a un uomo solo, è ciò che sta accadendo oggi in Italia: il centro-sinistra di Renzi sta completando il disegno di una modifica della Costituzione in senso autoritario già abbozzato dal centro-destra di Berlusconi, tanto che si può parlare del renzismo, riecheggiando una famosa espressione, come della fase suprema del berlusconismo. E scambiare il Pd per un partito di centro-sinistra e un regime autoritario per democrazia può comportare conseguenze ben più gravi che scambiare un lenzuolo medievale per la sindone di cui parlano i vangeli!
 


1 commento:

Mauro Matteucci - Pistoia ha detto...

Ciao Augusto,
condivido l'analisi di Rindone sulla "continuità" - secondo me, in peggio - tra Renzi e Berlusconi. Soprattutto i processi di semplificazione messi in atto nell'analizzare la complessità inevitabile del reale stanno portando frutti avvelenati. Lo scossone delle recenti amministrative può essere un segno di un'opinione pubblica, che, dall'impotenza, sta passando a forme incisive (si spera) di presa di consapevolezza e di proposta alternativa al nulla dei due piazzisti, di Arcore e di Rignano. Personalmente non posso che sperare nei "cittadini sovrani", per cui tanto ha lavorato e educato don Milani. La lotta per la difesa della Costituzione può essere un passo importante in questo percorso.
Mauro Matteucci